Il menù al cioccolato
Torniamo verso il centro coprendoci bene per i dieci gradi dell’aria, nonostante il sole caldo sopra di noi. Gianni e Lucia rientrano a Courmayeur, una parte di noi si ferma all’Eden, un’altra parte torna al Miramonti. Fino alle sei siamo liberi, poi si dovrebbe andare a fare delle riprese dall’alto.
In realtà alle sei i piani sono cambiati, quindi tutti liberi fino all’ora di cena.
Ne approfitto per conoscere più da vicino il paese e mi incammino lungo le viuzze oltre la strada statale verso il dorso della collina. Le case sono quasi tutte ben ristrutturate, la chiesa sembra il cuore del paese, poche persone lungo le stradine strette dell’interno, le fontane che gettano acqua fresca, qualche parcheggio semi vuoto, un balcone di legno in fase di ristrutturazione, molto meno complicata rispetto ad una struttura analoga in muratura. Ritorno sulla strada principale per un’occhiata alle vetrine dell’enoteca ben rifornita e con belle etichette e risalgo lungo la strada per il Piccolo San Bernardo fino alle vetrine della Chocolat Collomb, dove mi attira il filmato che mostra come si prepara la Tometta che gli ha fatto vincere la designazione di Città del Cioccolato. Sono passate le sette da un pezzo e rifaccio un giro tra gli stand ormai deserti, due ragazzini si spendono i dieci euro della mancetta per qualche dolcetto al cioccolato e nello stand degli scultori c’è ancora Mauro Chenuil (detto mastro ciliegia) che sta completando la grolla su cui ha lavorato tutto il giorno. Lo vedi che è quasi intirizzito dal freddo ma anche molto soddisfatto, a ragione, del suo bel lavoro. Giulio Jacquemod invece se ne è già andato da un pezzo. Il capannone con i tavoli per la cena è quasi deserto, solo quattro o cinque clienti tra la cucina degli alpini e quella dei tre o quattro ristoranti che hanno messo qui i loro pentoloni.
Vedi anche: Choco Lait Huile ? No – Choco La Thuile (Prima Parte)
Torno al Miramonti e mi siedo nella poltrona vicino al camino, a leggere un bel libro sulla storia della popolazione di La Thuile nei secoli, con impatti sulla storia e sull’etnografia e un approfondimento dell’evoluzione della società nel periodo attorno al 1860, con la suddivisione della Savoia dopo il passaggio della parte occidentale alla Francia di Napoleone terzo. Mi colpisce l’occupazione dei pascoli per nove anni in seguito a un’epidemia del patrimonio zootecnico della parte occidentale con la definizione di un cordone sanitario sorvegliato militarmente che privilegiava i pastori della parte orientale, che allo scadere del pericolo, faticheranno a rientrare nei ranghi. Gli egoismi umani sono sempre esistiti, quindi nulla di nuovo sotto il sole.
È arrivata l’ora di cena e lo chef propone il menù al cioccolato, che decido di provare.
Si comincia con le coscette di quaglia in insalata e gocce di cioccolato amaro al 90% e sesamo tostato. Un abbinamento indovinatissimo, gradevole e leggero, in cui il cioccolato ricorda, in meglio, una nota di vero aceto balsamico. Una nota leggermente negativa dalla carne di quaglia ancora troppo rosa, anche lontana dall’osso.
Il primo piatto è l’agnolotto di pasta al cacao ripieno di pecorino dolce, erbette e scaglie di fondente. Di nuovo una piacevole sorpresa di buona gradevolezza al gusto e di rara perfezione in cottura e presentazione.
Raffaele, il maître di origine algherese, ci consiglia un buon rosso speziato in abbinamento, un Donnas Vallée d’Aoste DOC 2007 di 13 gradi dal lotto L091011, che accompagna egregiamente i nuovi piatti così particolari.
Ed ecco in arrivo il controfiletto di cervo appena rosolato e cotto con verdure e zenzero, servito con salsa al cioccolato al 70% su coroncina di polenta e mazzolino di ribes. Di nuovo un piatto perfetto per cottura e sapori sul quale avrei ridotto la quantità della salsa che voleva visivamente sostituire, come colore e consistenza, la salsa di un brasato al barolo.
Eccezionale anche il dessert, un cremoso ai due cioccolati su base di purè di pistacchio di Bronte e pistacchi leggermente abbrustoliti con decoro di cioccolato solido a raffigurare quasi un ideogramma cinese. Ogni cucchiaiata una delizia per il palato con il verde del pistacchio sul fondo, il marrone della mousse e il croccante del pistacchio in superficie.
Un buon passito bianco valdostano si abbina alla crema delicata del piatto. Caffè infine e un elogio al bravissimo chef Emilio Brera da Pavia (se fosse un discendente del grande Gianni o Giuan fu Carlo, ne sarebbe molto fiero).
Chissà se gli altri ristoranti che hanno tentato l’approccio al cioccolato hanno avuto un successo equivalente. La cosa bella è che ogni ristorante ha definito un preciso menù e ha stabilito il relativo prezzo al pubblico, compresi i vini in abbinamento. E i prezzi sono per tutte le tasche da un minimo di 20 Euro del Soggiorno Firenze Hotel ai 50 Euro del Chalet Eden Hotel.
Si va a letto che è quasi mezzanotte e domani ci aspetta la salita al Piccolo San Bernardo in seggiovia.
Domenica 28 Agosto
Relax allo Chocolat di Collomb
Si dorme proprio bene cullati dall’aria fresca di montagna e dal borbottare in sottofondo della Dora.
Stamattina per chi se la sente è prevista una escursione a cavallo nei boschi sopra Entreves. Ma preferisco poltrire un’ora in più sotto le coperte e alzarmi per tempo per una colazione rilassante con vista sulle onde schiumose del torrente che passa oltre i vetri della sala ristorante.
Prima di vederci con gli altri, Luciano ed io dalla terrazza del Miramonti ci godiamo la vista del passeggio domenicale dei pochi abitanti o turisti già svegli, sorseggiando due caffè preparati per noi dal maître Raffaele, oggi impegnato nella sistemazione del bar. Poi scendiamo lungo la strada e, costeggiando nel primo tratto la Dora, facciamo una passeggiata oltre gli stand della fiera, lungo l’ampio stradone che passa davanti al Planibel, oggi quasi vuoto di gente e senza macchine, proprio per via di Chocolathuile. Siamo praticamente solo noi due e qualche raro turista mattiniero. Ti stupisce il silenzio dei pini e la purezza di quest’aria fina che ti rinnova i polmoni pulendoli dallo smog della città.
Ci ritroviamo con gli altri dopo le undici ai tavoli esterni della cioccolateria di Stefano per un aperitivo.
Il suono delle campane della chiesa accompagna, come un buon vino fa col cibo, la musica folk e romagnola che esce dagli altoparlanti di Choco, proprio sotto di noi.
Mentre Giampietro dietro la sua videocamera cerca gli scorci migliori, posizionato al centro del ponte sulla Dora, per le sue riprese alla bella luce della tarda mattinata, mi godo l’arcobaleno di colori tutto intorno. Il verde degli abeti e dei cespugli decora il grigio delle rocce e dei tetti di pietra. I gialli e rosa e rossi dei fiori baciati dalle api che cercano il polline abbellisce il marrone del legno di molte case e dei tavoli. Sopra di noi la cappa azzurra del cielo sembra quasi riflettere il bianco argenteo della schiuma che le acque della Dora formano scorrendo impetuose vicino al tavolino a botte a cui siamo seduti. Una mattinata incantevole anche senza la neve.
Invece dell’aperitivo preferisco un assaggio dei gelati di Stefano appena fatti, con l’eccellente cioccolato, la tometta con le nocciole fresche, il caffè, la crema, la panna e infine un cioccolatino al peperoncino, pastoso e leggermente piccante, una delizia.
Manca ancora un po’ per salire con la seggiovia e Rosanna mi accompagna a visitare la vinoteca liquorilandia Ruitor di Corrado Gressoni, proprio sul viale principale lungo la strada. Sono due locali pieni di ogni tipo di vino, con una parete intera dedicata ai soli vini valdostani, che riempiono quasi il 60% del locale. Il resto sono etichette italiane da tutte le regioni, ben ordinate negli scaffali, con i prezzi ben in vista e chiari, con ricarichi generalmente contenuti. È un piacere curiosare tra le etichette mentre Corrado accontenta i clienti.
All’ora del pranzo metà del gruppo si congeda e la metà rimanente, me compreso, si avvia verso la seggiovia per arrivare al maso scelto dagli organizzatori per il pranzo.
Cantamont – Pista 16
Sono due tratti di seggiovia per arrivare a destinazione. Il primo tratto sale dai 1441 di La Thuile ai 2088. Poi di qui ci si sposta all’entrata della seconda tratta che ti porta quasi a 2400 metri. Si vedono bene le vette innevate, la cima del Bianco sulla sinistra e il dente del Gigante sulla destra, oltre le prime punte ancora verdi. Dal punto di arrivo c’è da percorrere a piedi un chilometro circa in discesa lungo la pista 16 per arrivare allo chalet. Non ci sono numeri né indicazioni. Si vede bene dall’alto la copertura della funivia e l’omino della seggiovia ci mostra, sulla sinistra della grossa struttura, il tetto in legno di un piccolo ricovero attrezzi, oltre il quale sta lo chalet dove dobbiamo andare. Mi incammino a passo svelto lungo il sentiero, tagliando anche nei prati, dove la ripidità della discesa lo consente. È circa l’una del pomeriggio, il sole alto e il cielo pulito scaldano la terra, le pietre e la piccola vegetazione che ricopre i prati. È un sibilare e un rumoreggiare continuo di grilli e di tanti altri piccoli animali che ti tiene compagnia per tutta la discesa. Sembra incredibile come un raggio di sole possa far rinascere la vita anche a queste quote piuttosto inusuali per la maggior parte degli esseri viventi.
Arriviamo allo chalet. Un San Bernardo di piccola stazza, chiazzato bianco e nero, sta sdraiato sull’erba davanti all’ingresso, all’ombra di un ampio tendone aperto. Due tavoli di legno all’esterno sono già occupati e due sono liberi. Chiedo ad Andrea, che porta i piatti ai tavoli, se possiamo pranzare all’aperto. Siamo in cinque. Avevano già apparecchiato all’interno per noi, ci aspettavano in dodici, ma non c’è problema a sistemarci fuori.
Una famiglia con due ragazzini sta prendendo il sole a pochi metri dal cane. La giornata è splendida e il posto ti fa restare incantato. La vista spazia su quasi tutto l’arco alpino innevato del Bianco.
Il sole caldo e la pressione bassa dell’aria tirano uno scherzo mancino al mio orologio da polso, che perde il vetro all’improvviso, come se un dito dall’interno lo avesse spinto in alto.
Andrea ci porta il menù intanto che prendiamo la tintarella.
Tagliere di salumi e formaggi, guarnito con burro fresco e castagne candite.
Fontina alla griglia con due fette di patata anch’esse cotte alla griglia.
Pappardelle ai funghi porcini freschi, semplicemente perfette e deliziose.
Tagliatelle ai mirtilli e bleu d’Aosta, eccellenti per sapore e curiose da vedere con quel loro viola intenso per i frutti nell’impasto.
Strepitosa la polenta concia, servita calda e fumante con la fontina, le uova fritte sopra e la copertura di fette di prosciutto e lardo di montagna.
Un menù davvero da stenderti sotto il tavolo e non alzarti più.
Da bere un bicchiere di rosso Rouge des Vignes, più fresco e beverino, oppure un Torrettes, più corposo e complesso, con una nota erbacea appena sopra le righe.
Per dessert, torta di mele con la cannella, torta di cioccolato con zucchero a velo, mousse al cioccolato con panna e cannella.
Lo chalet è incantevole, specie in questa giornata così luminosa e calda. Elisabetta e Luca, i gestori, sono qui da due anni. Hanno lasciato Milano e un lavoro sicuro per iniziare questa avventura che per il momento sta dando tante soddisfazioni dal punto di vista del tipo di vita, in mezzo alla natura in un luogo incantevole. Hanno anche la possibilità di ospitare i clienti in due stanze con sei posti letto complessivi nel maso attaccato allo chalet. Unico neo il fatto che devono seguire la stagione sciistica che finisce in aprile e poi riaprono in luglio e agosto. Si potrebbe anche arrivare in macchina fino allo chalet, ma il comune ha messo un cartello di divieto di accesso all’inizio della strada e non informa che i clienti del ristorante potrebbero salire fin qui, in località Les Suches, perciò quando la seggiovia è chiusa, niente Cantamont.
Signor Orlandi, se non vi sono altri impedimenti, perché non permettere, a chi lo desidera, di salire fin quassù a godersi uno spettacolo da favola e gustare un buon piatto valdostano tipico.
Ormai sono passate le tre e ci incamminiamo lungo la discesa, questa volta più ripida e impegnativa, verso la base a 2088. Cammino sempre di buon passo e arrivo per primo alla seggiovia, gli altri sono ancora lontani, fuori della mia visuale, così decido di scendere da solo. Il silenzio della montagna, lo stare sospeso a decine di metri sopra il terreno, il fruscio del cavo che scorre sulle ruote in cima ai piloni, le case lontane e le macchine, che sembrano strutture di un presepio vivente, ti fanno sentire quanto piccolo e insignificante tu sia, ma nello stesso tempo di collocano al centro dell’universo e ti senti in intimo contatto con la natura e con Dio, se ci credi, come in nessun altro luogo o circostanza. L’intimità con Lui è assoluta, ancor più che all’interno di una chiesa.
Una piccola delusione
Prima che Luciano mi raggiunga al Miramonti faccio un ultimo giro tra gli stand. Mauro e Giulio hanno completato le loro sculture che andranno vendute all’asta con il ricavato dato in beneficienza, non si sa ancora a chi.
Da Matilde, allo stand Collomb, compro una tometta da portare a Chiavari e con Luciano finalmente carichiamo la macchina con tutti i bagagli.
Si parte verso le quattro. Discesa lungo l’autostrada, un intoppo di un quarto d’ora causa il solito cantiere domenicale prima di Verres, poi via libera fino a Torino e Carmagnola e poi a Bra, dove lascio Luciano.
Riparto verso Asti perché la domenica sera voglio evitare le code della Savona Genova, proseguo così sulla Torino Piacenza e poi sulla Voltri Alessandria in discesa riesco ad evitare il pienone del rientro e a non fare altre code. Alle dieci sono a Chiavari.
Gabriella mi ha preparato un bella cenetta e chiudiamo con un caffè e una fettina di tometta, “da consumarsi preferibilmente entro il 30 gennaio 2011”. Guardo bene. Eh sì, è proprio 2011. Già scaduta da otto mesi. Che figura, con Gabriella! Con Stefano ci scambiamo un paio di e-mail e viene fuori che le etichette sono state stampate alla fine di agosto e per errore è stato stampato 2011 anziché 2012 come anno di scadenza.
Ma benedetti ragazzi, l’etichetta è una cosa fondamentale sempre, ancor di più per un prodotto alimentare di pronto consumo. Almeno uno tra chi le ha preparate al computer, chi le ha stampate, chi le ha incollate e chi le ha messe in esposizione poteva controllarle!
Qualche giorno dopo mi arriva la sintesi di Rosanna, con 12000 visitatori nei tre giorni e il nome del vincitore del concorso il tuo peso in cioccolato: Mario Cagnin di Romano Canavese. Auguroni Mario, e mi raccomando, quei 91 chili di cioccolato non mangiarli troppo in fretta.
Foto Credit: Gabriella Repetto
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