Sabato 01 Settembre 2012
C’è sempre qualcosa che ti incuriosisce a questo Festival della mente che dal 2004 ogni anno attira migliaia di curiosi e “vaganti” che sono rimasti eterni bambini e vogliono vedere il mondo anche con gli occhi degli altri.
In questa nona edizione mi incuriosiva l’evento numero 14 alle tre del pomeriggiodi Sabato 1° Settembre al cinema Moderno. A parlare di “cibo tra conoscenza, resistenza e penitenza” è Marino Niola, “antropologo della contemporaneità” e scrittore. È suo il freudiano “Totem e ragù – Divagazioni napoletane” in cui vi porta alla scoperta di quel continente dell’anima che si chiama Napoli.
Eccoci dunque ad ascoltare questa sua oretta dedicata al cibo.
La sinossi sul sito del Festival lo presenta così: “Senza grassi, senza zucchero, senza calorie, senza uova, senza latte, senza ogm. Oggi al cibo chiediamo soprattutto di essere senza qualcosa. E al di là delle buone intenzioni, siamo ossessionati da un’ideale di purezza e di leggerezza. Questa attenzione a quel che mangiamo fa del nostro modo di nutrirci la spia di un’insicurezza generalizzata, che proiettiamo sul cibo: facendo del controllo sugli alimenti il succedaneo rassicurante del controllo su una realtà che ci sfugge. Il risultato è un misto di etica e dietetica, salute e salvezza, normalizzazione del corpo e governo dell’anima. Un percorso sulle forme e funzioni del cibo nella società dell'insicurezza: dalla cibomania all'ortoressia, dal culto della magrezza alla crescita esponenziale dell'obesità, il cibo come un operatore simbolico che elabora i dati contraddittori del presente e costruisce ganci cognitivi e rituali cui appendere le nostre paure.”
Vediamo se riesco a capirci qualcosa.
Vi racconto com’è andata.
Marino, da buon scienziato, inizia tirando in ballo una ricerca svedese per dire che nel 2050 saremo 2 miliardi in più e ci sarà meno acqua, quindi meglio diventare tutti vegetariani perché la carne richiede molta più acqua per essere prodotta. “Mangeremo (chi ci sarà) orzo, farina di grano, focaccia”, come Platone, nella sua Repubblica, fa dire a Socrate che dialoga con Glaucone. Glaucone però vuole anche il companatico e allora Socrate concede sale, olive, formaggio, verdure cotte e pasticci di dolci e fichi e ceci e fave con mirto da bere, per vivere più a lungo e meglio.
È la necessità che detta le regole del convivere. Anche allora si temeva la siccità, dovuta al carro del sole che deviava dal suo corso, e a me viene in mente che anche allora ai sette anni di vacche grasse seguivano sette anni di vacche magre.
Sembra di leggere i giornali di oggi quando parlano di clima.
Ma tornando al cibo, esso è vita, è il vero carburante della storia. È ovvio che si mangia per vivere (Socrate), meno ovvio che si vive per mangiare (Glaucone e la necessità del superfluo).
Dai 10 milioni di terrestri della preistoria ai sette miliardi di oggi, l’evoluzione della civiltà è sempre legata al cibo: cosa, quanto, quando, come, con chi mangiare.
La fame diventa appetito, la nutrizione diventa gusto.
Il cibo è il carburante della storia. La storia del cibo non è solo fame, ma l’evoluzione dello sfizio, a partire dallo zucchero, che ha invaso le nostre tavole e il nostro immaginario ed è diventato prima la panacea di tutti i mali (acqua e zucchero della nonna) e poi, oggi, viene boicottato perché causa di diabete (il troppo non va bene).
Se è probabile che a fare la storia sia una mano invisibile, come diceva Adam Smith, allora quella mano impugna una forchetta.
Nel Cristianesimo non ci sono limiti a ciò che si può mangiare, come nel Levitico ebraico, ma è fondamentale la moderazione, come ricorda San Paolo.
Già Pitagora era il simbolo del vegetarianesimo: nell’800 si parlava ancora di “dieta pitagorica” per indicare chi si nutriva di soli vegetali.
Le considerazioni di Socrate sul cibo non sono solo dietetiche ma anche sociali e politiche.
Secondo Plutarco l’uomo è, per natura, vegetariano.
Il vegetarianesimo si sta sempre più diffondendo e molti personaggi storici di tutti i secoli sono stati vegetariani.
La nostra è diventata una civiltà “cibo-maniaca”, basta guardare la televisione per rendersene conto.
Oggi si mangia più in fretta, il pranzo principale sta diventando la cena, si sono perse le ricette delle nonne, si è perso il significato del cucinare, che si fa in fretta e contro voglia.
Al cibo oggi si chiede la salute del corpo ma anche, pare, la salvezza dell’anima, vedi l’alta percentuale di prodotti kasher venduti negli Stati Uniti (30% contro il 2% di ebrei dichiarati), perché il cibo deve essere “come Dio comanda”.
Salute diventa salvezza, fiducia diventa fede, il dietetico diventa l’etico, in un cortocircuito tra cibo e religione.
“Se non è bio, che ci pensi Dio” e allora via ai “cibi senza”, senza grasso, senza gusto, senza tutto.
Siamo ossessionati dal levare, dobbiamo essere magri e portare sul corpo le stimmate della rinuncia e della sofferenza. Il grasso è un demonio da scacciare. Il corpo ha levato la scena all’anima.
Tormentarsi per qualche chilo in più o centimetro di troppo è un indice della nostra paura di vivere.
Cambiare le nostre ansie e il nostro malessere diventa troppo complicato e si fa meno fatica a ritorcersi contro noi stessi per modificare il nostro aspetto esteriore secondo gli schemi imperanti.
Subiamo la dittatura della magrezza, tra ascetismo e autodisciplina, per mettere d’accordo anima e glutei, in una apoteosi della “microfisica del sedere”.
Nella società dell’efficienza non c’è posto per le taglie forti, che diventano “Umiliati e Obesi”, e che la società punisce riducendo le loro buste paga mediamente del 18% rispetto a quelle dei normopeso.
Nel medioevo e anche fino al secolo scorso, il grasso era segno di prestigio, potere, ricchezza, anche bellezza, talvolta. Basta guardare le donne di Rubens, di Tiziano.
Però se passava una certa misura, il grasso diventava segno di avidità e poi di parassitismo, a indicare chi ingrassa a spese della comunità.
Con la rivoluzione industriale il sovrappeso diventa un carattere individuale. Dal penale si passa al medico, da peccato diventa malattia. Fino ai primi del ‘900 nessuno conosceva il proprio peso, tranne pochissimi. Quando dal pressappoco si passa alla precisione ecco che il grasso diventa il grande nemico.
Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...
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