Da più parti è arrivata la sollecitazione a parlare anche della vinificazione garagistica dei vini bianchi. Siccome mi piace parlare solo delle cose che conosco per esperienza, ho girato volentieri questa richiesta a Pietro Repetto che nell’ultima (e prima) edizione del “Garage Wines Contest” si è aggiudicato la palma del vincitore nella categoria vini bianchi con un notevole metodo classico a base di uve Cortese, millesimo 2007. Ecco qui il suo primo racconto relativo alla vendemmia 2010.
Finalmente mi sono seduto in poltrona. L’uva è stata raccolta, pigiata, diraspata e torchiata. Ora non rimane che aspettare che i lieviti lavorino per me. Finalmente!
Ma facciamo un passo indietro. Qualche settimana fa ho raccolto l’invito di Luca a scrivere qualcosa sulla vinificazione di un “buon vino bianco”. L’ho fatto di slancio. Mi sono detto “sarà divertente, neanche troppo difficile con qualche anno di esperienza”! Ora, e scusate se mi ripeto, sono qui in poltrona ma il foglio bianco mi rinfaccia quel po’ di presunzione che forse mi ha fornito il suddetto slancio.
Di trattati sulla vinificazione ne sono stati scritti tanti, e ci sono persone ben più preparate di me per colmare eventuali lacune. Consapevole delle problematiche che si celano dietro a ogni passaggio e delle conseguenti discussioni vi propongo di considerare questo più come il racconto della mia vendemmia. Il punto di vista, naturalmente, è quello di un garagista che ha sempre meno tempo di quello che servirebbe!
Analizzando le vendemmie passate, cerco ogni anno di capire gli effetti che le operazioni di cantina producono sul vino. E se il primo anno la fortuna del principiante mi ha concesso un bianco piacevole che mi ha confortato dalla delusione di un rosso quasi imbevibile, con il passare degli anni sto imparando a capire quali sono le caratteristiche che vorrei ottenere dal mio vino. Ben lontano dall’aver raggiunto questo obiettivo, vorrei condividere alcune riflessioni.
Ma cominciamo dall’inizio.
Anch’io, come molti altri, vorrei ribadire il fatto che tutto ha inizio sul campo, nel vero senso della parola! È nelle vigne infatti che bisogna lavorare per ottenere un’uva di qualità e produrre il “buon vino bianco” di cui sopra.
L’ultima “passata” di zolfo, intorno ai primi di agosto, conclude i lavori in vigna a meno di qualche passeggiata di controllo e defoliazione dei grappoli per migliorarne l’esposizione al sole. E dopo un po’ di vacanze posso quindi cominciare a rispolverare l’attrezzatura in cantina e magari fare qualche nuovo acquisto. Per noi garagisti la decisione è sempre onerosa, ma i vantaggi in termini di tempo e di qualità giustificano quasi sempre l’investimento. Quest’anno mi sono regalato una bella pigiadiraspatrice, evitando di dover bussare all’ultimo minuto alla porta dei miei sempre gentili vicini!
A questo punto l’ardua scelta della data di raccolta, definita quasi sempre in base a parametri indipendenti dalla reale maturazione dell’uva (impegni di lavoro, condizioni metereologiche, disponibilità di amici e parenti!), ma con un’approssimazione di una settimana è possibile scegliere il momento migliore (a tal proposito vi rimando all’articolo di Emilio Simone, e alla successiva e interessantissima discussione). E poi via a quello che probabilmente è il momento più atteso dell’anno, forse anche per la natura conviviale che lo caratterizza. La vendemmia.
Il 10 settembre il mostimetro Babo indica un rosso a 20 gradi e un bianco a 18. Decido per il 18 settembre 2010 sperando in condizioni meteo favorevoli. Oltre alle già citate cause di forza maggiore, cerco sempre di tenere il bianco più indietro per accentuarne l’acidità in funzione anche della successiva spumantizzazione.
Al mattino il tempo non è dei migliori. 20 gradi e vento fresco che tiene però la pioggia attaccata ai nuvoloni neri con qualche schiarita. Meglio così, non ci scioglieremo al sole. Aiutato dall’esigua quantità di uva e dalle decine di amici che ogni anno accorrono, forse più per la grigliata che per la vendemmia, riesco a ridurre il tempo tra la raccolta e la pigiatura. Piccolo dettaglio che sommato ad altre attenzioni analoghe contribuisce a notevoli miglioramenti del prodotto finale.
Dopo aver provato la tradizionale pigiatura con i piedi (divertente ma dispersiva), la pigiadiraspatura meccanica (efficiente ma troppo energica) e la torchiatura diretta, opto per quest’ultima per ridurre la quantità di fecce nel mosto e il contatto con l’aria. Da un paio d’anni inoltre utilizzo ghiaccio secco per raffreddare il mosto leggermente solfitato (4-5 g/hl) e sfecciarlo in un ambiente meno ossidante, in attesa di potermi permettere una botte refrigerata. I risultati sono soddisfacenti e gli effetti scenici assicurati! Con 15Kg di ghiaccio secco per quintale di mosto, la temperatura scende a circa 8°C, e una nube bianca colma la botte ancora aperta. Nelle 24 ore successive, mentre la temperatura risale lentamente, avviene la sfecciatura statica, a seguito della quale effettuo il primo travaso e inoculo i lieviti reidratati.
Senza entrare nel merito tecnico dei sentori e delle sfumature che i diversi ceppi di lievito potrebbero conferire al vino, vorrei spezzare una lancia in favore di questo piccolo aiuto. Le incognite in vinificazione sono già tante, soprattutto per un garagista, e poter contare su una fermentazione regolare ci permette di ottenere un prodotto con un difetto in meno. Inoltre un rapido inizio del processo fermentativo limita ulteriormente l’ossidazione del mosto. Molte cantine inoculano lieviti selezionati da ceppi autoctoni coltivati e con il tempo anche a me piacerebbe disporne, ma per ora cerco di accontentarmi!
Durante tutto il periodo della fermentazione, monitoro la quantità di zuccheri e la temperatura del vino. Anche se purtroppo non posso intervenire, in questo modo posso almeno (e non è poco!) determinare quando la fermentazione si sta per concludere e programmare il primo travaso, senza pericolo di lasciare il vino a contatto con le fecce troppo a lungo. Negli anni passati dalla fine della fermentazione a Natale, travasavo il vino circa una volta al mese, liberandolo così dalle fecce deposte sul fondo della botte.
L’anno scorso ho sperimentato il riposo sulle fecce fini, effettuando delle risospensioni di queste ultime con cadenza mensile (chiamarle batonage sarebbe troppo!). Così facendo ho cercato di arricchire il vino di composti aromatici, anche se la cadenza dovrebbe essere molto più frequente, ma soprattutto ho limitato drasticamente l’ossidazione che avviene durante i travasi e la quantità di solfiti aggiunta a ogni travaso per proteggere il vino (le analisi riportano circa 30mg/l di SO2 totale).
Nei mesi invernali lascio riposare il vino nella botte in attesa dell’imbottigliamento o della spumantizzazione primaverile. Quando infatti la temperatura in cantina risale a circa 14°C, preparo il liquore di tiraggio con lieviti, zucchero e vino e, dopo aver eseguito l’omogeneizzazione nella massa di vino, imbottiglio lo spumante per la lenta presa di spuma che avviene nei due mesi successivi. Terminata la seconda fermentazione ha inizio il riposo sui lieviti. A questo punto non resta che aspettare…sboccando bottiglie di diverse annate per sentire le differenze apportate dal più o meno lungo affinamento.
Rileggendo il pezzo mi accorgo come in due paginette striminzite abbia ridotto un anno di lavoro a una procedura, forse anche incompleta. Una serie di passaggi che però sono il frutto del faticoso lavoro in vigna, delle preoccupazioni, delle aspettative e delle soddisfazioni che rendono quest’avventura ogni anno sempre nuova.
L’esito dell’annata in corso lo scopriremo solo tra qualche mese, nel frattempo un brindisi per la vendemmia 2010!
Cliccando sull'immagine si apre uno slideshow di alcune foto scattate da Pietro Repetto durante la vendemmia
Pietro Repetto
Il mio interesse per il vino è cosa relativamente recente. Risalgono a ottobre 2001 i miei primi due post per chiedere informazioni sul...
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Inserito da Massimo Scanferla
il 30 settembre 2010 alle 09:52