In giro per cose buone attraverso l'Emilia: formaggi, carni, salumi, dolci, paste, vini … e ristoranti
Venerdì 20 Gennaio 2006
Stamattina il termometro a Genova è finalmente risalito alla seconda cifra (da un paio di settimane viaggiava tra 0 e 5 gradi: un freddo polare, con il vento che si infila sotto gli abiti). Partiamo fiduciosi. Dobbiamo arrivare a Reggio Emilia tra le undici e mezzogiorno, per un impegno di lavoro. La meta vera però è la zona di Busseto dove ci aspettano due o tre negozi di piccoli artigiani che producono cose buone, come quelle di una volta.
Dopo Mignanego ai lati dell'Autostrada si vede la neve caduta nei giorni precedenti. Gli avvisi luminosi raccomandano prudenza, a causa del ghiaccio. In una curva la macchina sculetta leggermente, è meglio rallentare un po'. Per fortuna il cielo è sereno, ma il termometro scende a vista d'occhio, fino a -3. Il traffico è piuttosto sostenuto sull'A1, soprattutto a causa dei grossi camion. Alle undici e trenta siamo a Reggio Emilia. Lasciamo Gabriella e Alberto ai loro impegni di lavoro (ne avranno per un paio d'ore). Lilli ed io decidiamo di passeggiare in città sotto i portici che da Piazza del Tricolore portano verso il centro, per saldi.
I portici sono quelli orientali, di Via Emilia San Pietro. Sono larghi, antichi, danno un certo senso di calore e di protezione. Sono rimasti solo sul lato sud della strada, quello che d'inverno non è riscaldato dal sole; sul lato opposto sono stati abbattuti nei primi decenni dell'ottocento per allargare la sede stradale, che in effetti è molto ampia, per essere una strada secolare. Sul lato nord mi fermo ad ammirare una vecchissima edicola "Ave MARIA", ancora in perfetto stato di conservazione (o da poco ripristinata), di una bellezza sconcertante e con le figure di dimensioni quasi reali.
Poco dopo l'una ci raggiungono Gabriella e Alberto. Puntiamo decisi al numero 45 di Via Emilia San Pietro, dove apre le sue vetrine la Pasticceria Ligabue, per un breve spuntino e un assaggio delle fantastiche paste allo zabaione di Franco, che da sole valgono il viaggio.
Risaliamo in macchina e puntiamo verso Piacenza. Il sole comincia ad abbassarsi all'orizzonte, è sempre più fioco, come una candela che sta per spegnersi. L'aria è sempre più fredda, viene da stropicciarsi gli occhi; i contorni degli alberi e delle case in lontananza sono sfumati; mi sento come immerso in un bicchiere di acqua e anice, è la nebbia che pian piano scende e avvolge ogni cosa.
Usciamo dall'A1 dopo le quattro a Castelvetro. Procediamo adagio su una strada piana ma tutta curve; si vede solo la striscia bianca a destra della strada, e il fosso oltre quella. Dopo tre o quattro chilometri si vede finalmente una macchina davanti a noi, è ferma, rallento, mi fermo. Dal segnale a destra capisco che siamo a venti metri da un passaggio a livello. Stiamo tutti in silenzio, non siamo abituati alla nebbia noi genovesi per cui quell'ambiente ci affascina e ci imbarazza, come un bambino che vede qualcosa di nuovo e di strano. Dopo sette minuti finalmente si sente il fischio del treno, è vicinissimo, ma si intravede solo una massa leggermente scura che si muove poco più avanti a noi. Ripartiamo nella scia dell'auto che ci precede e dopo pochi chilometri siamo finalmente a Villanova d'Arda. Andiamo a trovare Riccardo Zani, macellaio da almeno otto generazioni, in Piazza IV Novembre.
Nel negozio c'è ancora una splendida foto del 1907 che mostra un sontuoso esemplare di mucca piacentina bardata a festa davanti alla "Macelleria mastra Aurelio Zani", circondata da alcuni ragazzi del posto, mentre due bimbe e la mamma osservano la scena da una finestra del piano superiore. Oggi Riccardo, Adriana e il figlio Marco propongono ancora carni sceltissime, macellate da loro e trattate con sapori e ricette tramandate nel tempo. Dentro al negozio si vedono ancora sul soffitto, attaccati agli archi a volta, gli anelli a cui si appendevano i quarti di bue dopo la macellazione.
Il banco propone le carni più ghiotte: prosciutti, coppe, pancetta, culatello, conigli, anitre mute, galline rosse, cotechini, zamponi, ciccioli, costate, controfiletto, braciole, bolliti, lingue, ossi buchi e preti piacentini. I preti si fanno con la carne della spalla del maiale, che deve essere disossata, salata e pepata, chiusa poi tra due robuste assi di legno per circa quindici giorni. Dopodiché si cuociono per circa quattro ore a fuoco lento e si accompagnano con un purè di patate fumante e profumato.
Adriana, da quando è diventata nonna, preferisce dedicarsi ai due nipotini, Linda e il piccolo Riccardo, che potranno, se vorranno, proseguire l'attività per altre generazioni.
Lasciamo gli Zani e riprendiamo il viaggio nella nebbia per un'altra decina di chilometri fino a Busseto. Arriviamo in Piazza Verdi che è già buio, i lampioni diffondono una luce gialla che dirada un po' la nebbia e illuminano la figura di Giuseppe Verdi seduto tra la piazza e la Rocca, al cui interno stanno il Municipio e il Teatro Verdi. Giuseppe se ne sta lì dal 1913, centenario della nascita, quando Luigi Secchi realizzò il monumento. Lasciamo la macchina a lato della piazza e andiamo a salutare Maura e Giancarlo, che gestiscono la Casa del Formaggio che sta in Piazza Verdi al 38, proprio di fronte al monumento del Maestro. Nel loro negozio si trovano i migliori parmigiani reggiani e i migliori prodotti caseari della zona. Giancarlo è un vero esperto di formaggi e sa distinguere a occhio, tra due forme, la più buona. Maura è innamoratissima del suo lavoro e la sua passione sarebbe di avviare una "merenderia" a base di salumi, formaggi e vini locali, oppure una "cacioteca" in campagna, sotto i portici di un vecchio casolare nella periferia di Busseto.
Scegliamo "I due Foscari" per la cena e il pernottamento.
Lasciamo i bagagli in albergo e facciamo due passi in centro. Una locandina informa che fra otto giorni vi sarà qui a Busseto una rappresentazione del Falstaff per ricordare il 105° anniversario della morte del Maestro. Sotto i portici di Via Roma, al numero 76, entriamo nella Salsamenteria Storica Baratta, una bottega museo del 1873, incastonata in un palazzo del XIV secolo. Tra un trofeo Verdiano e l'altro propone salumi, formaggi, vini, marmellate e tante cose buone di artigiani del posto.
Un gruppo di bussetani discute attorno a un tavolo sorseggiando da scodelle di ceramica un buon rosso locale (è il cosiddetto Lambrusco in tazza) mentre altri spezzettano con le dita del parmigiano reggiano su un foglio di carta gialla e lo portano alla bocca socchiudendo gli occhi per assaporarne fino in fondo la sapidità.
I portici dell'antica strada carolingia sono ancora in piedi come ai tempi di Ottone. Non c'è pietra che dimostri meno di qualche centinaio di anni. La serata particolarmente fredda, la nebbia che ci circonda, i pochi passanti avvolti nei loro cappotti scuri, qualche bicicletta che passa rapida sulla carreggiata, creano una poesia d'altri tempi, consentono di vivere le stesse sensazioni che provavano Verdi e la Barezzi quando lasciavano Palazzo Orlandi per una passeggiata invernale. Mi sembra di essere uno dei personaggi di Amarcord, uno di quelli che passeggiano per il Corso nella scena del "Nevone" del 1929. Stessi rumori, stessi ricordi, stesse emozioni.
Sabato 21 Gennaio 2006
La cena ai due Foscari è stata deliziosa e abbiamo dormito divinamente. Alle sette, anche se il termometro è ancora sotto zero, apro la finestra e respiro per qualche minuto l'aria gelida di questa mattina d'inverno. La nebbia si è dissolta. Per strada non c'è anima viva. Mi sento tonificato. In lontananza, sulla piazza, si sente il motore di un'auto che passa.
Usciamo alle nove per una colazione speciale sotto i portici di Via Roma, al numero 89, dove apre la Pasticceria del Portico. Gianluca propone paste freschissime e piccole sfogliatelle di gusti classici come crema o zabaione, ma anche con limone o mirtillo o caffè. Le sue specialità sono la spongata, il dolce classico di Busseto, una torta molto sottile con un esterno di pasta frolla al delicato aroma di limone e vaniglia e un ripieno di mostarda, miele, pane, uva sultanina, mandorle, nocciole, noci, fichi, e la Torta torronata, una sorta di panforte locale, di sapore delicato con sfumature che vanno dall'anice alla menta, dalla noce alla mandorla, al miele. Ma fa anche delle ottime focacce farcite con prosciutto crudo, che sono la mia passione, o salame, o coppa.
Ripassiamo alla Casa del Formaggio da Maura e Giancarlo per ritirare l'ordinazione della sera precedente, un saluto e ci dirigiamo di nuovo verso Villanova d'Arda. Riccardo Zani ci ha preparato la consueta fornitura di carni e insaccati. Un po' di prosciutto crudo e culatello tagliato di fresco e via verso casa.
La mattinata è di quelle che si ricorderanno per parecchi anni.
Gli alberi e i prati sono coperti di galaverna. Mi soffermo a guardare da vicino questo fenomeno curioso, cui noi genovesi non siamo abituati. Avvicino la punta del dito indice a un rametto di un albero e raccolgo sul polpastrello due aghetti di galaverna. Sembrano due piccoli cilindri bianchi, come le corna di una lumaca, lunghi un centimetro, lo spessore di due millimetri, si vedono le trame del ghiaccio come nei fiocchi di neve. Il contatto con la pelle li trasforma prima di colore, da bianco latte diventano trasparenti, e poi di stato, in un attimo da solidi a liquidi e infine evaporano lasciando solo una piccola scia sulla pelle, come la bava di una lumachina.
A duecento metri dagli Zani, in direzione di Cremona, la strada fa una curva ad angolo retto e passa accanto a un olmo secolare maestoso, tutto bianco come la campagna attorno, che svetta dall'alto dei suoi venti metri almeno, con addosso miliardi di aghetti di galaverna, e la sua immagine ci accompagna nel viaggio di ritorno. Arrivo a Genova, scendo dalla macchina, mi giro, lo saluto con la fantasia e lo ringrazio di averci accompagnato fino a casa.
Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...
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