La storia dei vitigni autoctoni liguri e del loro successo è spesso curiosa e contorta. In alcuni casi vitigni riconosciuti come eccellenti sono andati incontro all'oblio e alla marginalizzazione altri invece sono esplosi come fenomeno commerciale importante e consolidato. Succede così che nel Bollettino Ampelografico del 1881(1) viene nominato il Pigato che cresce velocemente in reputazione tanto da diventare più importante nella Liguria di ponente del suo gemello Vermentino.
Nel bollettino del 1883(2) vengono invece citate due uve coltivate nella Val di Vara, che allora era in provincia di Genova: la Seraxina e la Buttigiasca; di esse però con il tempo si sono perse le tracce e non sembrano più comparse in pubblicazioni ufficiali.
In realtà questo particolare destino è da attribuirsi principalmente alla storia della Val di Vara che ha subito nel secolo scorso un vero esodo di popolazione dalla realtà rurale locale alle industrie delle vicine Genova e La Spezia. Questo fenomeno unito alla distanza dai luoghi del consumo del vino (la costa e le città) ha fatto sì che la produzione vinicola non si sia mai sostanziata con la presenza di aziende di una qualche rilevanza. Come vedremo diverse erano le cose nel diciannovesimo secolo.
Le produzioni locali però sotto sotto non sono mai morte, se è vero che il paese di Montale, appoggiato sui dolci pendii del versante sinistro del fiume Vara tra Sesta Godano e San Pietro in Vara e vera e propria capitale enologica della Valle, era assiduamente frequentato da Mario Soldati, che viveva nella vicina Tellaro. Nel 1981 sul Corriere della Sera se ne poteva leggere un racconto di un'intera pagina intitolato "Il vino di Montale"(3). Erano i tempi in cui lo scrittore piemontese pubblicava "I racconti del Maresciallo", ispirandosi ai personaggi ed ai luoghi della Valle.
Più o meno nello stesso periodo Paolo de Nevi(4) raccontava le tradizioni agricole della Valle, ricordando che “...per il vino nero la Serajin-a o Buttigiasca la faceva da regina ed era quasi la totalità; da quest'uva deliziosa scaturiva un vino rosato, per cui in aggiunta veniva altresì coltivato un poco di monferrato locale”.
Siccome in tempi recenti l'interesse per l'attitudine viticola della Val di Vara si è significativamente risvegliato, e numerose sono le aziende produttrici e imbottigliatrici sorte nei comuni di Varese Ligure, Carro e Sesta Godano, è sembrato doveroso un approfondimento, un recupero e un'identificazione di queste varietà minori(5). Grazie all'interessamento della dottoressa Schneider dell'Istituto di virologia vegetale (IVV) del CNR di Grugliasco (TO), sono stati prelevati alcuni campioni di Seraxina e di Buttigiasca nelle località di Carro e di Montale, successivamente i vitigni sono stati descritti nella loro morfologia e identificati sottoponendoli ad analisi genetiche svolte presso il citato istituto del CNR.
I risultati(6) sono arrivati solo recentemente e sono decisamente interessanti. Nonostante la Buttigiasca manifesti caratteristiche morfologiche leggermente differenti dalla Seraxina, si tratta di due cultivar identiche, siamo quindi davanti a un caso di evidente variabilità intravarietale. Inoltre il profilo genetico (ottenuto mediante analisi con marcatori molecolari) non è risultato sovrapponibile a alcuna altra varietà presente nella banca dati dell’IVV-CNR di Grugliasco, né in numerose banche dati pubblicate in Europa; siamo pertanto in presenza di un vitigno locale, forse autoctono, non ancora inserito in alcun elenco regionale o nazionale di varietà viticole.
Per quanto riguarda la conservazione del germoplasma identificato, si sono eseguite le analisi per la diagnosi degli otto più dannosi virus della vite e il materiale legnoso prelevato, risultato sano, è stato avviato alla propagazione presso il vivaio Santamaria Pierpaolo di Ovada. Tale materiale troverà la sua definitiva collocazione nel campo collezione di Grinzane-Cavour (CN).
Ecco la caratterizzazione ampelografica della Seraxina/Buttigiasca
Foglia adulta
Di media dimensione, di forma da pentagonale ad orbicolare, generalmente pentalobata, con presenza di denti nei seni; seno peziolare a V stretto o chiuso, a volte con bordi sovrapposti e presenza di dente all’interno del seno, poco distinto dai denti marginali.
Profilo del lembo a coppa alla base e bordi revoluti e tormentati; bollosità media a volte accentuata e irregolare, leggere increspature lungo le nervature, rare depressioni e presenza di ginocchiature. Nervature verdi. Denti di media dimensione a margini da rettilinei a convessi, di media lunghezza. Pagina inferiore lanuginosa con setole morbide collocate sulle nervature distali. Picciolo di media lunghezza, verde con qualche striatura rossa.
Grappolo a maturità
Medio e corto, conico troncato, con ali aderenti, compatto. Peduncolo corto.
Acino
Medio, discoide (appiattito). Presenta una buccia di medio spessore, pruinosa, di colore rosso scuro/violetto, con punto pistillare evidente anche dopo l'invaiatura. Polpa debolmente soda e priva di colorazione antocianica. Sapore semplice. Vinaccioli presenti (2-4).
Le indagini storiche condotte per contribuire a chiarire l’origine ancora sconosciuta di questo vitigno hanno gettato una luce del tutto nuova sulla storia enologica della Val del Vara. Se come abbiamo visto il ventesimo secolo ha visto un progressivo inesorabile svuotamento delle potenzialità agricole della valle, nel diciannovesimo secolo invece le cose andavano diversamente.
All'Esposizione Internazionale di Dublino del 1865(7) parteciparono alcuni produttori/imbottigliatori di vino italiani, in particolare quelli con una certa capacità di esportazione all'estero. Non erano moltissimi in quegli anni come si può immaginare. Tra di essi però spicca un produttore ligure, con tre vini rossi delle annate 1857, 1859 e 1863 e uno bianco del 1863. I vitigni purtroppo non sono citati. Il produttore era Vincenzo Gabaldoni e i vini erano prodotti nella Tenuta Cavalla Nuova di Montale, nel comune di Varese Ligure. I vini di Gabaldoni erano stati addirittura premiati l’anno precedente durante l’Esposizione Agricola a Torino e avevano vinto numerosi altri premi. Sorprendente è anche la storia della famiglia Gabaldoni. I Gabaldòn erano infatti una facoltosa famiglia spagnola originaria della Mancia in Spagna dove esiste un comune omonimo. Legati ad ambienti gesuiti i Gabaldòn fuggirono dalla Spagna in seguito alla cacciata della Compagnia di Gesù da parte di Carlo III nel 1767 ed approdarono a Genova, mutarono il cognome in Gabaldoni, investirono i loro capitali in opere d'arte e terreni tra cui la tenuta Cavalla Nuova e crebbero in fama e influenza anche grazie a matrimoni con le famiglie liguri più importanti come De Ferrari e Spinola(8). La coincidenza temporale e spaziale tra le vicende della famiglia Gabaldoni e la comparsa del vitigno potrebbe fare pensare a una importazione dello stesso dalla Spagna, ma questa rimane una ipotesi tutta da verificare.
Tornando ai giorni nostri la speranza è che un vitigno legato così intimamente alla storia della vallata, ora che nuove energie e capitali stanno ricostruendo il panorama vitivinicolo locale, possa trovare un suo spazio e una sua dignità laddove sembra invece che i vitigni dal gusto internazionale, estranei al territorio e alle sue tradizioni vogliano coprirne ogni traccia.
Bibliografia
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