Non so perchè ma le idee migliori per scrivere sul blog s'intrufolano nei pensieri sempre ad ore inopportune, sarà un po' come quel tizio della pubblicità che "a una certa ora scrivere diventa un piacere". Pensavo al fatto che ho diversi amici, anche particolarmente appassionati che non entrano in enoteca solo perché hanno timore reverenziale nei confronti del sommelier che serve o dello stesso patron o anche solo perchè l'atmosfera del locale mette loro soggezione. Un locale dove al primo impatto, in particolare per il consumatore non abituale, si respira un'aria un po' pesante è una barriera per l'appassionato, figuriamoci per il consumatore comune.
Pur essendoci diverse enoteche nella mia città, gli amici, scherzando, mi dicono spesso: "ci vorrebbe un bel negozio del vino, un'enoteca dove poter entrare, comprare ed uscire, senza troppe menate". Questo mi dicono, segno che quelle che ci sono non vengono percepite come destinazioni possibili, il che è preoccupante.
Ripensando a una dozzina d'anni fa, ricordo distintamente una certa apprensione nel mettere piede in certi luoghi "sacri" del vino (picoli o grandi, di paese o di città, non fa grossa differenza per il newbie del vino). Il fatto credo valga anche per altre situazioni, se non è il tuo ambiente non sai come girarti, ti senti un po' come un elefante nel negozio di cristalli.
Mi chiedo allora quanto conti il fattore umano, l'enosnobismo - reale o percepito - delle singole persone e del mondo enoico nel suo complesso e quando conti l'atmosfera un po' troppo colta e ricercata o il non saper accogliere il cliente nel modo giusto nel giocarsi un'opportunità quasi garantita di vendita.
Se ben ricordo, quando decisi di iscrivermi ad un corso sul vino fu per sentirmi meno goffo durante il fatidico momento della scelta al ristorante - non vi dico quante bottiglie "tappate" mi sono scolato piuttosto che fare "brutta figura" nel chiedere magari un'errata sostituzione - ma anche perché volevo entrare, più a mio agio, nei vari locali del vino potendomi finalmente destreggiare con maggior sicurezza tra gli imponenti scaffali colmi di bottiglie che già da sole, lì, immobili, impolverate, silenziose, eleganti, lontane, costose, sono certo in grado di incutere un certo timore.
E' ancora alto il muro che separa la gente comune da un acquisto sereno se in una città con almeno 4-5 enoteche l'appassionato sente il bisogno di un negozio del vino dove destreggiarsi "senza troppe menate". E' un muro fatto di parole difficili, di enosboroni, di osti scorbutici, di saccenti che ti spiegano, di snobismo da parvenue, quello da bottiglia capovolta nel cestello, e quello da "cameriere, veloce, mi porti altre 12 bottiglie di Sassicaia".
Si può lavorarci, credo, sia da una parte che dall'altra.
Credo che per alcuni osti illuminati questa sorta di muro invisibile, eppure invalicabile, abbia anche un risvolto romantico, di tutela per un mondo che certo merita rispetto. E' sufficiente cambiare quel tanto che basta per aprire i cancelli del vino ai tanti appassionati veri, magari ancor poco eruditi che sono lì fuori ad aspettare.
Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...
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Inserito da Elisabetta Tosi
il 09 gennaio 2010 alle 12:18Se ne avessi una a portata di mano con un enotecaro come Fiorenzo Sartore, ci passerei tutti i giorni, anche solo per dirgli quello che ho bevuto la sera prima.
:-)
L.