I lussuosi Hotel di Stresa accolgono con una giornata di tiepido Sole autunnale il primo giorno della manifestazione interamente dedicata al nebbiolo. E’ presente tutto il mondo, ma, come ben sappiamo, il nebbiolo ama l’Italia e si aggrappa con particolare felicità alle falde delle Alpi: solo nel nostro Bel Paese, malgrado la situazione non proprio felice dell’economia, il grande vitigno dà il meglio di sé e continua a stupire il mondo. I titoli degli interventi del Convegno sono particolarmente stimolanti, soprattutto quelli di carattere scientifico.
Non li voglio perdere perché sembra che il vino finalmente acquisti tutta la sua vera essenza, fatta di geologia, storia, cultura e sia riconosciuto come operazione eccelsa di trasformazione naturale. Come un grande vignaiolo ebbe a dirmi tempo fa: “Il vino si fa in vigna. In cantina si deve solo cercare di non rovinarlo.” Bisognerebbe pensare più spesso a questa frase e al suo vero significato.
Sempre più spesso, malgrado le solite litanie sul “terroir” e sui vini veri, il vino si fa invece in cantina, tra botti e botticelle, tannini, lieviti selezionati, ossigenazioni più o meno forzate e via dicendo. Tutte cose che la vigna saprebbe fare benissimo da sola se fosse adeguatamente e sapientemente seguita e conosciuta.
Bellissimo quindi l’intervento sulla dislocazione delle vigne di nebbiolo ai bordi delle Alpi. Valtellina, Alto Piemonte, Langhe e minime “intrusioni” in Sardegna settentrionale (Limbara) e all’ingresso della Valle d’Aosta, mostrano tutte le varietà del vitigno forse più grande del mondo, ma portano a una domanda, non ancora risolta. Essa deriva da uno studio accurato eseguito sulla vite selvatica del Piemonte: nessun collegamento con il nebbiolo, anche se di lui si sente già parlare dal 1200. Da dove proviene, quindi, il fantastico vitigno? Non è certo autoctono nel vero senso del termine.
Si stanno compiendo studi ancora più dettagliati e si spera di dare una risposta esauriente entro un paio di anni. Sicuramente deve provenire da una zona con variazioni drastiche di temperatura tra notte e giorno, con un Sole che si faccia sentire durante l’Estate, con nebbie autunnali, con terreni difficili. A me viene ovviamente in mente il “solito” Caucaso, probabilmente patria originale del vino in assoluto. Ma chi l’ha trasportato nelle nostre Alpi, facilmente senza soste intermedie? E quando ciò è avvenuto?
Mi piacerebbe saperne di più. Complimenti quindi alla Prof.ssa Anna Schneider del CNR di Torino per la sua presentazione. Una relazione scientifica raggiunge il suo vero scopo quando oltre che a dare certezze lascia aperte le strade del dubbio e della voglia di andare oltre.
Non da meno anche l’intervento della Prof.ssa Silvia Guidoni dell’Università di Torino (evviva gli esperti in “rosa”!) sull’analisi delle variazioni di temperatura in una vigna di barolo, nella stagione 2011, per diversi versanti e per condizioni sopra e sotto la chioma. Da un insieme di chiari ed esaurienti diagrammi si quantifica l’importanza del microclima per accompagnare al meglio le reazioni chimiche che sintetizzano i polifenoli più importanti per il vino. Non picchi di caldo eccessivo, ma nemmeno -e soprattutto- troppe ore di alta temperatura.
Meglio versanti “discreti” come l’ovest, ma ancora meglio un’attenta cura del fogliame secondo l’esposizione. Bellissimo intervento in cui sembra proprio di sentir parlare le uve che stanno preparando i loro frutti prodigiosi. E mi risuona in testa la frase del mio caro amico e grande vignaiolo: “Il vino si fa in vigna….”. Accidenti. Nebbiolo Grapes è cominciato proprio bene! Finalmente è il vino al centro della situazione e non le parole inutili e ripetitive che lo circondano troppo spesso.
Astrofisico per 40 anni, ho da sempre coltivato la passione per il vino e per il mondo che lo circonda. Vedo di traverso la seriosità che...
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