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Mondo Vino

Per qualche grappolo in più

di Riccardo Modesti

MappaArticolo georeferenziato

L'invincibile corazzata australiana scopre di avere qualche grave problema di assetto da risolvere. E il livello degli stock sale, sale, sale ... con qualche vantaggio per i consumatori.

Fino a qualche decennio fa, quando il mondo non era "globalizzato" e in Italia ci stracciavamo le vesti (a ragione) per il CH3-OH, più noto come metanolo, i vini australiani erano praticamente una curiosità. Qualche decennio dopo l'Australia è diventata una nazione che ha messo in crisi i "dominatori" del mercato, Francia e Italia, un autentico "tsunami" di vino che ha sommerso i mercati mondiali. Che poi questi vini ci piacciano o meno (come per tutte le produzioni ci sono quelli molto buoni e quelli meno, mai generalizzare) è andata così: ma che lo vogliamo o meno bisogna levare tanto di cappello a chi è riuscito, in così pochi anni, ad avviare un fenomeno di questa portata.

Un passo indietro: 1995, parte "Strategy 2025"

Chiaramente, per conseguire simili risultati, il meccanismo da mettere in moto non poteva che essere su scala nazionale: da questa sinergia totale nacque dunque nel 1995 l'ormai famoso piano chiamato Strategy 2025, il cui obiettivo finale era la conquista dei mercati mondiali da conseguirsi, appunto, per il 2025. A tale scopo vennero potenziate, quando non create, una serie di agenzie dedicate al settore con riferimento, principalmente, all'avanzamento tecnico in vigna e in cantina e al marketing dei prodotti. Il loro sostentamento economico dipende, da caso a caso, dall'autotassazione dei soggetti produttivi, da fondi statali o da una combinazione di entrambi.
In questo mondo globalizzato però, che si modifica secondo tempi aventi scala esponenziale, tutto avviene molto in fretta: la conseguenza di ciò è che anche il miglior piano elaborato a tavolino, complice anche la dabbenaggine degli implementatori, possa presentare qualche falla.
E' successo anche a Strategy 2025, fortunatamente per gli altri paesi produttori: diciamo che la situazione è scappata di mano, ritorcendosi proprio come un boomerang ... australiano.

Vigneto ovunque e comunque
L'Australia sta infatti vivendo una crisi da sovrapproduzione piuttosto seria: a conti fatti, infatti, pare che la Strategy 2025 sia stata interpretata in modo troppo lasco o ottimistico, provocando una proliferazione incontrollata della superficie vitata con la conseguenza che il livello produttivo nel paese è arrivato già a quello previsto al termine dei 30 anni previsti dal piano, venendo dunque meno alla crescita graduale da esso prevista. Per fornire ordini di grandezza al fenomeno, in dieci anni, dal 1994 al 2004, la superficie vitata è passata da 67.000 a 164.000 ettari; l'ultima vendemmia ha fruttato 1,92 milioni di tonnellate di uva, con un incremento del 6% rispetto al 2004.
In particolare si è piantato molto nelle cosiddette regioni fredde, al punto da rappresentare a tutt'oggi il 40% dell'intera produzione australiana: si tratta però di uva cui corrisponde solo il 16% della domanda, uno squilibrio davvero forte che ha ingenerato un calo dei prezzi che si è ripercosso sulla produzione delle regioni calde. La "scoperta" delle regioni fredde è stata recentemente molto pubblicizzata con un'accezione positiva, poiché queste sono state viste come zone di produzione che, rispetto a quelle calde (quelle dei vituperati "vini marmellata" da uve cotte dal sole, per intendersi), potessero essere funzionali alla produzione di vini più freschi, sia all'olfatto che al palato, e maggiormente equilibrati. Pur essendo corretta la teoria, anche agli antipodi vale sempre la regola secondo la quale se si pianta in una zona fredda il vitigno sbagliato non si può che ottenere dell'uva acerba.

La struttura produttiva
Le aziende operanti sul suolo australiano che vendono di fatto vino sono 1.899, cui vanno aggiunti 5 gruppi: negli ultimi 10 anni ne sono nate 100 all'anno. Il 69,6% di esse pigia meno di 100 tonnellate d'uva: per contro, le 6 "companies" più grandi lavorano il 64% di tutta l'uva prodotta nel Paese. Dal punto di vista delle quantità vendute, l'89% è nelle mani di sole 22 aziende, le quali controllano (tramite proprietà o affitto) il 21% dell'intera superficie vitata nazionale. Lo Shiraz si conferma il vitigno leader, mentre lo Chardonnay è in fortissima ascesa: in realtà sono oltre 100 i vitigni presenti e utilizzati in terra australiana. Questi pochi dati, che danno comunque un'idea della realtà locale, sono accessibili al sito web winebiz.com.au
La struttura produttiva locale è inoltre fortemente polarizzata verso il binomio produttore-trasformatore, ruolo quest'ultimo che in alcuni casi viene appunto ricoperto da potentissime aziende che "razziano" uve ovunque ve ne siano, producendo principalmente dei "blend". La Foster's, noto produttore di birra, ha acquistato lo scorso anno la Southcorp Ltd, uno dei colossi dediti alla trasformazione. Chi trasforma detiene di fatto il potere: e siccome alcuni dei trasformatori sono delle vere e proprie multinazionali, il cui ruolo è sostanzialmente quello di produrre profitti per gli azionisti, i loro modi sono talvolta piuttosto spicci nei confronti dei produttori, gestendo i contratti di fornitura in maniera piuttosto disinvolta.
E' il caso della McGuigan Simeon (il secondo gruppo del Paese), che ha pensato bene, di questi tempi, di sospendere in modo unilaterale i contratti con i propri fornitori lasciandoli letteralmente a secco. Si parla di un centinaio di viticoltori, i quali minacciano di adire per vie legali per difendere i propri contratti e, pure importante, la propria dignità.

Basta esportare e tutto si sistemerà
E' proprio quello che sostengono alcuni analisti ricchi di ottimismo, dimenticando che il vino australiano che sprizza salute sui mercati mondiali è comunque quello di pregio: l'altra faccia della luna è invece rappresentata a tutt'oggi da una giacenza di un miliardo di litri, non male con una vendemmia, quella del 2006, che incombe e che non sarà certo avara in produzione.
Visto il quadro i rischi maggiori sono ovviamente corsi dai produttori di uve, i quali possono trovarsi da un momento all'altro senza un compratore: tradizionalmente senza voce in capitolo rispetto alle decisioni prese dall'industria del vino, da pochi mesi si sono costituiti in associazione, la Wine Grape Growers Australia (WGGA). La buona notizia è che i due fronti, la produzione e la trasformazione, cercheranno di risolvere il problema in modo cooperativo: è già stata fissata una tavola rotonda per il mese prossimo, che vedrà anche la presenza di politici nazionali.

Congiuntura sfavorevole
David Clarke, direttore del già citato gruppo McGuigan Simeon, ha descritto la situazione attuale ai propri azionisti come "la tempesta perfetta": vendemmie da record, produzione in accelerazione inarrestabile, dollaro australiano forte, concorrenza internazionale, mercato interno che cresce meno del previsto, l'offensiva dei produttori di liquori, insomma, ce n'è davvero per tutti i gusti. La beffa più consistente per il potente gruppo viene dal fatto che, nonostante un aumento delle vendite del 16% e delle esportazioni del 49%, i profitti sono calati dell'11%: ciò significa che il vino venduto vale di meno.
Secondo l'AWBC (Australian Wine and Brandy Corporation, organizzazione che si occupa del settore vitivinicolo a tutto tondo entrando nelle problematiche di marketing, legislazione e progresso scientifico) l'equilibrio tra domanda e offerta difficilmente si riequilibrerà prima di almeno 5 anni: c'è di che farsi venire il mal di testa, dunque.

Un vantaggio per il consumatore ?
Questa situazione ingenera però un'altra conseguenza: dato che le uve costano sempre meno, anche il vino da esse prodotto costerà sempre meno. L'effetto si ripercuoterà sui prezzi allo scaffale, che dovrebbero calare: secondo David Lowe, presidente della Wine Industry Association (l'associazione dei trasformatori) del Nuovo Galles del Sud, le bottiglie aventi un prezzo compreso tra i 15 e i 20 dollari australiani (al cambio fa dai 9 ai 12 euro, 1 euro = 1.63 dollari australiani) costeranno 5 dollari in meno (3 euro in meno). Il consumatore, almeno lui, dovrebbe quindi avere la possibilità di accedere in modo più economico alla cosiddetta "fascia media".

Che accadrà ?
Il 2006, a conti fatti, sarà un anno duro per l'industria del vino australiana: lo sarà anche perché i suoi diversi attori, in concerto con la politica, dovranno trovare una soluzione che permetta la sostenibilità del sistema senza intaccare in maniera traumatica la "base", la cui economia è basata sulla produzione e vendita di uve. Il miracolo australiano, comunque, rimane: e a meno che vengano commessi gravi errori in questa fase di riaggiustamento della rotta dovremo continuare a tenerne conto.

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Riccardo Modesti

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Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...

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