Le meraviglie di Venezia
Lasciamo dunque Portogruaro e puntiamo verso Venezia. Lungo la strada attraversiamo un ponte di ferro che sta proprio a cavallo del Piave e poi proseguiamo lungo la A14, anche lei tutta dritta come la Via Annia romana che ne ha suggerito il tracciato.
Per entrare a Venezia occorre fermarsi nella periferia esterna e accedere al parcheggio dove danno l’autorizzazione all’accesso alla zona a traffico limitato o ZTL. L’autista del bus per fortuna oggi può fare in fretta, non ci sono altri utenti insieme a noi quindi ripartiamo subito verso il lungo ponte della Libertà, che attraversa la laguna verso la città più amata al mondo. Da lontano se ne vede tutta l’ampiezza panoramica e se ne intuisce la poesia e la bellezza, specialmente quando il cielo è sereno come oggi e il sole del pomeriggio la illumina da ponente. Sulla destra, avvicinandosi alla città, si scorge il profilo di un mega-yacht della MSC che sovrasta chiaramente le case e i palazzi.
Il vento ha pulito l’aria e la giornata è perfetta per la nostra “gita” in barca fino a Palazzo Fortuny, dove siamo diretti come meta centrale dell’escursione di oggi.
Al molo il mare è coperto di alghe e residui di rifiuti ammucchiati dal vento e dalle correnti proprio sotto il pontile dove ci stiamo per imbarcare.
Vedi anche: Lison Pramaggiore: sorprese ed emozioni (Prima Parte)
Vedi anche: Lison Pramaggiore: Liston e Cason (Seconda Parte)
La barca gialla coperta su cui siamo saliti parte a tutta velocità e si dirige verso il molo più vicino a Palazzo Fortuny correndo quasi a pelo d’acqua. Dal nostro sedile si vedono gli spruzzi che se fossimo all’esterno ci passerebbero sopra la testa ed è un bel vedere questo volare sull’acqua come se fossimo un sasso lanciato da una mano potente che salta da un’onda alla successiva a piccoli balzi continui senza fermarsi mai.
Ci accompagna Roberta Valmarana, dell’azienda turistica di Venezia. Alla nostra destra rivediamo la struttura del Mulino Stucky sulla Giudecca e subito dopo la manifattura Fortuny, dove si lavorano ancora i tessuti.
Sbarchiamo a fianco dell’isola dei Mutuati. Un gruppo di donne floride e rubizze in costume del loro paese dai bei colori vivaci, parla una lingua sconosciuta. Sono polacche di non so quale città.
A sinistra il sestiere Dorso Duro, la passeggiata delle zattere e poi via con Guido Lion, che sarà la nostra guida per Venezia, la città del Leone di San Marco; mai nome e cognome furono così appropriati.
Intanto camminiamo tra calli e pontili e arriviamo di fronte all’ingresso di Palazzo Fortuny. La facciata esterna è molto particolare. Lo stile è gotico, i colori sono prevalentemente scuri, ma sono particolarmente interessanti le vetrate in vetro soffiato che risultano dello stesso colore ma con diverse sfumature, a causa del tipo di sabbia usata nell’impasto.
Il Palazzo è stato costruito nel 1400 dai nobili Pesaro che vi abitarono fino al 1700 quando si trasferirono in Ca' Pesaro ed è quindi conosciuto anche come Palazzo Pesaro degli Orfei. Il riferimento agli Orfei ricorda che per un certo tempo fu sede dell'Accademia Filarmonica degli Orfei, che erano dei musicisti. È solo all’inizio del 1900 che vi installa il suo laboratorio Mariano Fortuny, un personaggio estroverso ed eclettico come pochi altri, fotografo, costumista, scenografo, di origini catalane, il cui nome originale, da lui stesso italianizzato, era Marià Fortuny i de Madrazo.
Viaggiando come fotografo vide a Creta una statua che indossava un chitone di lino crespato. Gli piacque talmente che decise di produrre lui stesso questo tessuto utilizzando però la seta plissettata. Nacque così nel 1907 il suo primo vestito come creatore di moda. Quel tipo di stoffa si chiamò Delphos proprio in omaggio all’auriga di Delfi che lo aveva ispirato. La seta veniva increspata a mano sul tessuto umido, si fissava con cuciture e infine si stiravano. L’ultimo tocco era l’ornamento con nastri di perle di vetro soffiato di Murano. Il tessuto piacque molto anche a Sarah Bernhardt che lo indossava spesso, lanciando quasi una moda. Così pure amò quel tipo di tessuto la Peggy Guggenheim che visse molto a Venezia e probabilmente conobbe lo stesso Fortuny. Infatti fu proprio nel 1949, anno della morte di Mariano, che Peggy aprì la sua Collezione in Palazzo Venier dei Leoni sul Canal Grande che aveva acquistato nel 1948.
All’interno del museo si resta ammirati dall’ampiezza del salone, dai reperti artistici che vi si trovano a tutte le altezze, per terra, sui mobili, alle pareti, nelle bacheche, sui soffitti e ovunque si posi lo sguardo.
Fortuny lavora sulle tracce della Venezia gotica e medievale da cui trae gran parte della sua ispirazione. I suoi tessuti sono stati riprodotti su carta bianca dipinta da Isabelle de Borchgrave, un’artista belga che espone all’interno del palazzo, a piano terra, le sue ri-creazioni fortuniane.
Usciamo da Palazzo Fortuny e prendiamo verso il Ponte di Rialto per visitare il Fondaco dei Tedeschi, in Campo San Bartolomeo, ora sede di un ufficio di Poste Italiane.
Il nome fondaco deriva dal turco "funduq", che significa deposito o magazzino, in genere realizzato al piano terra di antichi palazzi nobiliari. Dalla stessa radice nasce anche il modo di dire di una nave che è “alla fonda” quando carica e scarica le merci.
L’edificio conserva ancora la struttura del deposito con archi laterali su due livelli. In questa zona le merci venivano ammassate sotto gli archi dei primi due livelli. Al terzo livello invece vivevano i facchini e i domestici.
Incuriosisce una targa che riporta 1507 m.v. e la nostra guida Lion ci spiega che i veneziani misuravano il tempo a modo loro, appunto “more veneto” in quanto l’anno veneziano inizia il 25 marzo, esattamente nove mesi prima del Natale, in onore si dice del concepimento di Nostro Signore nel grembo di Maria sua madre.
In questo Fondaco visse a suo tempo Albrecht Durer, contemporaneo di Giovanni Bellini e di Antonello da Messina, con i quali lavorò in una chiesa qui vicino.
Passiamo poi vicino al Ponte di Rialto, che fino al 1588 era in legno ed era costruito a ponte levatoio per lasciare il transito alle barche più grosse. Dopo almeno un paio di crolli per la troppa folla, fu modificato nel disegno e finalmente, nel 1591, fu realizzato in pietra nella sua forma attuale, del resto simile a quella precedente in legno. Non fu lasciato il ponte levatoio ma si fece abbastanza alto da far passare sotto la sua arcata anche le barche più grosse di allora.
Rigiriamo sui nostri passi e per calli e per ponti si arriva al bar La Fenice, proprio di fianco del Teatro rimesso a nuovo perfettamente dopo l’incendio che lo aveva distrutto qualche anno fa.
Sotto i tendoni bianchi del bar si assaggia il bianco Lison 2007 di Valent di Belfiore e dopo un rosso 2006, un Refosco dell’azienda agricola La Baratta di Giancarlo Crosariol di Annone Veneto, accompagnati da piacevoli stuzzichini ancora caldi.
Si torna infine alla barca e a un certo punto in fondo alla stradina che porta al punto d’imbarco sul Canal Grande resto stupito e incredulo nel veder sfilare lentamente un palazzo di quindici piani. È lo scafo gigantesco della MSC Poesia, con bandiera panamense, che sta transitando proprio in quel momento. La fiancata scorre pigramente davanti a noi, in fondo alla calle, fino ad andarsi poi a fermare davanti a Piazza San Marco.
La cena da Ca' Menego
Con ancora negli occhi la straripante Poesia che pigramente scorre arriviamo a Sumaga di Portogruaro. Siamo a cena all’Agriturismo Ca’ Menego, da poco associato alla strada.
Intanto che si sta preparando la tavola un benvenuto di Giorgio Piazza, Presidente del Consorzio in scadenza, che lavora con l’Università di Padova e di Udine su due vitigni di tipo Lison, o ex Tocai.
La DOC Lison Pramaggiore è una denominazione ad alta tecnologia e con un ottimo rapporto qualità prezzo.
Dopo Giorgio ascoltiamo Laura Pavan che presenta la nuova guida Terre della Venezia Orientale con tante informazioni che vogliono invitare il turista ad esplorare l’entroterra di Venezia e non fermarsi solo sulla città di San Marco. La guida illustra quattro itinerari dalle località balneari lungo gli assi fluviali a risalire, dal Sile al Tagliamento, a visitare centri storici e un infinito patrimonio architettonico e culturale, oltre a parchi naturalistici, aree fluviali, laghi. Ognuno dei quattro itinerari riporta una sintesi finale di operatori e dei loro prodotti. Non potevano mancare i riferimenti alle manifestazioni di tutti i tipi, culturali, sportive, ricreative.
Un’altra interessante novità sono le guide dei percorsi ciclistici. Sono state pensate come educazione ambientale per le scuole del territorio nel 2000 e sono sponsorizzate dalla Provincia di Venezia. Oggi sono proposte anche ai turisti e descrivono itinerari che si possono seguire anche in automobile e si prevede di farne un’edizione da poter utilizzare anche attraverso il Tom Tom.
Alle 21.30 inizia la cena. Si comincia con Lonza affumicata su rucola e montasio, salame, coppa e peperoni ella casa in agrodolce, accompagnato da un Cabernet Franc 2007 dell’azienda Bellotto.
Per primo un Orzotto con asparagi ed erbette di campo e poi taglierini, zucchine e salsiccia. Il vino è un Merlot 2006 di Amadio Francesca, una piccola azienda con 12 ettari di vigneto. Il Merlot è a vendemmia tardiva con diradamento in campo, macerazione di otto giorni a 28 gradi e infine un breve affinamento in barrique.
Per secondo Faraona al cartoccio con patate al rosmarino e verdure, cotte e crude. Si abbina divinamente al Refosco 2006 Belfiore dell’Azienda Borgo Stainbech, di cui Giuliano Valent ci racconta come nasce.
Per dolce una crostata di prugne accompagnata da un Verduzzo 2007 dell’azienda Le Contrade, che coltiva 30 ettari vitati, leggermente spumantizzato, con un fondo leggermente abboccato. Si ottiene per criomacerazione e presa di spuma, con rifermentazione in autoclave.
Alla fine Fabiano, proprietario e cuoco di Cà Menego, ci tiene a sottolineare che tutti i suoi piatti sono preparati con prodotti dell’azienda e il filo conduttore di ciò che abbiamo assaggiato stasera è proprio la tradizione della cucina veneta.
Foto Credit: Gabriella Repetto
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