L'insostenibilità del modello free puro della rete
Forse faccio un buco nell'acqua ma a guardare l'andamento economico di alcune tra le maggiori realtà internazionali della rete mi domando se il modello del tutto free al quale internet sembra virtuosamente ispirarsi, sarà concretamente sostenibile nell'immediato futuro. Prendiamo YouTube per esempio: l'ultimo report arriva dalla Credit Suisse, secondo cui sui 240 milioni di dollari circa di entrate, graverebbero sul colosso del video sharing mondiale spese per ben 711 milioni di dollari. Solo di banda necessaria per sostenere la visualizzazione dei video da parte degli utenti si parla di 1 milione di dollari al giorno, mica ciufole.
Dal punto di vista di un fruitore della rete, la cosa potrebbe essere di scarsa rilevanza. Dice, chiuso un YouTube, se ne fa un altro. Vero ma a chi conviene ? A noi utenti no di sicuro. Il punto è: fino a quando ci saranno aziende disposte ad investire milioni nella realizzazione o nell'acquisizione - YouTube costò a Google qualcosa come 1,85 miliardi di dollari - di startup o portali di questa entità ? Fino a quando angel investor e ventur capitalist sosterranno tutto questo senza la certezza di un modello né profittevole né autosostenibile ? E quale sarebbe per i milioni di heavy user di tali servizi, il danno per una improvvisa chiusura e perdita di tutto il lavoro fatto ? Ben inteso, la stessa domanda potremmo porcela per Facebook o per altri servizi utilizzatissimi come Twitter o come Skype, ecc.
Questa premessa per estendervi alcune considerazioni sparse sulle quali rimugino ormai da qualche tempo - senza aver trovato una reale risposta - qui dal seggiolino del back office:
- Un qualsiasi progetto online ad accesso gratuito richiede, perché sia economicamente sostenibile, una massa critica di traffico e di utenti che gli consenta di arrivare a coprire le spese e fare profitto con la pubblicità online.
- Oltre ad una certa massa critica si passa però da una situazione di profitto ad una situazione di debito. Oltre un certo limite x, infatti, diverso per ciascun progetto online, l'ulteriore espansione diventa talmente costosa che, se basata su un modello economico esclusivamente pubblicitario, questa non riesce più ad autofinanziarsi avendo come unica prospettiva quella di chiudere o trasformare a pagamento parte o tutto ciò che fino a ieri era gratuito.
- Chi in passato (10 anni fa almeno) provò a trasformare siti nati free in siti a pagamento fallì clamorosamente (in piccolo, guardando al settore del vino, basti pensare all'ormai trascurato WineReport sotto l'allora brillante guida di Franco Ziliani). Passato che oggi terrorizza chi, ciclicamente, pensa all'opportunità / necessità di riprovarci.
- Nel frattempo va considerato che la massa di utilizzatori della rete è enormemente cresciuta e il bacino di utenza sulla quale un qualsiasi progetto online di successo può contare è enormemente più ampio rispetto ad 10 anni fa. Anche il tempo trascorso in rete è aumentato rispetto ad allora, così come la priorità di internet rispetto ai media tradizionali (almeno per le nuove generazioni).
- Viene quindi da chiedersi se l'imprescindibilità dell'uso gratuito della rete ha la stessa identica valenza di 10 anni fa oppure oggi saremmo disposti a pagare una piccola somma per poter continuare ad utilizzare servizi che sono ormai entrati a far parte dell'uso quotidiano - proprio in quanto quotidiani, come l'acqua, la luce e il gas - come YouTube, Skype o Twitter solo per fare esempi noti.
La rete oggi è quotidianità, normalità.
Non è più quello strumento ostico e marginale dei suoi primi anni di vita, è parte integrante della vita di ogni giorno, servizio globale del quale, al pari di luce, acqua e gas, sarebbe ormai ben difficile fare a meno. Ma la rete non è soltanto connettività, è anche anche e soprattutto informazione, contenuti, servizi. Potremmo chiederci, per esemplificare ulteriormente, perché se i giornali chiudono offline dal momento che non si sostengono più con la pubblicità (e ricordiamoci che i giornali oltre alla pubblicità, ai pubbliredazionali ed ai finanziamenti pubblici ricevono il pagamento del giornale stesso in edicola), online dovrebbero sopravvivere più a lungo.
[Foto credit:
lnx.sinapsi.org]
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Inserito da Giuliano Abate
il 07 aprile 2009 alle 10:02Il modello attuale non può reggere, come hai sottolineato, ma chi si è avvicinato alla rete da poco non ha ancora percezione della differenza reale di un servizio a pagamento rispetto ad uno free; esempio ne è la casella di posta elettronica.
Una recente indagine del Pew Internet & American Life Project condotta su 19 milioni di internauti il 12% si è reso disponibile a pagare un servizio gratuito fino a quel momento: erano i navigatori più smaliziati, quelli della prima ora.
Altro discorso è il valore reale del servizio stesso:oggi posso usare FB perchè "tanto non costa" ma di fronte ad una offerta commerciale le mie scelte cadrebbero su altri servizi.
Chi avrebbe mai pensato, in un passato prossimo, di dover pagare l'acqua o la raccolta della spazzatura?
Giuliano Abate