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I cancelli del vino, di Filippo Ronco

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I cancelli del vino

di Filippo Ronco

Non so perchè ma le idee migliori per scrivere sul blog s'intrufolano nei pensieri sempre ad ore inopportune, sarà un po' come quel tizio della pubblicità che "a una certa ora scrivere diventa un piacere". Pensavo al fatto che ho diversi amici, anche particolarmente appassionati che non entrano in enoteca solo perché hanno timore reverenziale nei confronti del sommelier che serve o dello stesso patron o anche solo perchè l'atmosfera del locale mette loro soggezione. Un locale dove al primo impatto, in particolare per il consumatore non abituale, si respira un'aria un po' pesante è una barriera per l'appassionato, figuriamoci per il consumatore comune.

Pur essendoci diverse enoteche nella mia città, gli amici, scherzando, mi dicono spesso: "ci vorrebbe un bel negozio del vino, un'enoteca dove poter entrare, comprare ed uscire, senza troppe menate". Questo mi dicono, segno che quelle che ci sono non vengono percepite come destinazioni possibili, il che è preoccupante.

Ripensando a una dozzina d'anni fa, ricordo distintamente una certa apprensione nel mettere piede in certi luoghi "sacri" del vino (picoli o grandi, di paese o di città, non fa grossa differenza per il newbie del vino). Il fatto credo valga anche per altre situazioni, se non è il tuo ambiente non sai come girarti, ti senti un po' come un elefante nel negozio di cristalli.

Mi chiedo allora quanto conti il fattore umano, l'enosnobismo - reale o percepito - delle singole persone e del mondo enoico nel suo complesso e quando conti l'atmosfera un po' troppo colta e ricercata o il non saper accogliere il cliente nel modo giusto nel giocarsi un'opportunità quasi garantita di vendita.

Se ben ricordo, quando decisi di iscrivermi ad un corso sul vino fu per sentirmi meno goffo durante il fatidico momento della scelta al ristorante - non vi dico quante bottiglie "tappate" mi sono scolato piuttosto che fare "brutta figura" nel chiedere magari un'errata sostituzione - ma anche perché volevo entrare, più a mio agio, nei vari locali del vino potendomi finalmente destreggiare con maggior sicurezza tra gli imponenti scaffali colmi di bottiglie che già da sole, lì, immobili, impolverate, silenziose, eleganti, lontane, costose, sono certo in grado di incutere un certo timore.

E' ancora alto il muro che separa la gente comune da un acquisto sereno se in una città con almeno 4-5 enoteche l'appassionato sente il bisogno di un negozio del vino dove destreggiarsi "senza troppe menate". E' un muro fatto di parole difficili, di enosboroni, di osti scorbutici, di saccenti che ti spiegano, di snobismo da parvenue, quello da bottiglia capovolta nel cestello, e quello da "cameriere, veloce, mi porti altre 12 bottiglie di Sassicaia".

Si può lavorarci, credo, sia da una parte che dall'altra.

Credo che per alcuni osti illuminati questa sorta di muro invisibile, eppure invalicabile, abbia anche un risvolto romantico, di tutela per un mondo che certo merita rispetto. E' sufficiente cambiare quel tanto che basta per aprire i cancelli del vino ai tanti appassionati veri, magari ancor poco eruditi che sono lì fuori ad aspettare.

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8 Commenti

Inserito da Elisabetta Tosi

il 09 gennaio 2010 alle 12:18
#1
Anch'io non amo le enoteche, ma come sempre tutto dipende da chi le gestisce.
Se ne avessi una a portata di mano con un enotecaro come Fiorenzo Sartore, ci passerei tutti i giorni, anche solo per dirgli quello che ho bevuto la sera prima.
:-)

L.

Inserito da Filippo Ronco

il 09 gennaio 2010 alle 12:24
#2
A me invece piacciono molto. Mi ci trovo bene, è un ambiente che mi affascina, mi piacerebbe perdermi ore (di solito mia moglie contribuisce ad abbreviare la sosta..) di fronte agli scaffali scrutando etichette e immaginandone i profumi e i sapori.

Ciao, Fil.

Inserito da Alessandro Franceschini

il 09 gennaio 2010 alle 12:51
#3
Anche io le adoro e ci perderei le ore, ma lo faccio raramente proprio per i motivi che hai espresso tu. L'aspetto umano è fondamentale e non, come molti pensano, l'enciclopedica conoscenza, spesso vomitata sempre e comunque, anche quando non necessaria e richiesta, a chiunque entri. Problema, per altro, presente anche nella ristorazione. Da qui il primo cancello. Il secondo cancello è la presenza o meno di mescita. Quando c'è, sempre che il primo cancello sia aperto, si crea un clima più sereno con un approccio al cliente meno museale e più conviviale. Se alle sette e mezza di sera entro in enoteca per comprare una bottiglia per la cena, ed invece di sorbirmi minuti e minuti di saccenti spiegazioni, provo un bicchiere della boccia in questione o di altro consigliatomi facendomi un aperitivo (qui ci metto la mia deriva aperitivistica milanese) e magari anche due chiacchere (non necessariamente sul vino) cambia tutto. Può essere che ne compri anche un'altra.
Cito un enoteca milanese che incarna da tanti anni tutto ciò e che non a caso è sempre pieno: Cantine Isola in via Paolo Sarpi a Milano di Luca Sarais

Inserito da Giorgio Vicinelli

il 09 gennaio 2010 alle 16:15
#4
Da prossimo gestore di un'enoteca con degustazione, con alle spalle un diploma di Sommelier e di assaggiatore ONAV, l'argomento sollevato da Filippo è per me di fondamentale importanza. Riuscire ad equilibrare la passione e la voglia di fare cultura sul vino (che è il motivo principale per cui ho lasciato un lavoro stabile e sicuro per fare questa pazzia) con un comportamento che non sia saccente e snob, è il nodo cruciale su cui ragionare. Leggevo in una statistica, che solo il 5% dell'enoteche è gestita da un sommelier professionista, ma questo non vuol certo dire che in tutte le altre ci sia approssimazione e ignoranza, anzi. E' però innegabile che nella marea di wine-bar e simili aperti nell'ultimo decennio, la superficialità con cui si affronta il tema vino è alta ed è principalmente dovuta al fatto che i gestori hanno convertito il locale per seguire la moda, senza avere basi solide con le quali riuscire a proporre il prodotto nel modo corretto.
Come dice Alessandro, credo che il modo giusto sia quello di far assaggiare, ragionare insieme al cliente, trasferire le esperienze senza imporre il proprio credo. Ed è per questo che ho sofferto un anno prima di riuscire ad aprire il locale che avevo in mente, non una semplice enoteca. Rimane il fatto che la capacità di comunicazione, il modo di porsi e di trasferire il proprio "sapere", è comunque patrimonio del singolo e quindi molto diverso da individuo e individuo, a parità di "cultura".
Ciao, Giorgio

P.S. Non a caso il locale si chiamerà Vineria Agorà: il termine greco della piazza, inteso come ambiente di socializzazione, di scambio di idee e di luogo massimo della democrazia, nella speranza che i miei clienti non debbano soffrire di agorafobia ;-)

Inserito da Luigi Bellucci

il 11 gennaio 2010 alle 13:01
#5
Giorgio sei coraggioso, ma dicci almeno DOVE sarà quest'AGORà

Inserito da Giorgio Vicinelli

il 12 gennaio 2010 alle 08:14
#6
Sì Luigi, più che coraggioso incosciente, ma spesso la vita ti stimola a cogliere queste opportunità.
Non voglio utilizzare Tigulliovino per scopi pubblicitari, ma Vinix ti può essere d'aiuto per saperne di più. Grazie!

Inserito da Luigi Bellucci

il 12 gennaio 2010 alle 16:09
#7
Su Vinix ci sono nove rimandi ad Agorà. La tua è quella di Lagonegro, giusto?
No scherzo, è quella di Villa Eubea!
Ah, no vedendo che tu sei di Lentate sul Seveso allora dev'essere quella di Seveso. OK!
Giorgio Giorgio, non avere paura di dare informazioni su richiesta, nessuna pubblicità!
Buona FORTUNA!

Inserito da Tomaso Armento

il 02 febbraio 2010 alle 17:29
#8
Certo Fil che hai ragione, sai io da produttore, prima ancora che da amatore sono entrato in enotecha chiedendomi come si fa ad essere lì, tra le star....Poi ho detto ma se voglio capire come funziona devo capire l'altra parte, ed ho iniziato a vedere le cose come uno che deve comprare non vendere. Ho trovato wine bar che proponevano vini leggendo l'etichetta e al perchè non lavorassero con produttori della zona mi hanno risposto "perchè non li chiedono" e "io ho gli obiettivi di fine anno col mio distributore, che mi vende sia vino che birra, acqua etc, mi fa anche le 6 bottiglie e in più, se raggiungo tot mi fanno sconti super, perchè devo incasinarmi coi produttori".
Insomma un conto è chi lofa perchè gli piace e un conto è chi lo fa per guadagnare. Certo ho omesso la parola "solo" prima delle due ragioni, ma credo che il mix delle due cose faccia il nuon funzionamento dei locali, in fin dei conti alla base c'è un rapporto tra persone, e più piacevole è l'esperienza migliore è l'impressione. Difficile da far capire, molto meglio per tanti barricarsi dietro quelle che giustamente si chiamano "menate"...

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Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...

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