Il quarto congresso italiano di cucina d'autore ha radunato in Piazza Affari, nel palazzo Mezzanotte, il meglio della cucina italiana e non solo. Quattro giorni di esaltazione di sapori, profumi, ma soprattutto di esposizione di opere d'arte perché questa cucina oggi si avvicina all'arte estetica. I piatti sono spesso delle sculture colorate. Ricordano quadri di Mirò, con le virgolette rosse o verdi, le linee nere strette su fondo bianco, i fondi colorati e profumati. Due sale, delle Grida e la Blu, ospitano le conferenze e le presentazioni, ciascuna delle quali meriterebbe una monografia.
Martedì 29 Gennaio 2008
I tentativi per riuscire a partire prima delle dieci sono vani. Impegni, telefonate, imprevisti e contrattempi ci mettono i bastoni tra le ruote e riusciamo ad arrivare a Famagosta dopo l'una. Cinque fermate di metrò linea verde fino a Cadorna e poi due di linea rossa fino a Cordusio, dove a quell'ora non scende nessuno. Duecento metri a piedi tra i palazzi imponenti della Milano degli Affari e siamo davanti alla scalinata larga di Palazzo Mezzanotte. Sulle scale una trentina di schiavi del tabacco che si rilassano chiacchierando o telefonando mentre il filo di fumo della sigaretta tra le loro dita sale nell'aria fresca di questa deliziosa giornata invernale milanese.
Al Congresso
Le graziose hostess all'ingresso ci aiutano a indossare il braccialettino colorato che fa da pass per le manifestazioni in programma. Il congresso si svolge nella sala delle grida al piano terreno e negli stand aziendali e nella sala blu al piano inferiore. Siamo tutti alla ricerca della nostra "identità golosa", o, per dirla con il Devoto - Oli del "senso del proprio essere come entità golosa distinguibile da tutte le altre", per estensione "la coscienza della nostra individualità e personalità legata al cibo e alle soddisfazioni che ci può dare o anche a tutto ciò che riteniamo attraente o accattivante". Domenica si è parlato di qualità e creatività in Lombardia e poi del laboratorio delle eccellenze. Lunedì si è allargata la visione all'Italia per parlare di Italia e di creatività, di Italia e Mondo e di alta cucina italiana nel rapporto tra il pane e la pizza. Oggi si affronta l'argomento "La cucina di gene in genio" e poi l'Abruzzo a tavola e infine l'eccellenza della carne.
Infine domani, ultimo giorno, si parlerà di creatività in Europa, della Gran Bretagna in cucina e infine della Dolce Vita, che non è Fellini ma è il dessert nella ristorazione, con un occhio particolare al cioccolato e al gelato. In questo momento nella sala delle grida ha appena finito la sua presentazione Davide Scabin del Combal zero di Rivoli, Torino e si fa pausa fino alle 14.30 quando inizierà la parata dei Sapori d'Abruzzo. A questa regione è dedicata questa mezza giornata, una regione che ha portato e porta ancora tante gioie all'enogastronomia in termini di grande semplicità ma anche qualità e sostanza.
In attesa dei primi interventi scendiamo al piano inferiore per dare un'occhiata agli stand e alle esposizioni. In fondo alle scale, a sinistra, uno stand allestito con ghiaccio e due enormi tonni freschi in esposizione, in mezzo a coppie di branzini di Pirano, per una magnificenza del pesce, che ha una grande importanza nella nostra alimentazione. Di fronte una sintetica esposizione di Food for Life e il pane di Sant'Egidio, un pane fatto di miglio, orzo, farro e grano tenero, le farine che rappresentano le colture di tutti i continenti, per sostenere il programma Dream della Comunità di Sant'Egidio.
Food for Life si affianca a Wine for Life nella lotta all'AIDS in Africa. I due progetti vogliono coinvolgere il mondo dei grandi e piccoli produttori di vino, dell'agro-alimentare e della ristorazione. Aderendo al progetto ogni produttore abbina un proprio prodotto o vino o piatto in modo che una quota del prezzo vada a sostenere il programma per combattere l'Aids e la malnutrizione. Il cliente può riconoscere il prodotto legato all'iniziativa mediante il bollino Food for Life o Wine for Life sulla confezione. Il progetto è già attivo su 45000 persone attualmente in cura in dieci paesi africani. Per questa iniziativa nel 2004 la Comunità di Sant'Egidio ha meritato il Premio Balzan per la Pace.
Bollicine e altre cose buone
Scendiamo ancora l'ultima rampetta di scale e si comincia con la visita allo stand della Carpenè Malvolti, dove Rosanna e Susy offrono un delizioso radicchio trevigiano preparato con pezzetti di fave di cacao che danno un sapore croccante e molto fine di esotico, da accompagnare al Rosè dal secchio con il ghiaccio al giusto grado di temperatura. Il radicchio e gli spuntini sono stati preparati dallo chef del Gellius di Oderzo, Alessandro Breda, e sono presentati dal Consorzio Tutela Radicchio rosso di Treviso e variegato di Castelfranco. Nei giorni precedenti si potevano provare i formaggi di Alberto Marcomini e domani sarà l'occasione per assaggiare il Prosecco con il Prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP del Consorzio di tutela. Carpenè Malvolti produce le sue bollicine negli stabilimenti di Follina e di Conegliano, dove sta anche la sede storica dell'azienda. Ha prodotto nel 2007 quasi sei milioni di bottiglie per un fatturato di 22 milioni di Euro suddiviso quasi alla pari tra Italia ed estero con oltre 33 paesi in tutto il mondo. È certificato ISO 9001 dal 1999
Girando tra i corridoi e le salette degustiamo qua e là sfiziose tartine o spume o fette di culatello, prosciutti abruzzesi, salami da tutte le regioni, uno strepitoso salame quasi nero dei maiali di cinta senese allo stand dei vini Forte con Rocco Lettieri che sostituisce la signora rimasta a casa con la bambina febbricitante.
Mentre passeggiamo una graziosa hostess bionda con i capelli lunghi ci propone un assaggio di acque e vini al padiglione della San Pellegrino.
Saliamo così al piano superiore, da dove si vede la sala della grida dall'alto, ancora quasi vuota in attesa che riprendano le dimostrazioni di cucina dei "sacerdoti" del cibo. Sul bancone asettico e tutto bianco sono preparate una decina di postazioni con tre bicchieri per l'acqua, una di rubinetto, una minerale naturale (la Panna) e una minerale gassata (la San Pellegrino) e tre bicchieri per il vino, uno spumante, un bianco fermo e un rosso. Il gioco consiste nel mettere a confronto gustativo e organolettico le acque minerali tra loro e poi i vini tra loro e infine ogni vino con ciascuna delle due acque minerali. Alla fine si scopre che l'anidride carbonica dell'acqua gassata esalta i profumi e la complessità strutturale del vino rosso ma non sfigura neppure con l'aromaticità e la delicatezza del bianco fermo mentre con lo spumante le maggiori emozioni sono date dall'acqua minerale naturale che per contrasto esalta la sapidità e la vivacità delle bollicine di spumante.
La San Pellegrino da anni lavora per la promozione delle sue acque attraverso uno studio analitico per sè stesse e in relazione alle altre bevande. Ha prodotto un primo "Water Codex" o codice dell'acqua che affronta l'arte di degustare l'acqua minerale e la sua perfetta armonizzazione con il vino. A questo è seguito un secondo Codex che mette in relazione l'acqua con le altre bevande e sta per uscire il terzo Codex che affronta l'argomento dell'abbinamento dell'acqua con l'alimentazione in generale.
Questi esperimenti possono sembrare a prima vista banali e scontati, in realtà spesso servono ad affinare e migliorare la sensibilità individuale verso l'approccio organolettico della degustazione. Chi partecipa con attenzione, anche se profano, riesce ad acquisire per lo meno una terminologia di base che prima non aveva, che lo aiuta a combinare sensazioni olfattive e gustative e a parlare il linguaggio degli esperti. È anche così che migliora la cultura di base e la fascia dei consumatori "responsabili" cresce in termini quantitativi ma soprattutto qualitativi.
Mentre ci spostiamo per raggiungere la sala delle grida si passa tra altri banchi di assaggio, con le ostriche e i cioccolatini e l'olio di Chiaramonte Gulfi.
La cucina dell'Abruzzo
Nella sala delle grida Heinz Beck commenta l'opera dei suoi collaboratori che nella cucina stanno preparando piatti a base di calamaro, come quelli che potete assaggiare alla Pergola del cavalieri Hilton di Roma. Dopo Heinz la sequela dei cuochi abruzzesi. Cominciano Peppino e Angela Tinari di Villa Maiella a Guardiagrele, con la maniera di cucinare l'agnello. Ripenso alla mia visita al loro ristorante, una decina di anni fa. Peppino era già su una strada di qualità e di crescita. Ci eravamo fermati anche a dormire da lui. Il ristorante era vicino a una bruttissima struttura di cemento che rovinava il panorama della vallata ma era capace di dare grandi emozioni nei piatti con una eccellente professionalità e un ottimo rapporto qualità prezzo. Peppino era apertissimo a suggerimenti e consigli. Io avevo apprezzato moltissimo la sua modestia e la sua bravura e ricordo che gli suggerii di mettere nella carta dei vini anche i gradi di ogni bottiglia, in modo da aiutare il cliente in una scelta ragionata del vino da accompagnare ai piatti nel corso del pasto. Da allora non ho più avuto modo di visitare l'Abruzzo né la sua sala ma oggi ho visto che in questi anni la passione per la cucina e l'attenzione verso i desideri del cliente sono cresciuti e hanno rinforzato la sua professionalità e competenza. Bravissimi.
Dopo di loro Niko Romito del ristorante Reale di Rivisondoli e poi Marcello Spadone, un'altra mia visita di dieci anni fa, alla Bandiera di Civitella Casanova, un'altra bellissima realtà che è cresciuta con la sue potenzialità di qualità e professionalità, alle prese stasera con la cucina degli animali da cortile.
Un po' di psicologia
Ancora un cuoco giovane dall'Abruzzo, Fabio Baldassarre, chef dell'Altro Mastai di Roma, che mostra una rielaborazione della bagnacauda piemontese. Il piatto che egli commenta mentre i suoi ragazzi lavorano nella cucina del congresso è splendido per ingredienti (cavolo, midollo, acciughe), è meraviglioso per composizione nel piatto e come decorazione, ma sinceramente fa a pugni con la bagnacauda che si preparava e si mangiava nella campagna piemontese d'inverno. In quel piatto c'era la stanchezza del lavoro giornaliero, la fatica del combattimento con i rigori dell'inverno, la poesia del sapore della verdura che si inzuppava nella salsa e si rompeva croccante tra il morso dei denti che la mordevano con avidità. In questo piatto c'è un gioco di elaborazione di sapori, di tecniche di cottura, di composizione finale nel piatto che ricorda più un raffinato pittore che una massaia che prepara la cena per i suoi uomini che tornano stanchi dal lavoro nei campi. In definitiva non basta esaltare i sapori dei singoli ingredienti e metterli insieme con senso artistico per riprodurre un piatto che ha avuto secoli di storia e di tradizione. Sono due cose diverse.
Infine c'è dietro un discorso anche economico, se si fa un'attenta analisi dei costi di tipo industriale. Un piatto così ha un contenuto di materia prima che non supera il valore di un euro a porzione (tre acciughe, tre morsi di midollo, una manciata di cavolo, poco altro). Il suo valore finale è dato dal lavoro di cucina e dall'attrezzatura necessaria per elaborare le varie frullature e cotture e ricotture e spume e spruzzature e spennellature e quant'altro, che lo porta alle decine di euro. Ma poi mi chiedo: "Ne vale la pena?". Perché pagare un prezzo così alto?
La risposta sta nella soddisfazione che a livello individuale si prova nel vedersi servire un piatto con una composizione inattesa, bella, piacevole e nella quale il cliente si compiace ed esalta il proprio io, un piatto nel quale il cliente ritrova la propria "identità golosa" e rafforza così le tre componenti della sua personalità: ES, IO, SUPER IO. Ciascuno di questi tre aspetti ritrova nel cibo così rielaborato la sua componente di gratificazione: aspetto, gusto, soddisfazione.
Del resto fin dai tempi di Feuerbach sappiamo che "Man ist was man east". Oggi possiamo dire che l'uomo si sente tale (cioè uomo di successo, uomo arrivato) se può permettersi di mangiare un piatto particolarmente elaborato e complesso e soprattutto caro, che solo certi uomini possono permettersi.
Non c'entra niente l'alimentazione, non c'entra niente la buona cucina, non c'entra niente la tradizione ma è solo un discorso di psicologia e di soddisfazione individuale o gratificazione.
Altre prelibatezze
È invece nella sala blu, al piano sotterraneo che si parla di una materia prima di base molto importante, si parla di carne, di eccellenza della carne, di fiorentina, di guanciale, di cappello di prete, di bollito e di muscolo, di quinto quarto, di brodo e di modo di farlo buono, di tempi di cottura, di cinghiale e di bistecca e infine di carni inglesi. Vengono fuori segreti da cuochi sui tempi di cottura, sul fuoco giusto, sulle differenze tra una carne e l'altra, tra una parte di animale e l'altra, e tra una presentazione e l'altra assaggi di piatti semplici, di pezzetti di fegato, di brodo di pollo, di brodo di manzo o di bue, ancora caldo e saporito.
Tra una sessione e l'altra alcune pause di degustazione, ai vini della Zerbina, con la simpatica e deliziosa Cristina Geminiani, ai vini e al salame del nero di cinta senese dell'azienda Forte con Rocco Lettieri a fare da padrone di casa, alle birre Moretti, la Doppio Malto con il prosciutto crudo, la Baffo d'Oro con il formaggio, la Rossa con le praline di cioccolato fondente, al banco dell'Antica Corte Pallavicina, dei fratelli Spigaroli a Polesine Parmense, sulla riva destra del Grande Fiume, il Po, nel tratto tra Parma, Piacenza e Cremona, per un assaggio eccellente del loro culatello, uno dei dieci e più appesi alla struttura a fianco dello stand, alla granita al caffè preparata con il più famoso frullatore del mondo, all'assaggio di grana padano stagionato in un tempura di porcini e salsa al prezzemolo e aglio, offerto con il sorriso sulle labbra dalle ragazze più simpatiche del congresso.
Chiudiamo in bellezza allo stand di Carpenè Malvolti, dove a Rosanna e Susy si è aggiunta Marzia, a ricomporre le tre Grazie delle bollicine, con l'assaggio del Kerner. In bellezza perché il Kerner è veramente un gran bel vino. Nasce in Germania nel 1929 da un incrocio tra Riesling Renano e Schiava grazie a Herold e arriva in Alto Adige negli anni '70 per ottenere la DOC Valle Isarco nel 1993. Questo di Carpenè Malvolti è il primo tentativo, direi più che riuscito, di spumantizzazione. Il colore è di un giallo paglierino brillante, vivo e luminoso, che esalta il perlage fine e continuo che sale dal fondo del calice. Al naso presenta sentori floreali e fruttati di pesca persistenti e nettamente puliti. In bocca ha una freschezza incredibile unita ad una solida struttura che persiste e gli dà armonia ed eleganza con un retrogusto finale di frutta bianca, mandorla e lieve sentore balsamico. Strepitoso.
Ormai la giornata è finita, si è fatto buio e riprendiamo la strada del ritorno ripassando tra i patiti del tabacco che stanno sempre sulla larga scalinata fuori di palazzo Mezzanotte.
Stasera non rientriamo a Genova ma ci fermiamo a Besate, a sud ovest di Milano, a dieci chilometri dall'uscita di Binasco. Ci aspettano l'agriturismo Cascina Caremma e la sua cucina.
Cena alla Cascina Caremma
Prima di riprendere la metro chiamo Maurizio sul cellulare. È in giro per Milano e mi risponde subito. Sono quasi tre anni che non ci vediamo. Gli propongo di vederci domani a Zelo Sorrigone, al San Galdino, davanti a un bel piatto di caseula preparato dalla signora Gianna. Forse ce la fa a venire con Angela. Speriamo. Li rivediamo molto volentieri. Da Famagosta imposto il Tom Tom per la strada normale ma l'uscita sulla tangenziale Ovest è intasata così prendiamo la A7 e usciamo a Binasco. Non c'è un filo di nebbia e arriviamo in un attimo nel Parco del Ticino e di qui alla Cascina Caremma di Besate. L'odore dei maiali e dei cavalli riempie l'aria, ma a me piace, mi sembra di tornare bambino, di rivivere le serate al Doccio dalla nonna Caterina in compagnia di zia Teresa e di zio Marino, a parlare sull'aia attorno alla luce fioca delle lampade ad acetilene.
La cascina è bassa. Ci hanno assegnato una camera a piano terra, una stanza di quelle che nel secolo scorso erano occupate dagli "obbligati", i braccianti ad annata che vivevano in queste cascine del solo loro lavoro e che da un San Martino all'altro potevano essere riconfermati per un altro anno oppure dovevano traslocare verso un nuovo padrone e una nuova fattoria. Ne parla Ermano Olmi nel suo "Albero degli zoccoli", un quadro crudo ma vero e di totale poesia sulla vita contadina dell'800 lombardo. Mi fermo a girare tra i capanni sull'aia per rivivere quei climi, quelle atmosfere, per respirare la stessa aria di allora, per fortuna però cercando solo di immaginare la miseria e la pena di quelle vite e di quelle famiglie che qui devono essere passate con le loro poche cose. Alle 20.30 oggi è l'ora della cena nelle due sale comuni con il camino acceso dove a piccoli tavoli con tovaglie bianche si accomodano gli ospiti dell'agriturismo.
Il menù è fisso e sarebbe sufficiente per sfamare un reggimento. Si comincia con otto antipasti, tutti saporiti e genuini e freschi, tra cui eccellono il cotechino con i fagioli, gli affettati e i crostini e le frittatine della casa, la crema di gorgonzola su crostini. Poi due primi, un risotto con salsiccia e fagioli e fantastici ravioli con ripieno di verdure e ricotta. Per secondo una caseula con salamino, costina e verza e una stupenda oca arrosto con mela e marroni cotti nel vino. Infine due dolci, uno strudel tiepido con panna e cannella e una esuberante meringa con panna e cioccolato liquido che la fa sembrare una montagna del paese di cuccagna. Si chiude con un bel caffè ed eventuale "correzione". A bagnare la cena un Pinot nero spumante e un Refosco dal peduncolo rosso, entrambi di buona stoffa e di buona beva.
Mentre si cena si scambiano quattro chiacchiere con i tavoli vicini. Stasera i nostri vicini sono una coppia del posto, due giovani ragazzi che hanno già un bel maschietto di sei anni, Simone, rimasto a casa con i nonni, e sono in attesa di Claudia, una bimba che è ancora nella pancia della mamma e che spunterà tra una decina di giorni al massimo. Mentre si cena sul camino una mezza dozzina di ceppi stanno bruciando e pian piano la legna si consuma, diventa brace e infine cenere e un tepore dolce si è diffuso per la stanza a coccolare gli ospiti. Torniamo in camera che sono quasi le undici e il sonno sarà ristoratore.
Mercoledì 30 Gennaio 2008
Il risveglio nella campagna della bassa milanese è sereno. Le dimore degli obbligati, il Water and Wine taste del pomeriggio e la cena abbondante hanno risvegliato l'inconscio di Gabriella che ha continuato a degustare, non più vino ma latte, in compagnia di un gruppo di inglesi con i quali la conversazione non scorreva proprio fluently e allora dovevo intervenire io per aiutarla a spiegare in inglese le sue considerazioni.
Aprendo la finestra una grata metallica ci separa dalla campagna di fronte coltivata a frutteto. La voce di una lavorante imperiosa ci fa un po' sobbalzare. Nell'aria con una sottile coltre di nebbia si spande già un tipico odore di stallatico che non è proprio il massimo, ma qui ci sta bene. La colazione è nella sala del camino grande, stamane spento, con un sintetico buffet di fette di salame appena tagliato, corn flakes, yoghurt naturale denso e gustoso, marmellata di lamponi e more, crostata di more deliziosa, succhi d'arancia e di pompelmo, caffè e latte. Nella sala a fianco un gruppo di studenti sta iniziando uno stage di quattro giorni in questa deliziosa cascina. Lasciamo la Caremma verso mezzogiorno, destinazione Fra Galdino a Zelo Surrigone per una delle migliori cassoeule della Lombardia.
Finalmente si prova quella che Carlo ritiene la migliore trattoria milanese per la caseula. È l'antica trattoria San Galdino a Zelo Surrigone. Strano nome per un paese, ma un po' di etimologia spiega subito tutto. Questi sono sempre stati territori piatti, dei tipici campi o "ager". Da ager, agellum, campicello, e di qui azellum, zellum, zelum, Zelo. La seconda parte del nome è legato alla famiglia che nel 1300 era proprietaria di questi campi, i Serigono. Il paesino sta a lato della provinciale SP30 che collega Binasco con Vermezzo e la trattoria sta proprio attaccata a un'antica chiesina del 1400, ora sconsacrata, con sulle pareti affreschi monocromatici in terra di siena di scuola chiaramente leonardesca, anzi quasi di mano del Maestro.
Semplici tendine esterne sulla porta e sulle finestre della casa gialla a un piano sopra terra vi avvisano che siete arrivati. Poco più avanti il parcheggio, sempre pieno all'ora di pranzo. Si entra nella saletta con il banco bar dietro cui la signora Gianna prepara i conti e i caffè per la sala. Di fronte due sale divise da tre aperture ad arco ovalizzato, con i tavoli su due file ben distanziate. Vi accoglie Gianni e vi fa accomodare nella sala vociante e due "tose", Valeria e Nicoleta, lo aiutano nel servizio, pulito e veloce grazie all'uso intelligente di un carrello che viaggia tra le due sale e la cucina , dove sta Paolo a preparare i piatti.
I piatti sono un tripudio della cucina lombarda, semplice e genuina, proprio quella vera di una volta, ben saporita. Oggi di primo risotto con salsiccia e barbera, la trippa (sì, sì, proprio tra i primi!), i ravioli in tutti i modi e la pasta come i ravioli. Il secondo prevede carne, la classica cotoletta, con l'osso e l'impanatura dorata. le braciole di agnello, il bollito e poi le apoteosi, la rustisciada, un fegato con cipolle arricchito di carne di maiale e salsiccia, e la caseula, perfetta con le foglie di cavolo, il guanciale, la cotica, le costine e la salsiccia di maiale, accompagnate da una bella polenta di grano marano, ricca di puntini neri che ne caratterizzano la vista e il gusto. Mentre sprofondiamo la forchetta nella massa morbida della carne di maiale della caseula passa verso un tavolo una costata con l'osso che lascia nell'aria un profumo di brace e di arrosto da far venire comunque l'acquolina in bocca. Anche i dolci sono preparati in cucina. Oggi la proposta comprende tiramisu, crostata con marmellata di lampone e torta di mele con pasta brisèe, davvero delicata e squisita. I vini sono giusti per abbinare ai piatti saporiti di questa cucina, con poche etichette ma ben strutturati.
A mezzogiorno spenderete tra i 15 e i 20 euro per un pasto completo, esclusi i vini. Un po' di più se scegliete il filetto o la costata o il vitello. Quando la temperatura lo consente, in genere maggio e giugno, si può pranzare nel cortile interno, all'aperto o sotto le piccole tettoie della casa interna. Dopo questo tripudio, se siete amanti dell'arte antica, Gianni può aprirvi la chiesetta del '400 con gli affreschi di scuola leonardesca da restaurare. Sarebbe bello se qualche ente pubblico o privato si accollasse le spese per un bel restauro completo … dobbiamo aspettare i giapponesi o gli americani come per Venezia? Quando usciamo Paolo viene a mangiare in sala a far compagnia a due clienti e amici, con la sua bandana scozzese blu e verde e con il piccolo Riccardo, di un anno e mezzo, che sta già in cucina a imparare l'arte, figlio suo e di Valeria. Quando riprendete la strada vi sentite veramente soddisfatti del pranzo e dei piatti che avete potuto provare.
Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...
ArchivioOVERTIME FESTIVAL 2020: DEGUSTAZIONI GRATUITE DI VINI AZIENDA NEVIO SCALA
il 03.10.2020 alle 13:04
4 Ristoranti Borghese, domani si va sul Conero
il 13.05.2020 alle 08:28
A cena con il Drago della Focaccia !
il 24.03.2020 alle 22:41
A cena con il Drago della Focaccia !
il 24.03.2020 alle 22:41
A cena con il Drago della Focaccia !
il 20.02.2020 alle 20:41