Il mondo sta vivendo un’angoscia via via crescente a causa della diffusione impressionante dell’influenza A-H1N1. Meno male che il vaccino sta arrivando e che presto si passerà all’azione. Nel frattempo, però, mi sono sorti alcuni dubbi e ho iniziato a svolgere ricerche più approfondite. Come illustrerò tra poco, un paio di risultati mi hanno veramente stupito. A prima vista sembravano del tutto scorrelati tra loro, anche se strani ed inquietanti. Solo ipotesi insomma, fino a che una rivista di veterinaria non mi ha fornito una chiave di lettura ben più interessante e credibile. Ma andiamo con ordine…
La prima scoperta riguardava il fatto che in alcune isole della Micronesia, in certe regioni andine e nella maggior parte dei paesi sub-artici non si erano assolutamente registrati casi della tanto temuta e virulenta influenza. Mi si potrebbe dire (e l’avevo anche pensato io…) che essendo territori fuori dai circuiti internazionali del commercio e del turismo avevano avuto pochi contatti con il mondo “civile”. Ed invece non era vero. Ho potuto appurare che, malgrado le condizioni critiche, rimanevano continuamente a contatto con il resto dell’umanità ed avevano le stesse probabilità di qualsiasi nazione al mondo di essere coinvolti nel circolo maligno dell’epidemia. In realtà, al giorno d’oggi la società e lo sviluppo tecnologico abbattono ogni confine naturale. Esistono le navi, i treni, gli aerei che superano ogni barriera. Ed allora perché quella specie di immunità? L’unica cosa che sembrava accomunare zone tanto diverse per usi, costumi e per posizione geografica era una soltanto (anche se a prima vista senza alcuna logica): erano tutti paesi privi di strade e conseguentemente di autoveicoli. “Assurda coincidenza”, ho subito pensato…
Quasi nello stesso momento, sono stato colpito dalle categorie giudicate più a rischio dagli organi predisposti. Oltre a quelle più ovvie, venivano giudicati ad altra priorità di vaccinazione i bambini ed i giovani tra i 17 ed i 25 anni. Proprio coloro che io avrei considerato i più attivi, esuberanti, carichi di forza e vitalità. In verità i giornali ne riportavano le ragioni, ma, non so perché, a me rimaneva un senso di incompletezza. Nel contempo venivano invece penalizzate le persone più anziane di 65 anni, solitamente in primo piano nelle normali influenze. Si, avevano contratto la famosa “asiatica”, ma la cosa non mi tornava comunque. C’era ben poco senso logico in quelle decisioni, almeno per la mia scarsa competenza in merito.
Cercai di collegare questa presunta “anomalia” con quella precedente, ma l’unica cosa che mi venne in mente era che i giovani rappresentano la fetta più grande dei frequentatori delle strade urbane ed interurbane durante i fine settimana e nelle ore notturne, le più pericolose, mentre gli anziani normalmente si coricano molto presto e patiscono non poco a guidare in condizioni di scarsa visibilità. E magari sono anche poco attratti dalle discoteche. Cosa poteva mai tutto ciò avere qualcosa in comune con la mancanza di arterie automobilistiche nella Micronesia, negli altopiani sudamericani e tra i ghiacci del polo?
Poi mi capitò di leggere per caso quella rivista di veterinaria, a cui accennavo prima. Vi era un articolo abbastanza interessante che riportava accurati esperimenti eseguiti su varie specie animali. Non solo si erano utilizzati topi, cavie, ma anche animali di grossa taglia, compresi i suini (ecco il campanello di allarme che forse era suonato nel mio subconscio…). Sappiamo tutti che gli animali non sono soliti avere l’alcol nella loro dieta. Se non altro per le difficoltà lampanti di reperirlo nei supermercati, al bar o negli autogrill. Vi immaginate una volpe che chiede un Martini o un cammello che arriva alla cassa con tre bottiglie di ottimo vino tra le zampe? Nell’articolo si leggeva che era stato iniettato alcol in quantità crescente nel sangue delle varie cavie e si erano studiate le reazioni. A parte accenni di sbandamento e di difficoltà motorie (del tutto prevedibili), gli animali sotto analisi diventavano particolarmente resistenti all’attacco di diverse patologie, prima fra tutte proprio la tanto temuta influenza A-H1N1. In particolare, i maiali, imbottiti di alcol, non solo ne erano immuni, ma addirittura guarivano spontaneamente dalla nefasta malattia che avevano trasmesso all’uomo. Un risultato da studiare attentamente, soprattutto per i risvolti che poteva avere sulla preparazione di un valido vaccino. Nell’articolo si era anche ricavato il valore minimo di tasso alcolico che permetteva la completa immunità all’essere umano. Formule complesse davano un valore di 0,52. Che combinazione! Proprio appena al di sopra del limite permesso sulle nostre strade!
Leggendo la dotta relazione, fu ancora più scioccante per me conoscere il vero motivo del suffisso “A” dell’influenza così celebre in questo periodo. Non era stato casuale o dettato da motivi di catalogazione. No, era l’abbreviazione di un micro-organismo che sembrava essere proprio quello in grado di propagare l’epidemia: l’Astemiococco Suini. La mancanza assoluta di alcol etilico nel sangue delle cavie prima della somministrazione forzata favoriva senza alcun dubbio la moltiplicazione dell’Astemiococco e la sua virulenza incontrollabile. In altre parole un maiale astemio era nettamente in balia dell’infezione. Per valori superiori ad un certo tasso alcolico, il virus veniva distrutto e scompariva nel giro di poche ore.
Ed allora non ho potuto fare a meno di arrivare alle mie personali conclusioni ed a scovare finalmente un logico filo conduttore tra Micronesia, bambini, giovani in balia dell’influenza, vecchi esclusi dalla vaccinazione e scoperta dell’Astemiococco. La mancanza di strade comportava una grande libertà di bere alcolici, senza rischi di causare incidenti stradali; anche gli anziani potevano scatenarsi, avendo ben pochi motivi per uscire in macchina dopo una bella bevuta di un gran vino. D’altra parte invece i bambini non assumevano alcol e i giovani non potevano assumerlo, rischiando altrimenti di subire gravi conseguenze, dovendo assolutamente mantenere un tasso alcolico inferiore a 0,5. Queste ultime due categorie restavano perciò all’asciutto e in balia del malefico virus. Le altre due superavano invece tranquillamente il fatidico valore di 0,52. Tutto stava tornando alla perfezione… Per prevenire e combattere la tragica influenza A (dominio dell’Astemiococco) sarebbe bastato alzare il proprio tasso alcolico sopra lo 0.52. Ma questo si scontrava terribilmente contro le nuove leggi proibizionistiche e contro eventuali, ma sicuramente inesistenti, interessi delle case farmaceutiche.
Ed infine un tragico sospetto. Quali erano le regioni più colpite in Italia? Feci qualche confronto e qualche diagramma. Accidenti! Le zone più colpite erano quelle dove la cultura del vino è più scarsa o dove si utilizza spesso l’acqua per allungarlo. La meno infettata era invece proprio il Veneto, dove l’ombra, il bicchiere di bianco anche mattutino, è la norma per la maggior parte della popolazione. La legge anti-alcol cominciò a prendere una nuova logica nella mia mente sicuramente contorta: e se la campagna contro i bevitori fosse stata proprio innescata dagli interessi di chi preparava il vaccino? Meno bevitori implicano infatti più persone a rischio di essere preda dell’Astemiococco. Che assurde idee mi venivano in testa… Accidenti alla fantasia smodata ed alla mia stupida voglia di continuare a fare ricerca. Non potevo restare tranquillo, in poltrona, ad imparare tutto ciò che c’è da imparare inebriandomi con le notizie sicuramente veritiere della televisione, invece che con squallidi e colpevoli bicchieri di vino?
Tutto quanto scritto precedentemente è ovviamente un’inutile e paranoica esternazione, dovuta al mio insulso modo di ragionare e di pensare. Ne sono più che convinto e mi inchino a coloro che sanno valutare ed agire molto meglio di me. Ho quindi scacciato ogni dubbio residuo e, ritornando da un viaggio recente nell’est asiatico, ho letteralmente rimosso dalla mente anche la visita fatta in quell’ospedale in cui ai giovani malati di influenza A-H1N1 venivano somministrate “flebo” contenenti strani liquidi rossastri, il cui profumo sembrava indiscutibilmente riportare alla mente il merlot ed il cabernet.
Solo per pochi istanti ho pensato: “E se il vino fosse vicino a vincere una grande battaglia?” Poi ho dimenticato tutto ed adesso spero di essere vaccinato al più presto, avendo SOLO 64 anni ed apprezzando parecchio il grande vino… Non vorrei rischiare di deludere le case farmaceutiche ed utilizzare maldestramente una cura “alternativa” per l’Astemiococco…
Nota dell’autore: voglio dire apertamente che NON vi è niente di reale in questo articolo. E’ solo e soltanto un racconto di fantascienza, anzi di “fantavino”. Non vorrei essere accusato di istigazione verso cure alternative e finire magari in prigione! Non seguite assolutamente i consigli che potrei involontariamente avervi fornito!
Astrofisico per 40 anni, ho da sempre coltivato la passione per il vino e per il mondo che lo circonda. Vedo di traverso la seriosità che...
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Inserito da Enzo Zappalà
il 04 dicembre 2009 alle 11:57http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/Benessere/grubrica.asp?ID_blog=26&ID_articolo=1413&ID_sezione=34&sezione=News