Tutti noi siamo spesso in cerca di qualcosa che ci riporti a una genuinità e a una freschezza di vita antiche. Qualcosa che ci fa star bene, che ci fa sentire puliti. Sono luoghi o momenti o situazioni in cui talvolta capitiamo per caso, oppure che andiamo volutamente a cercare perché ne abbiamo un bel ricordo. È ciò che io chiamo un “luogo della memoria”.
Di recente ne ho scovato qualcuno e mi piace condividere con chi mi legge, in questo problematico capodanno 2012, le sensazioni e le emozioni provate.
Da Maria
Il primo luogo della memoria è la “famosa” Trattoria Da Maria, in Vico Testadoro 14 r, a cento metri dal Teatro Carlo Felice, da Piazza De Ferrari, da Via Garibaldi. Siamo nel cuore della Genova più bella e più sfarzosa. La più antica è quella oltre Via San Lorenzo. Qui ci sono i palazzi dei rolli, le case albergo di lusso dell’epoca d’oro della Superba, qui ci sono i palazzi sontuosi di Via Garibaldi, immortalati nei disegni di Rubens come i più belli nella strada più larga del seicento, qui ci sono le Fontane Amorose (oggi storpiato in Marose), qui ci sono i negozi di Via Roma e quelli di Via Luccoli, e quelli di Via XXV Aprile, di cui Vico Testadoro è la prima traversa a sinistra venendo dal basso.
Risalite per venti metri Vico Testadoro e sulla sinistra c’è l’ingresso della trattoria. Come varcate quella soglia siete tornati indietro di 50 anni e state per sedervi su sedie e a tavoli che hanno visto milioni di genovesi affamati, di turisti, americani, europei, asiatici, di operai con pochi soldi in tasca, di studenti squattrinati, di clochard dignitosi e molto educati, di professionisti esigenti e di uomini di cultura, di brigatisti rossi e di questori e poliziotti. Un mondo di gente comune, di quelli che incontri ogni giorno per strada.
Cosa c’è qui di diverso? C’è che qui te li trovi a pranzare o a cenare insieme a te, di fronte o di fianco o al tavolo vicino. Ci scambi due parole, se ti va, o un sorriso. Condividi il cestino del pane con loro e la lista dei piatti del giorno, sempre scritta a mano come allora, con il commento del compilatore, “buono” o “buonissimo”, accanto al dolce o al polpettone.
Qui non ci trovi i piatti elaborati o dai nomi strani, ma ti tuffi nella genuinità dei ravioli, del pesto, nei sughi di carne, nel vero minestrone alla genovese.
La scelta dei secondi è quasi infinita, dalle trippe al baccalà, dallo stoccafisso accomodato a quello lesso, dagli spezzatini ai moscardini con patate, alle seppie con piselli. Qualche volta ci sono i totani fritti o le acciughe fritte o la cima. Non manca mai il “cundigiun” né le torte salate o i polpettoni.
I contorni sono sempre saporiti e ben fatti. Io vado matto per le patate al verde con il prezzemolo tritato e il sale grosso, calde, fumanti, saporite. Ma sono ottimi i peperoni, le melanzane e tutte le verdure di stagione ed è uno sballo la salsa verde, con i bolliti, quando la fanno. Ottimi la cima, fatta da loro, la fricassea con i carciofi e i piselli, la carne con i peperoni o lo spezzatino con le patate.
Infine c’è il dolce della casa “buonissimo” con la crema e la ciliegina rossa, oppure la frutta, fresca oppure cotta nel vino, con i chiodi di garofano.
Non fa il caffè ma vi può dare un buon amaro a fine pasto per digerire se ne avete bisogno.
Per un pasto completo, primo, secondo e dolce spenderete meno di quindici euro ed uscirete soddisfatti verso la Fontana di Piazza De Ferrari per un caffè al Ducale o da Giuse in Via San Lorenzo o nei dintorni.
In cucina ci sta Paola, la nuora di Maria e in sala il figlio Matteo, che è anche cuoco. A proposito, se volete vedere come si fa la cima, guardatevi questo video di sette minuti in cui Matteo, il nipote di Maria, mancata il 7 ottobre 2008, racconta e mostra la preparazione della loro cima, da 35 uova! .
E ora vi spiego perché per me Maria è un luogo della memoria e anche un po’ magico. Io sono arrivato a Genova nel 1957 con i miei, che gestivano una trattoria come questa, al Campasso, tra Sampierdarena e Rivarolo, in Via Giuditta Tavani 14 r, la magia del 14, guarda caso lo stesso numero di Maria, con la stessa tipologia di clientela, con la stessa familiarità.
Cosa significa quella “r”? Significa rosso. A Genova tutte le vie hanno i numeri neri per i portoni e rossi per i negozi. Quindi se c’è una “r” dopo il numero vuol dire che è un negozio, se non c’è niente è un portone, perché il nero non si specifica.
E ora vediamo l’altro luogo della memoria.
Pian della Castagna
L’altro è Pian della Castagna, o Piancastagna come lo chiama chi ci va spesso.
Ci sono capitato per caso la sera di venerdì 14 ottobre 2011, ospite di Marco e Claudia che festeggiavano il “non compleanno”.
È un pomeriggio assolato di metà ottobre, asciutto e rilassante. Lasciamo Chiavari e risaliamo lentamente la costa, poi la dorsale di ponente, la Val Polcevera, fino a Pontedecimo, Campomorone, Passo della Bocchetta (un ciclista ancora pimpante sta per arrivare ai 772 metri dello scollinamento) Mulini, Voltaggio. Ancora cinque chilometri verso i Martiri della Benedicta (a proposito di memoria storica!) e Capanne di Marcarolo, fino a Pian degli Eremiti e di qui a destra per altri tre chilometri in salita, verso Bosio, e siamo arrivati. Uno chalet tutto in legno, con dieci stanzette per dormire e un salone per ballare, chiacchierare, rilassarsi. A cinquanta metri due case addossate, con uno stanzone per cenare.
Il posto si chiama Pian della Castagna, ma non ci sono indicazioni. Ci arrivate con le giuste distanze e i punti di riferimento, da Voltaggio, come ho fatto io, oppure da Ovada, Lerma, Mornese e Bosio e ancora otto chilometri sulla strada da Bosio a Voltaggio.
Qui ci sta Adolfo e gli dà una mano Paola.
Ci sediamo su una panca all’esterno insieme a Marco e Claudia, che sono già arrivati, e ad Adolfo, a goderci i raggi ancora caldi del sole che sta per tramontare.
Attorno a noi una gattina, un cane nero tranquillo e due cuccioli che si mordicchiano e si rotolano nell’erba e sulla ghiaia della strada. Più in basso due cavalli nel recinto aspettano la sera, come noi.
Pian piano arrivano gli altri amici. Saremo alla fine una ventina.
Ci spostiamo nella sala grande dello chalet per un aperitivo con Prosecco e Muller Thurgau.
Ai 700 metri di quota ti puoi godere l’aria pulita e la bellezza dei boschi e del paesaggio, con lecci, querce, qualche castagno, a perdita d’occhio, sui monti che hanno visto i martiri della Benedicta e quelli del Turchino.
Nella sala, tra un bicchiere e lo sgranocchiare i noccioline e salatini, Adolfo racconta di Santiago, del cammino verso Ovest e l’oceano, dei suoi antenati che da 900 anni sono vissuti in queste terre, di pittori e di musicisti. Il bianco frizzante scende fresco e piacevole in gola e l’occhio si sposta lungo le pareti per mettere a fuoco le belle fotografie di Gianluca Bacigalupo, dal libro Camminatori di Dio, di Bruna Scalamera, edizioni Liberodiscrivere.
Dalle finestre a sud ovest la luce si attenua, il cielo si arrossa e in pochi minuti tutto è scuro e buio, all’esterno. Non vedi più neanche una luce attorno e la bellezza del cielo stellato ripaga la fatica della salita e delle curve a ripetizione per arrivarci.
Ti senti in un luogo della memoria, dove rivedi la tua infanzia, rivivi emozioni sopite e dimenticate e al primo imbarazzo, che dura lo spazio di un sospiro, subentra la pace del cuore, la bellezza di questa serata con tanti amici, vecchi e nuovi, tra cose buone, sapori sinceri e genuini.
Sì perché nel frattempo ci siamo spostati al primo piano di una delle case del borgo antico, nella sala col camino acceso, a cenare con le frittatine di Paola e Cristina, i crostini con la salsiccia calda, il salame, il prosciutto, le verdure ripiene, le lasagne al forno bollenti e morbide, la lingua bollita con sopra la salsa verde, e infine la torta con le candeline. Bianco della Scolca in bottiglia, vino rosso in caraffa e spumante Prosecco i vini in abbinamento.
Si assaggia, si chiacchiera, ci si alza per assaggiare un altro vino dal tavolo vicino.
Il tempo scorre piacevole e quando i vassoi sono ormai vuoti torniamo nella sala grande dove Adolfo, Stefano e Nicola, i Fratelli di taglia (sì, non è un refuso) hanno messo in piedi lo spettacolo musicale con canzoni degli anni più belli, dai ’60 in poi, e il Karaoke finale per chi si vuole cimentare. Certo che non si può competere con le voci di quei tre, di Stefano e Nicola in particolare, grandi show-men dalla voce calda, morbida e potente, né con Adolfo, anche se sembra “fare il sornione”.
L’ultima festa è la lotteria dei regali di “non compleanno”. Ogni ospite ha portato un dono. Tutti i doni vengono messi su una grande tavola, numerati, e alla fine Paola estrae da un sacchettino, uno alla volta, un nome che corrisponde a quello di un ospite. E si va in ordine. L’estratto numero uno riceve il pacchetto numero uno, il secondo il pacchetto numero due, e così via finché non sono finiti i pacchetti e i nomi. E ognuno se ne va con una sorpresa e un regalo inaspettato.
La serata è finita. Alcuni riprendono le macchine e tornano in città. Altri, come noi, si fermano a dormire qui, nel silenzio della notte fonda, in una delle dieci camerette dello chalet.
Alla mattina ti sveglia la lama di luce che filtra dagli scuri in legno e il silenzio profondo della montagna. Alle nove facciamo colazione nella stanza del camino insieme a Piero e Letizia.
Paola prepara un ottimo caffè, con il latte a parte, deliziose fette di torta, con le mele e con la crema, due o tre fette di focaccia calda, qualche fettina di salame, un bicchiere di spremuta.
Le ultime chiacchiere con Adolfo, che torna dal rigoverno dei cavalli, un pensiero meditato sul libro egli ospiti a ricordo della festa ed eccoci di nuovo sulla strada del ritorno, mentre Don Paolo Farinella con i suoi parrocchiani sta risalendo il monte per passare qui la giornata di sabato a meditare e pregare in mezzo a una natura ancora integra.
Foto Credit: Gabriella Repetto
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