Da cosa nasce il desiderio di modificare il disciplinare del Rosso di Montalcino di cui tanto si parla in questi giorni? A cosa serve veramente rendere possibile l'aggiunta di uve diverse dal Sangiovese alla nota denominazione di origine? La vicenda è ben riassunta in questo post di Rolando Mucciarelli con relativi link alle varie fonti. C'è addirittura una petizione di Nicolas Belfrage, rilanciata in Italia da Franco Ziliani, che sta girando in questi giorni contro la proposta di modifica del disciplinare. Il mondo del vino, quello più legato a territorio e tradizione, si è già mobilitato, schierandosi compatto contro. Ma qual è il senso di questa iniziativa?
Me lo domando senza eccessiva retorica.
Il nostro vero valore, il principale vantaggio competitivo sul resto del mondo, quello che dura al di là delle mode e del momento, credo sia l'identità resa unica dalla peculiarità ampelografica e climatica di ciascun terroir del nostro Paese. Se iniziamo a imbastardire le nostre perle migliori, le prime ambasciatrici delle caratteristiche di una certa uva, otteniamo come minimo due effetti a medio o lungo termine:
1) la confusione nel mercato: la parte di consumatori che conoscevano il prodotto come era prima delle modifiche inizieranno a trovare una promiscuità di prodotti con lo stesso nome di prima (se non per l'aggiunta del fumosissimo "superiore" nel solo uvaggio puro) ma sostanzialmente diversi anche nella tipologia di uve utilizzate e quella parte che invece ancora non lo conosce faticherà a distinguere i vari prodotti (alla vecchia e alla nuova maniera) o a farsi un'idea di cosa sia realmente un sangiovese in purezza
2) perdita d'identità: non solo per il vino ma anche per un intero territorio ricco di storia, amato e conosciuto in tutto il mondo. L'identità è un po' magia e si può vendere meglio di qualsiasi vitigno "migliorativo".
Una scelta discutibile strategicamente parlando.
Allo sperato ritorno commerciale nel breve periodo infatti (ammesso che l'intento sia quello di andare incontro ad un mercato dal gusto più "internazionale" e non quello di poter smerciare più bottiglie per accontentare grandi volumi richiesti magari a prezzi ridicoli delle grandi commesse internazionali), corrisponderà un calo sul lungo periodo, dovuto certo a questa confusione ma soprattutto alla perdita di quel tratto caratteristico e identitario che il sangiovese unito alla sua zona di maggior vocazione è ben in grado di restituire al suo degustatore in giro per il mondo.
E un Sant'Antimo di Montalcino? Proponeva beffardamente qualcuno :)
Nulla è necessariamente per sempre ma compromettere una realtà consolidata come quella di cui stiamo parlando pare lunare. Se volete imprimere bene nella memoria di cosa sappia un Sangiovese semplice, senza fronzoli o altre menate "migliorative" prima che sia troppo tardi, stappatevi un Salvino di Filippo Cintolesi (Gaiole in Chianti) o, per restare in territorio ilcinese, un Rosso di Podere Sanlorenzo (Montalcino), poi mi dite.
Nota: l'amico Luca Risso mi fa notare su twitter come il Salvino non sia in effetti un Sangiovese in purezza ma un uvaggio di antica memoria nel Chianti Classico e cioè Sangiovese in prevalenza con aggiunta di Canaiolo e Malvasia del Chianti. Ho voluto segnalarvelo comunque perché è archetipale per la comprensione di un sangiovese di base, semplice, di gran beva ed incarna perfettamente il concetto di territorialità, di vino non stravolto, di denominazione rispettata.
Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...
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