Dal 20 al 22 giugno un viaggio tra le bellezze umbre, per cuochi bravi e famosi. Ristoranti, produttori di tartufi, il Museo di Sansepolcro, alla scoperta delle meraviglie di Gubbio e del Parco Territoriale, insieme a Claudio Zeni, a Rita e Manuela. Prodotti di eccellenza del territorio, bellezze artistiche, Santuari, in questi luoghi così descritti da Dante nell’undicesimo canto del Paradiso:
Intra Tupino e l’acqua che discende
del colle eletto dal Beato Ubaldo
fertile costa d’alto monte pende
Insomma due giorni intensi e piacevoli da ricordare con simpatia.
Venerdì 20 Giugno 2008
L’arrivo a Gubbio prima di sera
Si parte da Chiavari poco dopo le due del pomeriggio. Al mattino un convegno all’antico convento di San Francesco sul recupero degli edifici storici oppure solo vecchi. Tecniche moderne, normativa, esperienze ed esempi. Qualche politico e molti tecnici per capire tipi di interventi possibili, costi e opportunità di recupero.
Nel primo pomeriggio verso Gubbio. Oggi è proprio l’ultimo giorno di primavera. Domani comincia l’estate ma già oggi finalmente niente nubi e un bel sole. Vicino al mare ci sono 26 gradi. All’interno si arriva oltre i trenta. Solita coda di mezz’ora al nodo di Firenze per i lavori della terza corsia che non finiscono mai.
In questi giorni mi veniva da ridere sull’efficienza italiana. Sei mesi fa una frana aveva bloccato l’Aurelia verso Noli e la strada era stata chiusa. Dopo sei mesi si annunciava che finalmente la strada era stata riaperta al traffico. Dunque sei mesi per togliere qualche tonnellata di terriccio dalla strada e rinforzare il monte soprastante. Un lavoro di qualche giornata di una squadra di operai. Mi veniva da ridere, dicevo, perché qualche mese fa in una conferenza sui grandi ponti nella storia, si diceva che i cinesi nel 2007 hanno costruito il più lungo ponte a una singola arcata, di circa due chilometri, in soli nove mesi, iniziato a Febbraio e inaugurato a Novembre. Certo che se i nostri politici guardassero un po’ di più fuori casa certe cose come la frana sull’Aurelia magari sarebbero sistemate in non più di tre giorni e non diventerebbero una vergogna nazionale.
Ma proseguiamo tra un pensiero veloce e un cammino a strappi fino ad Arezzo, dove lasciamo l’autostrada e poi verso Sansepolcro, un pezzo di E25 e infine la strada per Fano fino a Gubbio. Arriviamo e già la vista del sole che arrossa le facciate di torri e chiese e palazzi nell’ora del tramonto è fascinosa e suggestiva. Sopra il monte coperto di faggi e cipressi e pini spunta il campanile della chiesa di Sant’Ubaldo. Arriviamo al punto d’incontro poco prima delle otto. È il Park Hotel dei Cappuccini, una struttura nuovissima e ben rifinita, con all’interno, nelle sale comuni, tantissimi quadri e arazzi e mobili e sculture che lo fanno assomigliare più a un museo di arte rinascimentale con qualcosa anche di contemporaneo, che ad un albergo quattro stelle. Gentilissimo anche tutto il personale, che ti viene a prendere le valigie direttamente alla macchina, ti sorride quando ti accoglie e quando te ne vai, ti fa sentire a tuo agio in qualsiasi circostanza, bravi e professionali.
La cena alla Fornace di Mastro Giorgio
Si va in centro con Rita e Manuela. Due passi nel centro, su per le strade ripide di Gubbio bassa, per un saluto a Rodolfo Mencarelli, patron della Locanda del Lupo, dove ceneremo domani sera. Lui per domani ha degli impegni così passiamo a salutarlo stasera. Poi saliamo qualche decina di metri fino alla Fornace di Mastro Giorgio, dove ci aspettano Vinicio Rosati e suo figlio Giuseppe, che oggi gestisce il locale. Vinicio ha iniziato a lavorare nella ristorazione dal 1957 quando frequentava la scuola alberghiera a San Donà di Piave. Poi dal 1968 con la moglie gestisce il ristorante La funivia, vicino alla Chiesa di Sant’Ubaldo. Il figlio Giuseppe invece è qui alla Fornace dal 1997. Si entra nell’enoteca dove sono stati preparati gli stuzzichini che accompagnano l’aperitivo, un Riesling in magnum de La Palazzola, del 1995, in bollicine, niente male, secco e ben fresco, con il suo delizioso profumo di crosta di pane. Su un tavolino a lato del locale sono in attesa di essere assaggiati una sontuosa coppa di testa e del prosciutto crudo stagionato diciotto mesi tagliato a violino dal maitre, che tra un taglio e l’altro ci prepara anche una deliziosa frittata con una spruzzatina di tartufo eugubino lamellato al momento. Squisita e non così comune da trovare una bavarese di pecorino nel suo bicchierino, guarnita con due foglie di mentuccia e immersa in una salsa di sapa. E poi ancora ciauscolo e focaccia alla genovese a alla pugliese, con fettine di pomodoro fresco in superficie.
Dopo questo tripudio di sapori del territorio si scende, per una scala appoggiata alla fornace dove Mastro Giorgio preparava le sue ceramiche famose in Umbria e nel mondo antico, fino alla sala dove ceneremo, attorno a tre bei tavoli rotondi nella saletta predisposta per noi. Mentre Claudio presenta i giornalisti già seduti, i camerieri portano in tavola gli antipasti. Si comincia con un piatto molto particolare, una rivisitazione della carne alla tartara. Si tratta di una Tartare di Pezza bianca con Panzanella, pesto di Valeriana, Tartufo di Gubbio e Uovo pochè (o in camicia). Particolare perché presentato in una scodella di colore verde e con ingredienti separati, una sorta di destrutturazione. E qui si va sul personale. A me è piaciuto molto perché amo la tartare e i suoi ingredienti e questi erano tutti perfetti. A qualcuno ha dato fastidio la sovrapposizione delle sostanze. In definitiva un piatto diverso ma con il massimo rispetto della tradizione e del territorio e dei suoi prodotti. Il vino in accompagnamento è un Bianco del Cavaliere 2007 di Todini, di 13,5 gradi.
A seguire, dopo l’intermezzo di Claudio che racconta il programma per domani, le Tagliatelle con ragout di Germano Reale e salsa di coriandolo e fois-gras, opera di Gianluca Leoni, chef del Ristorante il Sole di Trebbo, che ha lasciato la sua Bologna per venire qui Andrea Gubbio a prepararci questa sua proposta. Anche qui siamo all’eccellenza dei sapori e del gusto. Un piatto completo e saporito, che non ha bisogno di aggiunte, che troppo spesso sono necessarie per dare personalità a ciò che arriva in tavola. A me succede spesso con i primi piatti di dover inserire un filo di olio extravergine “buono”, se il ristoratore lo ha in sala, per migliorare il piatto. Ma stasera non ce n’è assolutamente bisogno perché il condimento per le tagliatelle, vere bolognesi, è già perfetto.
In abbinamento un vino rosso importante, un Nero Outsider 2001 di A. Caprai, di 13 gradi, da una magnum. Un Pinot nero in purezza, davvero importante e abbinato con grande coraggio. Il piatto forte è stato preparato da un altro grande chef della nostra cucina, Lucio Pompili, del Ristorante Symposium Quattro Stagioni di Cartoceto, in quel di Pesaro. Il piatto viene servito in tavola dagli allievi della scuola alberghiera di Camerino e San Pellegrino, coperto dalla campana di acciaio che viene tolta simultaneamente dai ragazzi a un cenno di Lucio che dirige anche il servizio in sala del suo piatto. Si tratta di un Lombo di Cinghiale selvatico con polentina e frutti rossi al profumo di selvaggio, e qui Lucio in persona ci spiega la differenza tra il selvatico che è riferito al cinghiale che lui stesso alleva in un piccolo parco di tre ettari a Cartoceto, e il selvaggio che è riferito al formaggio caprino di Beltrami (si tratta di un caprino fresco, con una stagionatura di venti giorni che Vittorio Beltrami produce a Cartoceto) che sta tra il lombo e lo strato di polenta sul fondo del piatto. I frutti rossi sono le more del filo che orna la composizione del piatto. Il vino per il lombo di Lucio è ancora un Arnaldo Caprai, il suo top, il Sagrantino di Montefalco 2004, di 14 gradi, semplicemente perfetto. Unico neo del piatto, per le dentature meno forti, la resistenza della carne di cinghiale, forse dovuta a problemi di cottura.
Per finire il dolce, una crema di Lime e Coulis di fragole preparato da Michele, lo chef della Fornace di Mastro Giorgio, un ragazzo molto timido e riservato ma ancora di più bravo, professionale e modesto. A seguire i tozzetti con il Vin Santo 2003 La Palazzola, un IGT di 11 gradi dal colore ambrato, alla giusta temperatura ma con un residuo zuccherino leggermente eccessivo. Per ultime le coccole finali per viziare la bocca prima del caffè, con tartufino morbidi, biscotti al cioccolato, biscottini al cocco e cialde di zucchero. È un’usanza di Gubbio quella di eleggere matti ad honorem i personaggi che per qualche motivo meritano di essere ricordati. Per la cena di stasera dunque Giuseppe Rosati ha preparato i diplomi di matto ad honorem per i due chef Gianluca e Lucio, nominati così veri eugubini.
Gubbio di notte
Si esce dal ristorante per una passeggiata tra le case illuminate della notte eugubina. Scale ripide fino alla Piazza del palazzo da cui si vede tutta la città dall’alto. La serata è fresca e ventilata. La luna nel cielo ammicca quasi rotonda, nella prima serata di luna calante, mentre saliamo verso il palazzo dei Consoli e Piazza Grande, una piazza pensile del 1300 e poi il palazzo Ducale voluto da Federico da Montefeltro, noto come Duca di Urbino, ma legatissimo a questa città perchè nacque qui vicino, nel Castello di Petroia, oggi frazione del comune di Gubbio. È da poco passata mezzanotte e si chiacchiera sottovoce in questo angolo di città romana. Siamo nella parte alta della Gubbio romana e pian piano scendiamo lungo Via dei Consoli fino alla fontana dei matti in Largo del Bargello, a 150 metri dalla casa di Sant’Ubaldo in Via San Giuliano. Si dice che chi fa tre giri attorno alla fontana e poi viene battezzato da uno di Gubbio con l’acqua della fontana diventa anche lui matto, e così Rita si presta a fare da aspersorio a quelli del gruppo che vogliono diventare “matti”.
Torniamo a gruppetti verso i parcheggi delle auto passando attraverso la Gubbio romana e poi quella medioevale, più casuale nella disposizione delle case e dei palazzi, con le vie che si collegano senza un piano prestabilito, ma solo in base allo sviluppo storico del quartiere e delle costruzioni. È passata l’una quando arriviamo all’Hotel dei Cappuccini con Manuela che ci ha accompagnato prima di tornarsene nella sua Urbino, che non è dietro l’angolo. La salutiamo qui perché domani non sarà dei nostri nelle visite alle strutture del territorio.
Sabato 21 Giugno 2008
L’Hotel dei Cappuccini
La colazione è all’aperto, nel parco davanti all’hotel. Il sole è già quasi alto e si attende l’inizio della visita alla struttura assaggiando caffé e torte, salumi e formaggi, frutta e marmellate seduti ai tavoli esterni, sotto ampi tendoni di stoffa chiara che fanno filtrare qua e là i raggi del sole già caldo. La visita con il direttore commerciale inizia dalla reception dove siamo arrivati la sera precedente.
L’hotel fa parte della catena SLH o “Small Luxury Hotels of the world”, che unisce alberghi di un certo livello in oltre settanta paesi nel mondo. La struttura è ricchissima di opere d’arte e di reperti storici di provenienza regionale o nazionale.
Visitiamo la cantinetta, dove si ammira un vecchio baulone, di dimensioni eccezionale, poi visitiamo la cappella. Passando per le stanze e i corridoi non si può fare a meno di ammirare le numerose opere di arte antica e moderna appese alle pareti o appoggiate sui mobili, affreschi di Caporossi, sculture di Giò Pomodoro. Nella vecchia chiesa dell’antico convento è stato ricavato un bellissimo Salone dei Congressi. Usciamo poi sulla terrazza coperta, da cui si gode un’ampia vista sui tetti di Gubbio verso ponente e sul parco attorno all’hotel.
Saliamo poi al secondo piano per una visita veloce del centro estetico, della palestra, bellissima con gli ampi specchi alle pareti e la ricchissima attrezzatura, e della piscina. Tutte le strutture sono a disposizione gratuitamente per gli ospiti dell’hotel, compresi i campi da tenni e da calcetto che sono stati ricavati sul tetto, sfruttando il degradare della collina su cui si trova l’hotel
I tartufi di Bianconi
Alla fine della visita si parte per la visita all’azienda Bianconi. È una piccola casetta in aperta campagna, ma ricca di sorprese e di cose interessanti, oltre che squisite, dove vi accolgono Saverio e Gabriella per farvi conoscere (se ancora lo ignorate) i segreti e la bontà del tartufo. L’azienda lavora sia il tartufo fresco, sia quello congelato e ha un procedimento di invasettamento con l’uso di una moderna autoclave per la sterilizzazione. Ormai i loro clienti sono in tutto il mondo, anche in America e in Australia, in Cile e in Nuova Zelanda. I clienti americani sono grandi consumatori del tartufo essiccato. Nei mesi da giugno a settembre avviene la raccolta del tartufo fresco, quello nero. I cercatori lo consegnano per la lavorazione quando è ancora fresco e profumato.
Il tartufo fresco viene conservato esclusivamente in olio i oliva extravergine e già questo denota la serietà e la professionalità di Saverio. Encomiabile il suo entusiasmo mentre ci accompagna in giro per l’azienda e quando ci mostra tutte le cose che ha messo insieme nella stanza dedicata al museo del tartufo. Secondo Saverio l’abbinamento ideale per il tartufo nero, come bevanda, è il vino bianco leggermente mosso, oppure l’acqua, mentre non va assolutamente bene il vino rosso.
Nel museo sarebbe da perderci almeno mezza giornata, tante sono le informazioni da leggere, i libri da consultare, le stampe da ammirare, la lista dei diversi tipi di tartufi, bianchi e neri, i modi di ricerca, quello col cane, quello con il maiale e la mosca. Saverio ci svela poi anche qualche trucco del mestiere, lui che ha iniziato come cercatore, prima di dedicarsi alla conservazione, ad esempio ci informa che quando una pianta ha il tartufo nero, non cresce più l’erba attorno al suo tronco. Infine ci racconta della festa di Citerna dedicata al tartufo e ai prodotti del territorio, di quella di Bisaccia e del mestiere del tartufaio.
Alla fine proviamo vari assaggi di tartufi, iniziando da quello bianco con il burro, poi quello bianco macinato con sentori di agli, quello nero estivo a fettine e infine quello nero di Norcia invernale o del Perigord, particolarmente profumato.
Il tempo purtroppo è il nostro nemico e dobbiamo ripartire in fretta perché ci aspettano a Sansepolcro per la visita alla città e poi il pranzo.
Il pranzo alla Balestra di Sansepolcro
Abbiamo appuntamento alla Balestra di Giovanni Tricca con Roberto Rossi, Presidente del Patto Territoriale dell’Appennino Centrale, gestito da una società a partecipazione pubblica, con enti territoriali e Camera di Commercio.
Al ristorante di Giovanni avremo modo di rivivere sensazioni di un viaggio a ritroso nel tempo, che è possibile percorrere grazie alla Strada del Tartufo d’ Italia e d’Europa, disegnata proprio dal Patto Territoriale dell’Appennino Centrale, un’associazione a cavallo di quattro regioni: Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria, undici Comunità montane dell’Appennino Centrale di quattro province, Forlì Cesena, Arezzo, Perugia e Pesaro Urbino.
Da tre anni il Patto organizza eventi per promuovere i prodotti locali e il territorio, con la ciliegina sulla torta delle opere e dei luoghi di Piero della Francesca.
Il menù di oggi, preparato in parte a buffet e in parte servito, prevede antipasto di salumi del territorio, pomodori secchi, bruschetta, aglio marinato (una squisitezza), porchetta. Al violino la simpatica Anna Maria. Sotto il pergolato del giardino assaggiamo poi ravioli ai funghi porcini, Guanciale al Nobile di Montepulciano, con fiori fritti e funghi fritti, e per dolci la Mantovana e il Torcolo di Anghiari, e poi gelato, Tozzetti, Vin Santo e Caffé.
Durante il pranzo abbiamo accompagnato i piatti con vini rossi della Fattoria La Striscia, della Strada del Vino di Arezzo, illustrati da Giacomo, responsabile della cantina, il cui enologo è Daniele Rosellini. Si è iniziato con un Bernardino, Chianti DOCG del 2007 di 13 gradi dal lotto L01/08 e bollo AAQ06984372 (la produzione è di 20000 bottiglie), dal colore rubino carico. Al naso è pulito e complesso, con sentori di frutti rossi maturi, spezie e prugna. In bocca mostra un buon equilibrio, una discreta armonia e persistenza, con una lieve tannicità e un retrogusto di frutti rossi maturi tra cui spicca il mirtillo. Il vitigno base è Sangiovese (85%), con Canaiolo, Trebbiano e Malvasia per un affinamento in bottiglia di due mesi.
Il secondo vino è Occhini, un Toscana IGT 2006, di 14 gradi. Ha un colore rubino intenso con al naso una buona pulizia e nota evidente di complessità per sentori di frutti rossi maturi e di confettura di ciliegie. In bocca è discretamente equilibrato, persistente, di buon corpo e un piacevolissimo retrogusto di ciliegia fresca. Anche per Occhini il vitigno base è Sangiovese (85%), con Merlot per la parte restante e affinamento di dodici mesi in barrique.
In degustazione anche un interessantissimo vino bianco dell’azienda agricola Samuele Guerrini di Pergine Val d’Arno. Si tratta del bianco Principessa Gaia, Antica Tenuta Giacometti, un Toscana IGT 2007 di 12 gradi dal lotto L02.08 ottenuto da Chardonnay e Sauvignon Blanc. Il colore è un paglierino chiaro con riflessi verdognoli. Al naso si avvertono decisi sentori fruttati e floreali, pieni, persistenti e puliti, con note di pera e lievi note balsamiche che ricordano l’anice.
In bocca si presenta ben equilibrato e armonico, con una buona struttura, persistente e piacevole. Al retrogusto finale rimangono l’anice e una lieve sensazione di mandorla appena amara. Il pranzo è finito. Giovanni col suo fare bonario da padrone di casa si preoccupa che tutto sia andato secondo le aspettative e ci lasciamo per una passeggiata tra le vecchie case del centro storico
Il museo civico e Piero della Francesca
Dopo una breve passeggiata al sole estivo arriviamo all’ingresso del Museo civico per rimanere una mezz’oretta ad ammirare il grande maestro Piero della Francesca e le sue famosissime tele che ogni volta propongono nuove emozioni e sensazioni anche in chi le ha già viste e ammirate decine di volte. Questa è la grandezza di una certa arte, quando un’opera è sempre nuova, ha sempre lati da scoprire, particolari da ricollegare al resto della composizione, sfumature di luci e di colori nuovi e meravigliosi. La passeggiata si concentra nelle tele principali e poi una veloce panoramica delle altre opere, pitture e sculture, conservate nel museo. Il tempo tiranno ci riporta sulla strada ancora verso Gubbio.
Gubbio per la Basilica di Sant’Ubaldo e la Rocca
Dalla Gubbio bassa prendiamo la funivia monoposto (ci si sta al massimo in due) che ci porta in cima al monte, alla Basilica di Sant’Ubaldo, per rivedere i ceri e risentire le gesta di chi li ha trasportati e ne racconta le meraviglie. Dopo i cinque secondi di emozione e paura che ti prendono quando stai per salire con un balzo sulla piccola pedana del bidone che ti porterà in alto, ti congratuli con te stesso per altri cinque secondi e ti dici “Come sono stato bravo!” e poi finalmente ti giri verso il basso e vedi l’omino della funivia che si fa sempre più piccolo e con lui gli altri della fila che aspettano di salire. Pian piano vedi i primi tetti delle case sotto di te, i rossi dei coppi, poi quelli marroni, poi i tetti delle chiese più basse, le torri e le chiese più maestose. L’aria si fa più fresca. Una leggera brezza ti accarezza in viso e sulle braccia ed è piacevolissimo quando Gubbio è tutta sotto i tuoi piedi, tu stai volando sopra le cime degli alberi più alti del bosco che sono dieci, venti metri sotto i tuoi piedi e in lontananza vedi le strade, le colline, qualche piccolo incendio nei campi con il filo di fumo che sale lento e più in alto si forma una specie di nuvoletta. Si sente solo il fruscio del vento e il trr trr trr della carrucola quando passa sul pilone che sostiene il cavo.
Quel quarto d’ora ti riempie di emozioni, ma passa talmente veloce che arrivi subito in cima e quasi quasi non vorresti più scendere, ma ormai sei arrivato e con un saltino da veterano ritocchi terra lassù in alto, da dove partono i sentieri che portano ancora più su. La prima tappa è alla Basilica di Sant’Ubaldo. In questo momento c’è una messa, che sta per finire e allora ci mettiamo in disparte sulla destra a dare un’occhiata ai ceri che vengono trasportati di corsa super la salita da decine di uomini e ragazzi che si danno il cambio e cercano di arrivare per primi dal centro di Gubbio, laggiù in basso, fino alla porta della Basilica. Sono effettivamente enormi e solo vedendoli da molto vicino ci si rende conto della grande fatica che si deve fare. Ma è solo il racconto di chi ha partecipato che ti fa capire l’emozione di arrivare in cima e arrivarci per primo.
Dopo la visita alla Basilica alcuni di noi prendono il sentiero a piedi che porta ancora più in alto, per qualche centinaio di metri, verso la rocca di cui è rimasto solo qualche rudere. Un classico sentiero sassoso in salita, duro e lento, da fare a passi lunghi secondo i propri ritmi. L’arrivo sulla cima della rocca è di grande soddisfazione per il panorama e per l’aria che si respira e per la soddisfazione di avercela fatta ancora una volta. Poi lentamente si torna giù, con il sole che sta per tramontare e si rifà a ritroso, come un filmino che si riavvolge, la discesa a piedi e quella nel bidone della funivia. All’arrivo un gruppo di giovani sta uscendo da una festa di matrimonio e alcuni sono visibilmente alterati per il troppo alcool che devono avere messo in corpo. Li evitiamo e proseguiamo nella nostra camminata in discesa fino al punto convenuto per la cena.
La cena alla Taverna del Lupo
Siamo alla Taverna del Lupo, un bel ristorante su una delle tante strade ripide del Centro storico e in attesa degli altri scambiamo due parole con Ilias Tasias, il simpatico ed estroverso direttore del Patto Territoriale dell’Appennino Centrale che stasera finalmente è libero da impegni di lavoro e ci può dedicare il suo tempo. Intanto arrivano gli ospiti alla spicciolata. Quando ci siamo tutti entriamo all’interno e il maitre ci accompagna in una saletta interna dedicata al nostro gruppo, dove ceneremo tutti insieme attorno ad una grande unica tavola, che mi ricorda, in piccolo, quella della Panarda. La cena è stata preparata dall’associazione Cuochi di Arezzo e oltre allo chef della Taverna del Lupo c’è anche quello del ristorante Il Bersaglio di Città di Castello. Dunque stasera Claudio Ramacci e Pierluigi Manfroni hanno cucinato per noi.
Si parte con la lettura del menù, che prevede petto di cappone tartufato con salsa di amarena, poi insalatina di funghi porcini, Brustengo, Fiore di zucca fritto. A seguire Involtino con bietola di ricotta di capra e pecora con zabaione allo zafferano, lamelle di porcino crudo e tartufo nero estivo. Poi ancora il Moderno pranzo contadino di ieri e per finire il Semifreddo al bacio. Dunque ci aspetta una serata davvero interessante. Intanto il Direttore propone un brindisi a questo incontro che vede riunite realtà di quella che lui considera la vera Italia, il cuore di questa nazione, con Umbria, Marche, Toscana ed Emilia Romagna che sono unite da questa parte dell’Appennino che costituisce un tutt’uno omogeneo dal punto di vista dell’arte, con le opere dei più grandi artisti del Rinascimento, da Piero della Francesca a Raffaello, a Michelangelo, della scienza con Luca Pacioli, anche lui di Sansepolcro, come Piero, inventore della partita doppia, estensore di un interessante Trattato degli scacchi.
In questi territori la natura è in gran parte ancora incontaminata, basta percorrere le strade e stradine interne dell’Appennino per rendersene conto facilmente e poi lo testimonia la stessa presenza ddel tartufo, così diffuso e profumato.
Andando per monti e valli si scopriranno tanti piccoli alberghi e piccole strutture di ristorazione sparse qua e là per paesini e città più o meno famose. Sono strutture spesso a conduzione familiare con un ottimo rapporto qualità prezzo.
Il Patto Territoriale è nato nel 1996, da poco più di dieci anni e ha investito molto fin dall’inizio sulla qualificazione delle singole imprese agrituristiche e di ricettività alberghiera, creando una fitta rete tra tutti gli operatori. Ad oggi sono un’ottantina i comuni che aderiscono al progetto.
Ogni tanto c’è qualche intoppo o contrattempo che ostacola quello che si vorrebbe fare, quasi sempre dovuto a cattiva informazione, ma si lavora comunque con passione e voglia di fare. I nostri ospiti sono prevalentemente italiani, ma c’è anche una fetta importante di clienti stranieri, dal nord Europa e anche da oltre oceano. Nonostante questo c’è ancora molto da fare perché per molti mesi le strutture restano vuote, inutilizzate e quindi occorre attirare clientela con sempre nuove idee. Una di queste è la promozione del tartufo, che si raccoglie lungo tutto il corso dell’anno e non ha nulla da spartire con i prodotti cosiddetti “tartufati” ma preparati con aromi di sintesi che si sono rivelati spesso cancerogeni. Ma questo purtroppo sulle etichette di quei prodotti “ancora” non sta scritto.
Il territorio poi è ricco di parchi naturali meravigliosi, come quelli delle foreste casentinesi, con i loro eremi e le pace e il silenzio. Qui ci si può veramente rilassare in qualsiasi stagione e la passeggiata nel bosco ha sempre un fascino misterioso, soprattutto nel periodo autunnale e invernale quando il tempo atmosferico è favorevole. Intanto si brinda con lo spumante brut Charmat di 11,5 gradi dal lotto L7318. Si tratta di un Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC di Poggio Montali ed è seguito, in accompagnamento ai primi piatti di antipasti, da un vino bianco Fonte ai Frati, un Marche IGT 2006 di 13,5 gradi. È un cru di Verdicchio sempre della cantina Poggio Montali.
Il piatto di funghi porcini in insalata con pancetta affumicata, crema di peperone e aceto balsamico meriterebbe una esposizione a qualche biennale d’arte perché sembra un quadro di Mirò, tanto sono belli i colori e geniale la disposizione degli ingredienti. E non parliamo dei profumi che salgono sl naso! Invece è un po’ deludente l’Involtino con le lamelle di porcino crudo, che non legano affatto nei sapori con gli altri componenti del piatto. Il vino successivo è un Cerqueto, Marche rosso IGT 2006 di 13,5 gradi dal lotto L040607 sempre di Poggio Montali, un uvaggio di Montepulciano e Sangiovese grosso e accompagna la Caramella (perché si presenta proprio come una classica caramella nel suo involucro) di petto di faraona farcito di ricotta e spinaci, e poi Spiedino di panzanella e Torta di grano casentinese (mi ricorda alla vista la farinata genovese) con formaggio pecorino a latte crudo.
Alla fine arriva in tavola la piccola pasticceria, con i tozzetti e il caffé e arriva a tenerci piacevole compagnia la Signora Lisa o Lisetta, che da quarant’anni fa ristorazione ed è un pozzo di idee e iniziative, iperattiva e piena di entusiasmo. Non si capisce dove trovi il tempo per occuparsi dei ristoranti di Gubbio, di Roma e dei negozi di antiquariato, di cui le è venuta la passione e a cui si dedica con perizia insieme alla figlia. Ormai è passata mezzanotte e si lascia questa bella compagnia conviviale per tornare all’hotel e preparare le valigie perché domani si parte e si torna a casa.
Domenica 22 Giugno 2008
Il ritorno e la sosta ad Arezzo: che delusione lo spuntino alla Loggia del Vasari!
Alla mattina, dopo la colazione, ancora un giro per le viuzze di Gubbio per qualche piccola spesa, due passi tra la gente, la messa in Cattedrale e la scoperta di una via dedicata a un mio omonimo eugubino, un Luigi Bellucci di cui dovrò approfondire le origini nel prossimo ritorno a Gubbio. Mi fermo e mi faccio fare una foto ricordo, da far girare tra gli amici. Non è da tutti avere una via dedicata quando si è ancora in vita! Lasciamo Gubbio e decidiamo di tornare per le strade secondarie e godere dei bei paesi e colli che si susseguono tra una curva e un rettilineo. Verso l’ora di pranzo siamo dalle parti di Arezzo e allora si decide di parcheggiare vicino al centro e fare due passi.
C’è pochissima gente in giro per le strade. Su una strada in salita vicino al centro una ragazza inglese con una mappa stradale sta cercando di capire che via prendere per arrivare a una chiesa che le interessa. Non manca molto e le diamo una mano a districarsi con i punti cardinali. Intanto siamo arrivati nella piazza davanti alla Loggia del Vasari e decidiamo di fare uno spuntino ai tavolini dell’omonimo caffè. Siamo in due. Dal menù scegliamo due piatti ognuno dei quali riporta un prezzo di cinque euro. Beviamo una bottiglia di acqua minerale da tre quarti. Niente caffè, niente vino, niente dolci.
Al momento di pagare mi alzo e vado alla cassa. Mi aspetto di pagare una dozzina di euro al massimo e invece mi ritrovo un conto di Euro 20,80. I due piatti sono dieci euro, l’acqua minerale e due coperti sono dieci euro e ottanta centesimi. È davvero una vergogna nazionale questa “moda” esclusivamente italiana di far pagare il coperto, di non scriverlo sui cartelli con le proposte del menù e di sovraccaricare esageratamente il costo dell’acqua minerale. Non credo che metterò più piede al Caffé sotto le Logge del Vasari finché ci sarà questa gestione e questo andazzo. Ma il mio ottimismo mi porta a sperare che prima o poi anche noi riusciremo ad entrare finalmente in Europa anche sostanzialmente, non solo per la forma. Certo che se lo Stato e i Comuni fossero un po’più lungimiranti basterebbe una piccola leggina di un solo articolo: “Da oggi è abolito il coperto in tutti i luoghi di ristorazione”. Sono convinto che entrerebbero molti più Euro in Italia, sia nelle casse dello stato, sia nelle tasche degli “ottusi” ristoratori, perché quelli “acuti” lo hanno già fatto e se ne sono accorti da tempo. Ci scrolliamo dunque la terra dalle scarpe e risaliamo in macchina per tornare finalmente a casa con questa piccola macchia nel cuore.
Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...
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