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Un dramma planetario, di Enzo Zappalà

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Un dramma planetario

di Enzo Zappalà

Dopo qualche piccola polemica sul ruolo della degustazione professionale del vino, permettetemi di proporre questo breve racconto di fantascienza (?), con lo scopo di sdrammatizzare e di far tornare il liquido gioiello al suo ruolo piacevole, allegro e spensierato. E’ solo un piccolo “sorso”(!) di ironia bonaria ed indolore …

L’uomo aveva finalmente avuto via libera alle modificazioni genetiche delle piante e di tutto il regno vegetale. Si era dimostrato che qualsiasi alterazione alle strutture molecolari ed ai legami esistenti tra esse non avevano alcun effetto negativo sulla salute, anzi … Si era anche riusciti a sostituire alcuni elementi fondamentali con altri altrettanto capaci di mantenere la vita biologica. Certi acidi erano stati sostituiti con altri. Il metano o l’ammoniaca avevano ad esempio preso il posto dell’acqua, gli atomi di carbonio erano stati sostituiti con quelli di silicio o di fluoro. Addirittura era stata modificato il processo della stessa sintesi clorofilliana, aumentando o diminuendo la dipendenza dal Sole e dall’anidride carbonica. Perché si era giunti a questo? La risposta stava nello sviluppo sfrenato dei viaggi spaziali. Il Sistema Solare non aveva più segreti e le astronavi e le sonde girovagavano a piacimento scendendo ovunque vi erano superfici solide da calpestare. Marte era ormai affollata di stazioni scientifiche, ma lo stesso capitava anche su Venere, Mercurio, i satelliti di Saturno e Giove. Ed ogni suolo aveva ovviamente le sue caratteristiche. Su Mercurio vi era solo polvere ad alto contenuto di minerali pesanti con uno sbalzo termico terrificante tra il giorno e la notte, tra la parte esposta al Sole e quella all’ombra. Su Venere le temperature raggiungevano centinaia di gradi e le piogge di acido solfidrico “pulivano” un atmosfera densa come l’olio. Marte era la più simile a noi, ma il suo color rosso dovuto alla ruggine dei composti ferrosi e quel poco di acqua salmastra che si trovava nelle poche pozze nascoste, facevano capire che la somiglianza era molto più lieve di quanto si potesse pensare. Sul satellite di Saturno, Titano, i laghi di metano creavano scenari da tregenda, ma la sua atmosfera ricca di azoto era un invito alla colonizzazione. Europa, satellite di Giove, nascondeva sotto la sua crosta ghiacciata un oceano d’acqua pura e tiepida. Io, altro satellite del pianeta gigante, presentava un suolo ricchissimo di zolfo costantemente investito dalla violenza dei suoi vulcani attivi. Tutti questi mondi sarebbero serviti all’estrazione di minerali preziosi, avrebbero dato spazio alla popolazione sempre più numerosa, avrebbero risolto i sempre più assillanti problemi energetici, ma avrebbero potuto offrire anche molto di più ai nuovi e più duttili e resistenti organismi vegetali. Iniziarono così coltivazioni di pomodori su Venere ed il loro sapore allo zolfo era veramente accattivante. Su Mercurio invece si producevano direttamente pomodorini di Pachino secchi, aiutati in ciò dalla mancanza assoluta di acqua. Marte aveva asparagi rossi alla CO2 dal gusto piccante e la superficie di Titano era diventata una distesa di funghi dall’aspro e stuzzicante sapore di idrocarburo saturo. Su Europa si coltivavano alghe dai profumi di ammoniaca inebrianti. Ciò aveva comportato una meravigliosa crescita di varietà commestibili utilissime per sconfiggere una volta per tutte il problema terribile della fame nel mondo, ma aveva ovviamente comportato un cambio drastico nei gusti e nelle sensazioni provenienti dal cibo. Ma il passo più importante e sconvolgente fu senz’altro l’inizio della coltivazione dell’uva geneticamente modificata su tutti i corpi celesti prima citati. I grandi sbalzi termici, le ricchezze di sali minerali e di composti fenolici presenti nei terreni più ricchi di metano e di altri composti organici, la presenza di vulcani attivi e di zolfo allo stato puro, e le altre innumerevoli caratteristiche permettevano di produrre vini impensabili sulla Terra. Le più grandi case vinicole avevano ormai filiali in ogni zona del Sistema Solare, ma anche i piccoli produttori avevano investito pesantemente in qualche piccolo ma selezionato appezzamento tra l’atmosfera bollente di Venere o sui terreni vulcanici di Io. Nacquero ovviamente nuove varietà di uva, chiamate “planetoctone”, anche se le piante di base erano pur sempre originarie del nostro caro pianeta. Ma chi riconosceva più i grossi grappoli, dalla buccia coriacea e dal colore verdastro, del Mercuret rispetto al suo antenato Cabernet? Ed il nebbiolo portato su Titano? Il suo succo ricordava alla vista una ben dosata miscela per strumenti agricoli piuttosto che il rude e spento color granata. E che dire dei profumatissimi bianchi di Io, dove non vi era ovviamente bisogno di solforosa e per i quali erano necessari anni di affinamento prima che i vapori vulcanici sparissero del tutto? Una rivoluzione epocale che sembrava non aver mai fine e che apriva nuove ed insperate porte all’evoluzione del gusto. Ed invece innescò un vero dramma! I vini c’erano. Ed erano anche fantastici, nuovi, stimolanti, pronti a regalare sensazioni mai provate e sconvolgenti. Ma mancava qualcosa di fondamentale che avrebbe forse fatto naufragare miseramente questa conquista dell’umanità. I viaggi spaziali erano ancora molto cari e solo i fisici più che robusti potevano sopportare gli stress delle variazioni di gravità e delle condizioni climatiche e atmosferiche. In parole povere i vini erano grandiosi, fantastici, inebrianti, ma non esistevano ancora i i sommelier in grado di descriverli. E come potevano esistere se nessuno di loro aveva mai potuto assaporare la rinfrescante piacevolezza del metano allo stato puro, intriso di composti al fluoro ed allo iodio degli stagni di Titano? E chi tra loro aveva mai sentito entrare nel naso le zaffate piccanti e pungenti dei vapori sulfurei di Io? E quali grandi ex-esperti di vino avevano potuto inebriarsi a bocca aperta sotto le piogge acide a 400 °C di Venere? Dovevano forse accontentarsi dei racconti degli astronauti, gente rozza e poco preparata alle infinite sfumature del nettare di Bacco? Mai e poi mai. Ed allora, che fare? Limitarsi forse ad esprimere solo sensazioni superficiali alla portata di tutti: piccante, acido, minerale, potente, astringente, e così via? Che squallore!! Ma questo lo sapeva fare chiunque, accidenti … Ed il nuovo mestiere di “Planetarier”, agognato e sperato da tutti, non nacque mai: un vero dramma planetario!!

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4 Commenti

Inserito da Tomaso Armento

il 26 marzo 2009 alle 15:04
#1
Cosmico!

Inserito da Danilo Bruzzone

il 26 marzo 2009 alle 18:15
#2
..ascolta Enzo..la legittima curiosità è la seguente:

anche il MERCUERET sarà Erbaceo????? assomiglierà al peperone di Carmagnola o di Cuneo????

Ciao
Danilo

Inserito da Enzo Zappalà

il 26 marzo 2009 alle 20:21
#3
ciao Dani,
peperoni su Mercurio? chiedi agli esperti.....

Inserito da Maria Grazia Melegari

il 26 marzo 2009 alle 21:14
#4
Enzo! Fantastico il tuo racconto... Eh eh! Asparagi Rossi alla CO2 su Marte... Mi piacerebbe che ti leggessero i ristoratori di Bassano del Grappa che hanno appena inaugurato la Rassegna "Asparagi e Vespaiolo" coinvolgendo nientemeno che la Missione Phoenix della NASA!

A quando il libro? Complimenti!
Salutone.
M.Grazia

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Astrofisico per 40 anni, ho da sempre coltivato la passione per il vino e per il mondo che lo circonda. Vedo di traverso la seriosità che...

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