... on such a winter day, ovvero uomini e donne che hanno sognato la California e ne hanno fatto una terra da vino... con il sudore della fronte.
La storia del successo del vino californiano non è fatta solo dalle geniali intuizioni di alcuni e dai grandi capitali di altri: ci sono infatti pagine e pagine che compongono questo libro che sono state scritte da altre persone per le quali le luci della ribalta non si sono mai accese. Stiamo parlando di coloro che "do the dirty job", cioè quelli che lavorano in vigna, che potano, che raccolgono, che piantano, che diradano, che spruzzano. Quasi la totalità di questo esercito non è peraltro statunitense bensì messicano, perché come anche a casa nostra sono sempre di meno gli italiani a volere fare fatica, così è pure dall'altra parte dell'Atlantico. L'industria del vino costituisce da molti anni un'opzione certa per i molti messicani che attraversano il confine, sia legalmente che in altro modo, in cerca di fortuna: l'industria del vino ha ovviamente ringraziato, utilizzando questa manodopera in grado di adattarsi a condizioni di lavoro massacranti in cambio di pochi dollari, di sistemazioni spesso approssimative e di pochissime tutele. Sembra una storia tutta italiana, e invece no: è una storia che è ormai regola nei cosiddetti "paesi avanzati", dove il lavoro "sporco" è ormai prerogativa degli stranieri che, se sono irregolari, offrono anche il non trascurabile vantaggio di non da accampare troppe pretese.
C'era una volta un grande Impero nel quale, a un certo punto della sua esistenza, i dominatori decisero di affidare il lavoro sporco ai dominati, tagliandosi ogni contatto con la fatica e la sofferenza, pensando con ciò di avere più tempo per evolvere, finendo invece con il declinare...
Dalle stalle...
All'inizio si trattava di un lavoro prevalentemente stagionale, erano gli anni in cui la Wine Industry californiana stava prendendo forma: successivamente, in concomitanza con la crescita qualitativa del settore, si rese necessaria la presenza in azienda di personale qualificato per tutto l'anno. Fu così che molti messicani si fermarono stabilmente e la cui seconda generazione crebbe quindi sul suolo statunitense, studiò alle scuole statunitensi, imparò meglio dei propri genitori a essere statunitensi pur riuscendo, in molti casi, a conservare la voglia di arrivare dei propri genitori. Molti degli appartenenti a questa seconda generazione affiancarono dunque i genitori nel lavoro in vigna, e impararono a loro volta, diventando manodopera sempre più specializzata e ad alto livello professionale. Molti di questa seconda generazione poterono anche beneficiare del denaro risparmiato dai genitori con l'obiettivo fisso di, un giorno, potere avere la propria terra e raccogliere la propria uva.
Non è chiaramente andata bene a tutti e non tutti si sono fermati: l'immigrazione stagionale in corrispondenza dei periodi di picco di lavoro, come la vendemmia, si è caratterizzata nel corso degli anni per un alto livello di sfruttamento e di irregolarità, sul quale le istituzioni hanno chiuso a lungo entrambi gli occhi. Di tanto in tanto qualche articolo ha denunciato, nel corso degli anni, le situazioni di degrado in cui i lavoratori erano costretti, a cominciare dagli umilianti alloggi, per continuare con turni di lavoro massacranti e finendo con le paghe irrisorie e nessuna tutela da "welfare state".
"Give me your tired, your poor, your huddled masses yearning to breathe free" è quanto è scritto su una tavoletta collocata nel piedestallo della Statua della Libertà, monumento che per milioni di emigranti significò per decenni la fine della traversata dell'Atlantico e l'inizio di un'avventura dalle molte possibilità: i vendemmiatori messicani non sono però mai entrati negli Stati Uniti da New York, e quindi il loro trattamento è stato, ovviamente, molto diverso da quello auspicato dal celebre monumento.
... alle stelle
Tuttavia, la storia dei messicani alle prese con l'industria del vino californiana non è solo fatta di pagine di sfruttamento e di umiliazione, ma anche di alcuni successi molto significativi: una referenza brillante in tal senso è la Ceja Vineyards, che sul proprio sito web si definisce "mexican american winery" e la cui storia viene lì narrata non senza un tocco di giusto pathos. Di fatto Pablo Ceja "had a dream" nel quale si sarebbe trasferito in California con la propria famiglia con l'obiettivo di creare una propria azienda vitivinicola. Dal 1967, anno in cui i Ceja varcarono la frontiera, sono successe molte cose, tre generazioni si sono susseguite e oggi l'azienda è una realtà apprezzata non solo per gli amanti delle storie a lieto fine ma anche per la qualità dei suoi prodotti.
Altra storia epica è quella di Ulises Valdez, oggi "vineyard manager" conteso da diversi "winemaker" californiani di punta, ma venti anni fa uno dei tanti messicani che attraversarono illegalmente il confine in cerca della realizzazione del proprio "american dream". Valdez, che è anche proprietario di numerosi vigneti nella contea di Sonoma, ha inoltre recentemente lanciato la propria etichetta, Valdez Family Winery, il cui sito web riporta ovviamente - ma con maggiore misura - i momenti principali della fantastica cavalcata di Ulises.
La concorrenza cresce
Nonostante le storie di successo citate, sono ancora molti i messicani che lavorano come manodopera stagionale nei vigneti californiani. Questa situazione non è però da darsi per scontata negli anni a venire, in quanto in questa congiuntura sono recentemente apparse due variabili il cui impatto è ancora da valutare: la concorrenza delle retribuzioni offerte da altri settori produttivi e i recenti provvedimenti legislativi restrittivi, nonché disegni di legge in cantiere da ormai un paio di anni, in materia di immigrazione.
Gli effetti di entrambe le variabili si sono già in effetti manifestate lo scorso anno quando in epoca di vendemmia, con notevole sorpresa, le consuete code di "latinos" in cerca di impiego si sono notevolmente ridotte o, addirittura, azzerate.
Tale fenomeno non ha riguardato solo la Wine Industry, ma tutto il comparto agricolo in generale: d'altro canto, la prospettiva dei 15/20 US$ all'ora offerta, per esempio, dall'industria delle costruzioni, è per chi lavora in agricoltura, il cui salario medio si aggira tra i 7,50-10 US$, una tentazione irresistibile.
A questa improvvisa penuria di manodopera nel momento di picco, cioè la vendemmia, si è tentato di reagire organizzando diversamente i turni di lavoro, condividendo il personale tra più aziende e ricorrendo in maniera più massiccia alla vendemmia meccanica: quest'ultima possibilità non viene ovviamente considerata ancora praticabile per varietà di pregio come il pinot nero, la cui valutazione di 5000 US$ alla tonnellata è tale solo nel caso in cui la delicata uva venga veramente trattata con i guanti bianchi. Nella contea di Sonoma la percentuale di uva raccolta a macchina è però già compresa tra il 30% e il 40% - 200.000 tonnellate circa -, ma se ne stima una ulteriore crescita fino a raggiungere il 50%. Le aziende che vendono macchinari già si fregano, ovviamente, le mani.
Le risposte della politica
La percentuale di immigrati non regolari che costituisce la manodopera agricola nell'intera confederazione è stimata di poco superiore al 50%, valore che sale sensibilmente in California.
Proprio sul confine tra il "sunshine state" e il Messico si sono recentemente concentrate le attenzioni delle istituzioni per rallentare il flusso migratorio illegale: il rafforzamento delle misure ha però fatto aumentare le tariffe pagate ai cosiddetti "coyote" - cioè quelli che sanno trovare il varco giusto nel confine -, attualmente stimate sui 3000 US$. Assumere lavoratori sprovvisti di "green card" o altri documenti che ne consentano il soggiorno è ovviamente illegale: va da sé, però, che la pratica di ottenere documenti falsi è vecchia come il mondo, così come pure alcuni datori di lavoro chiudano un occhio, se non due.
Ciò che sarebbe però più utile secondo diverse organizzazioni agricole, più che steccati con l'asticella piazzata molto alta, potrebbe essere un programma in grado di gestire con flessibilità questi flussi migratori temporanei legati a lavori di carattere stagionale. Per la cronaca, sono circa un paio d'anni che l'amministrazione Bush Jr sta tentando di introdurre dei provvedimenti più restrittivi rispetto all'ingresso di stranieri negli Usa, che comprendono un doppio giro di vite sulla frontiera con il Messico: sugli irregolari già presenti, la posizione definitiva non è ancora chiara, in quanto oscillante tra il "fuori tutti" e la regolarizzazione.
La sua ultima versione, chiamata Secure Borders, Economic Opportunity and Immigration Reform Act, che prevedeva un'amnistia generale per gli "illegal aliens" e un numero di accessi per lavoratori immigranti contingentato su base annua, si è arenata al Senato lo scorso giugno.
La prospettiva di perdere gli "stagionali" è però vista con terrore dalla prosperosa agricoltura californiana, così pure come quella di averne pochi, perché a quel punto sarebbe ben difficile poter tirare loro il collo sul salario - quando la domanda è elevata e l'offerta è scarsa... -. E così, come chiosa Linda Murphy in un articolo pubblicato da Decanter qualche mese fa su queste questioni, la prospettiva di avere meno messicani o di dover ricorrere ai californiani per lavorare in vigna significa più salari e più stato sociale garantito, quindi costi di produzione quindi ancora più elevati e, quindi, il tutto scaricato sul prezzo finale: inoltre, significherebbe la chiusura delle piccole winery, che non potrebbero né coprirsi i costi di meccanizzazione né permettersi costi di manodopera più alti.
La questione interessa da vicino anche gli affari privati di qualche politico potente: uno molto famoso tra questi si chiama Nancy Pelosi, la potente "speaker" (Presidente) del Congresso - nonché prima donna a ricoprire questo incarico -, molto schierata contro le misure proposte dall'amministrazione Bush Jr anche perché, secondo le malelingue, la winery che possiede e la catena di ristoranti di cui è partner farebbero molto conto sul fatto di avere manodopera irregolare e non tutelata dal sindacato.
Concludendo...
In questo quadro piuttosto complesso, dunque, le storie di successo non mancano: ancora più interessante è il fatto che le "latino winery", in collaborazione con diversi ristoranti, stiano portando avanti un programma di educazione sull'abbinamento cucina messicana-vino, con l'intenzione neppure troppo celata di andare a proporre un'alternativa possibile rispetto sia alla consueta birra oppure ad altre bevande a base di tequila. C'è però un altro elemento di ambizione contenuto in questa proposta, ovvero la volontà di elevare la cucina messicana al rango di altre cucine che si adattano tradizionalmente alla bevanda di Bacco, l'italiana e la francese in primis. Vedremo che succederà, ovviamente non solo agli abbinamenti ma anche e soprattutto al futuro di un'industria del vino che potrebbe mutare volto in maniera sensibile negli anni a venire.
Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...
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