Questo articolo non vuole essere la descrizione di un vignaiolo e dei suoi vini. Vuole solo essere un’emozione, un ricordo di quelli che non ti lasciano più. E’ molto personale e soggettivo, ovviamente. Potrebbe però aiutare a capire che le piccole, semplici, sincere e ingenue reazioni vincono sempre su quelle costruite a tavolino, basate su canoni prestabiliti. Avevo già parlato della famiglia Mariotto, ma ai sentimenti non si comanda: non potevo proprio farne a meno.
Esistono uomini del vino che sembrano rappresentare ancora oggi lo spirito stesso della bevanda antica come il mondo. Uomini che si sentono a loro agio solo quando varcano il cancello di casa e si immergono tra le vigne. Uomini che sanno essere sinceri, umili e cordiali come se anni e anni di falsità mediatiche non li avessero mai scalfiti. Uomini veri, insomma, di quelli che senti amici nel profondo anche se li vedi poche volte.
Dove trovarli? Un po’ ovunque sicuramente e io ho la fortuna di conoscerne tanti non solo nella “mia” Langa, ma anche in giro per tutta l’Italia. Varrebbe quasi la pena di scrivere una guida “in più” per parlare di loro senza nemmeno accennare ai vini. Discutere insieme, lasciarsi andare, sentire le emozioni più semplici e capire la vera essenza della bevanda di Dioniso. Tutto ciò non si può esprimere con punteggi, con valutazioni, con tecnicismi, ma solo con il cuore e con la mente.
Due di questi uomini sono i fratelli Mariotto, Claudio e Mauro. Solo due parole sui loro vini e poi voleremo altrove. Un timorasso (il Pitasso in particolare) eccezionale, senza paura dell’età, anzi. Il loro 2000 vi lascia senza parole e vi sembra un bambino che abbia appena incominciato a gustare la vita. Una barbera (Poggio del Rosso, per esempio) da manuale, mai avvinghiata a sentori di facile frutta, ma terrosa, potente ed elegante in attesa che il tempo la plasmi e la renda perfetta. E ci riesce sempre!
Potrei finire qui, aggiungendo poche frasi di circostanza. E invece questo è solo il prologo, importante fin che si vuole, ma secondario una volta che si è varcato il portone che nasconde una sala degustazione che è il simbolo stesso dell’amicizia. Niente sfarzi o auto-celebrazioni: tante bottiglie di ogni dove sugli scaffali, un tavolone, qualche oggetto antico e una cucina sul lato più lontano. Non è la prima volta che vi arrivo all’ora di pranzo, ma ogni volta vengo sorpreso e catturato dalla commozione. Intorno a me solo sorrisi aperti e sinceri. Quello un po’ ironico di Claudio, quello ampio e rilassante di Mauro, quello dolce e antico della mamma e, in fondo, tra i fornelli, lui, Pigi (Pierluigi), il grande cuoco.
Non me ne vorranno certo i cari amici vignaioli se li lascio un attimo da parte. Pigi non è solo una persona di ironia sublime, un grande “chef” per puro piacere, ma è il vero simbolo delle colline di Tortona. Un perfetto mix di Liguria, Piemonte, Lombardia e soprattutto Emilia. Mentre le sue mani rapide e sapienti preparano la carne cruda o il sugo per la pasta fatta in casa o il fantastico risotto al timorasso, la sua voce vi stordisce accusandovi di essere uno straniero in terra straniera (“vous italiens” ). Vi mostra le Alpi, dicendovi che quello è il suo confine e che voi non capirete mai niente. Vi cita Teodorico, Ottone e cento date. E molte altre cose che non posso riferire su queste pagine, ma che abbinano il sarcasmo alla naturalezza più vera. Completano il quadro il grembiule a stelle e strisce e l’onnipresente bandana sul capo. Un personaggio eccezionale, estratto dal miglior cabaret dei tempi eroici di Jannacci, dei Gufi, di Teocoli, di Cochi e Renato. Un maestro dell’umorismo stralunato e assurdo, pregno, però, di significato e di sapienza per chi vuol capire oltre alle parole. Grande Pigi e grande la sua cucina!
Torniamo a noi e all’ultima visita. Dopo tre giorni in Langa, ho portato dai Mariotto un celeberrimo fisiologo polmonare americano (Mike Hlastala), oppositore dell’etilometro che ha dimostrato essere privo di qualsiasi accuratezza scientifica, reduce dal Boroli Wine Forum. Non ho più voglia di discutere della continua e ossessionante capacità di non capire del nostro mondo del vino “ufficiale” e tralascio qualsiasi commento. L’importante è però il fatto che io volevo ardentemente che il celebre professore (ormai amico) conoscesse il volto sincero e leale del nostro vino, quello vero, però, non quello mascherato da mille interessi personali e politici. Dopo l’accoglienza squisita degli amici produttori di Langa, toccava ora a Mariotto e ai colli tortonesi. Avevo chiesto a Claudio di preparare qualcosa di veloce da mangiare per accompagnare i suoi vini. Niente di speciale: pane, salame e formaggio.
Il profumo che sentiamo appena entrati nella sala non lascia, però, dubbi. E’ lui, il più celebre compagno delle tavole del sud Piemonte, Sua Maestà il Tartufo Bianco. L’ha appena portato un cercatore-ristoratore amico di famiglia. Due “patate” meravigliose. Senza tante storie, quasi di nascosto come fosse la cosa più normale di questo mondo. In razioni abbondanti accompagna la carne cruda, il risotto, le tagliatelle e l’uovo finale. La mano di Claudio sembra un motorino, tanto velocemente apre bottiglie di bianchi e di rossi. Poi deve andarsene via per dieci minuti e ci dice: “Scegliete quella che volete dagli scaffali”. I nomi che leggo fanno rabbrividire. Mi limito a un grande barolo di un altro grande amico. Gli occhi di Mike ridono da soli e mi dice sottovoce: “Stupendo, devo ritornare in Piemonte con mia moglie. Che bello sentire questo calore che non è dovuto alla stufa accesa in un angolo della stanza”.
No, non c’è nessuna stufa che possa riscaldare così un ambiente e nemmeno nessun modernissimo termosifone firmato da qualche grande designer. Non illudetevi però. Il “ristorante” dei Mariotto ha tempi di prenotazione lunghissimi e non basta fare una telefonata. Gli occhi furbi e limpidi di Claudio devono prima scrutarvi nel profondo e leggervi attentamente nell’animo. La sua analisi viene mascherata da apparente superficialità e irruenza. Magari vi apparirà un po’ strano. Che errore fareste! Con lui non valgono le sceneggiate, le frasi fatte, i convenevoli. Con lui e con Mauro basta uno sguardo un po’ più lungo, un sorriso diverso, una pacca sulla spalla data in un certo modo e poi lasciarsi andare alle vere emozioni.
Questa è l’unica chiave per entrare in quel luogo di amicizia e di calore, dove anche il tartufo bianco diventa una cosa ovvia e naturale. E quando ho portato alla stazione Mike per raggiungere Milano, nei suoi occhi ho visto perfettamente il profumo del celebre fungo ipogeo, la limpidezza salina del timorasso e la potenza trattenuta della barbera. Li ha portati con sé a Seattle, insieme a un ricordo sincero del mondo del vino italiano.
Grazie Claudio, grazie Mauro, grazie Pigi, grazie signora “mamma” dagli occhi dolci. Lo splendido vino di quella cantina sparisce di fronte ai valori che siamo riusciti a gustare con l’anima e la mente. E sono convinto di potermi prenotare un’altra volta in quell’unico, irraggiungibile ristorante. Non ha bisogno di stelle o forchette o cappucci, a lui posso tranquillamente regalare un’intera galassia!
Astrofisico per 40 anni, ho da sempre coltivato la passione per il vino e per il mondo che lo circonda. Vedo di traverso la seriosità che...
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