Buon giorno. Mi presento: sono un antociano, un pigmento colorante fondamentale (scusate l’immodestia) per dare colore al vino. Il mio lavoro è molto stressante e devo stare sempre bene attento a non riposarmi neanche un momento per non rischiare di “precipitare” troppo in fretta. Molte cose me le ha insegnate il mio maestro polifenolo, una molecola complessa da cui discendiamo quasi tutti. A lui spetta soprattutto dare il tocco decisivo per quanto riguarda il gusto, il profumo e tante altre cose. Poi c’è mio cugino tannino. E’ sempre un po’ rude e scontroso, ma se lo sai prendere è un vero signore e sa essere elegante e delicato. L’importante è lasciarlo lavorare in pace e dargli tempo. Guai se gli metti fretta o cerchi di condizionarlo. E’ capace di tutto e di più.
Tutti e tre insieme ne abbiamo viste di cose, di gente, di viti, di vino e molto altro. Sono secoli e secoli che stiamo assieme e ci scambiamo idee e dubbi. Il rispetto per il grande polifenolo è sempre massimo, ma ormai siamo talmente affiatati che ci consideriamo molto più che parenti o amici. Nessuno potrebbe fare qualcosa senza avvisare l’altro o senza discuterne. Si, si, è vero noi duriamo poco, l’arco di qualche anno o, se abbiamo lavorato bene, anche qualche decennio. Poi, o prima o dopo, completiamo la nostra fatica ingoiati dagli uomini che ci bevono o, come preferiamo dire noi, ci degustano.
Ma, attenzione! Possediamo una memoria biologica fortissima ed in pratica non moriamo mai. Le nostre esperienze, le nostre conoscenze sono automaticamente trasmesse ai nostri figli che continuano la nostra opera, vendemmia dopo vendemmia. E’ come se noi rinascessimo ogni volta e fossimo sempre gli stessi, anno dopo anno. E’ proprio per questo posso raccontare questa storia in modo soggettivo e personale, anche se in pratica coinvolge generazioni e generazioni di antociani. Io sono un po’ artista, dato che mi piace dare pennellate di colore dalle sfumature più varie e raffinate, a volte delicate, altre volte violente. Già i greci, che di arte se intendevano, mi chiamavano fiore blu! Sono stato quindi scelto all’unanimità per riassumere gli ultimi anni abbastanza movimentati della nostra faticosa missione.
Il nostro mestiere l’abbiamo fatto per secoli e secoli, come già detto, assecondando talvolta l’opera dell’uomo, ma solitamente seguendo le regole della natura. Non abbiamo mai avuto scontri importanti ed è nata un’ottima fratellanza e comprensione. Siamo però un po’ permalosi e non accettiamo intrusioni troppo esagerate. Piccoli consigli o variazioni sul tema vanno bene, ma senza stravolgere la nostra atavica sapienza. Ci ricordiamo benissimo quando stavamo nelle anfore di terracotta e l’ossigeno si intrufolava da tutte le parti. Abbiamo cercato di mantenere la calma e di adattarci alla situazione.
Poi è arrivato il cemento, ma soprattutto il legno. Lì qualche scontro c’è stato, soprattutto per mio cugino tannino. Abituato a lavorare da solo, si era trovato in compagnia di lontani parenti che poco o niente avevano a che fare con l’uva. I loro sapori e odori erano troppo spregiudicati e spesso violenti. Fino a che rappresentavano la minoranza ed erano molto diluiti in quegli enormi serbatoi, gli scontri verbali e non solo erano riusciti a ricomporsi. Anzi, avevamo imparato anche qualcosa di nuovo e avevamo alla fine fraternizzato con i nuovi arrivati. Ma le cose sono tragicamente peggiorate col diminuire delle dimensioni dei recipienti di contenimento.
La piccola e controllabile intrusione è diventata improvvisamente una vera invasione. I tannini estranei arrivavano dappertutto e si comportavano da padroni. Avevano sentori violenti, marcati, grossolani. Sembravano quasi i Proci quando presero possesso del palazzo del grande Ulisse, approfittando delle sue disavventure (noi siamo molto ferrati nella storia antica, avendola vissuta di persona). Alcuni sapevano di caffè, altri di cioccolata, altri di legno bruciato, quasi tutti di vaniglia dolciastra. Le loro case erano quelle botti così piccole, che venivano da paesi stranieri e che ormai ci accoglievano stringendoci e stravolgendo il nostro compito. Le chiamavano barriques, ma a noi piaceva chiamarle pasticche, per la monotonia del loro contributo e per la capacità nefasta di appiattire profumi e sapori.
Dimenticavo di dirvi che lo scrivente ha l’onore di vivere nel nebbiolo, uno dei più grandi ed indipendenti vini del mondo. Malgrado abbiamo sempre avuto una potenza ed una capacità reattiva unica, devo ammettere che l’invasione straniera era riuscita a snaturare molte delle nostre caratteristiche peculiari. Quando ad esempio ci incontravamo con altri vini italiani e non solo, facevamo fatica a riconoscerci gli uni con gli altri. Sembravamo tutti uguali! Qualcuno diceva che era colpa degli americani e dei loro gusti banali, ma i molti esperti che si erano messi a scrivere guide osannavano questi avvilenti nuovi arrivati. Ed allora le cantine si riempirono di barriques nuove di zecca, dagli aromi sempre più opprimenti. Non descrivo nemmeno la rabbia di mio cugino tannino. Non l’ho mai visto così sprezzante e ruvido. Ma anch’egli non poteva che soccombere a quella monotona e squallida invasione senza fine. E pensare che quelle pasticche che ci dovevano contenere costavano ben di più che la nostra cara mamma uva! Eppure… In Italia spesso e volentieri si esagera sempre.
Il nostro vino venne chiamato “moderno”, soprattutto da chi non aveva forse mai assaggiato quello antico. E pensare che sarebbe bastato pulire un po’ meglio le nostre vecchie case, grandi e spaziose e dare libero sfogo alle nostre millenarie capacità. Ed invece ci avevano violentato. Sono stati anni molto duri e tristi. Sapevamo benissimo che il nebbiolo non aveva certo bisogno di quei nemici che venivano da lontano e ci cancellavano del tutto.
Poi qualcosa accadde, non so bene perché. Forse gli stessi vignaioli sentirono nostalgia della nostra eleganza, complessità e capacità di cambiare da zona a zona, da versante a versante e si stufarono di dover seguire le mode imposte dall’alto. Forse fu anche grazie alla crisi che aveva assalito gli americani. Le diatribe tra modernisti, schiavi delle barriques, e di coloro che avevano resistito senza cedere, si stavano spegnendo. Si cominciò ad usare quelle inutili pasticche per parecchi anni di fila, senza cambiarle ogni anno. Ed esse non riuscirono a tenere il ritmo, persero l’arroganza e dovettero cedere alla nostra reazione.
Finalmente io, il mio maestro e tannino riprendevamo il controllo della situazione. Era anche bello combattere e vincere facilmente le battaglie contro gli intrusi. Molti di loro si arresero senza condizioni e parteciparono con discrezione alla nostra fatica, portando finalmente un aiuto non del tutto disprezzabile. In realtà noi non siamo razzisti e accettiamo qualsiasi nuovo venuto, basta che non voglia imporci una visione deformante del nostro lavoro. Chi restava più indietro in questa rivoluzione silenziosa, aiutata da una serie lunghissima di grandi vendemmie (forse la natura faceva il tifo per noi), erano stranamente proprio certi esperti che a parole ci davano ragione, ma poi premiavano quelle banali controfigure che eravamo stati costretti a diventare. Boh… non riuscirò mai a capire questa strana ambiguità. Forse c’erano di mezzo i soldi? Non so, io di quelle cose non me intendo proprio, ho altro da fare!
Oggi ci sentiamo molto meglio ed anche tannino è tornato alla sua ruvida saggezza. Quando ci incontriamo con i vini delle altre regioni, finalmente riusciamo a distinguerci e, con quelli che hanno fatto come noi, ci divertiamo un sacco a prendere in giro le bottiglie che sono costrette a seguire i banali rituali di anni addietro. Prima o poi anche gli esperti se ne accorgeranno? Pensiamo di si. Intanto godiamoci l’amore e la comprensione che i veri appassionati ci stanno mostrando. Poi arriveranno anche i riconoscimenti di tutti quelli che dovrebbero insegnare a farci comprendere. Così va il mondo…
Ops... Devo andare, il mio irruento cugino mi sta richiamando all’ordine!! Anche il 2009 sarà un’annata magnifica, ne sono sicuro.
Astrofisico per 40 anni, ho da sempre coltivato la passione per il vino e per il mondo che lo circonda. Vedo di traverso la seriosità che...
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