I risultati di un sondaggio sulle formule di accoglienza nelle "winery" statunitensi: fantasia, dinamismo, un pizzico di pressapochismo, ma la resa vale la spesa...
Chi gira per vino ne ha sicuramente viste di tutti i colori quando si tratta di andare presso un'azienda, grande o piccola che sia, per assaggiare e/o fare acquisti. Quando va male si passa dal vigneron filosofo all'impiegato che non sa rispondere a una domanda qualunque oppure al malcapitato familiare che passa per caso e che ci prova. Il cambio di marcia dell'interlocutore comunque, per quella che è la mia esperienza personale, si verifica quando, alla domanda diretta, si rivela la propria identità di giornalista di settore: a questo punto, però, si rischia che all'incompetenza si sommi una quota insopportabile di ingiustificabile servilismo. Insomma, spesso si ha l'impressione che il momento della vendita diretta si svolga ancora secondo logiche molto, troppo semplici e lasciate all'improvvisazione, e che anche se il vino alla fine si vende lo stesso, forse si potrebbe fare qualcosa di più per attirare ancora più clientela e, conseguentemente, aumentare le vendite o anche solo migliorare la propria immagine aziendale.
Winebusiness.com, interessante sito web statunitense tutto dedicato al vino, ha svolto un'interessante sondaggio su scala nazionale (Usa, si intende) per capire come le "winery" locali si stanno muovendo in tal senso, monitorando l'evoluzione dei servizi offerti dalle "tasting room", termine traducibile letteralmente come "sala d'assaggio" ma di fatto punti in cui si possono degustare e acquistare prodotti, delle aziende vitivinicole. I dati che esporremo sono pubblicati sul sito winebusiness.com, e sono stati elaborati utilizzando le risposte delle 103 aziende che hanno risposto al sondaggio, sparse sull'intero territorio a stelle e strisce: il 73% del campione è risultato costituito da aziende che producono un massimo di 25.000 casse (1 cassa=12 bottiglie).
Delocalizzazione
Cominciamo dalla collocazione fisica della tasting room: nel 67% dei casi la winery ne ha una sola e situata presso il corpo aziendale, mentre nel 20% dei casi è sempre una ma situata altrove. Il 10% del campione ha invece dichiarato di avere più tasting room, una delle quali presso l'azienda.
Andando però a suddividere queste cifre tra gli Stati afferenti alla West Coast (California, Oregon, Washington, che rappresentano oltre il 90% della produzione statunitense) e gli altri Stati dell'Unione, si nota che la percentuale del modello "una sola tasting room fuori azienda" sale al 24% lungo la West Coast, scendendo al 10% tra gli Stati "altri". Per converso, il modello "più tasting room oltre a quella aziendale" è stato adottato solo per il 7% lungo la West Coast e per il 17% negli altri.
Dietro queste cifre ci sono però ragioni precise: per cominciare, lungo la West Coast non è così agevole ottenere il permesso per aprire una tasting room; fuori dalla West Coast, poi, la mentalità più diffusa è quella di piazzarsi in siti strategicamente vantaggiosi dal punto di vista del passaggio di persone. La visibilità è peraltro un aspetto al quale tengono molto, soprattutto, le aziende di piccole dimensioni, per le quali la vendita diretta rappresenta una fonte di entrate decisamente importante. La scelta di un punto strategico, solitamente legato a flussi di persone, è ben nota anche a chi possiede più tasting room: i più saggi, tra questi, cercano di differenziare le attività proposte tra un punto e l'altro. La Mayo Family Winery, che è a quota cinque tasting room, quattro delle quali collocate in siti strategici della Sonoma County, ha deciso di specializzare due di queste sull'abbinamento cibo-vino. Risultato: il 90% delle entrate aziendali, in termini di vendita di prodotto, arriva proprio attraverso questi cinque punti vendita.
Pagare per assaggiare
Il fenomeno è in crescita e merita la giusta attenzione: si tratta, sostanzialmente, di far pagare dei soldi per degustare i vini. Su questo aspetto il campione si è spaccato a metà, senza distinzione per area geografica. Questa misura, apparentemente draconiana e impopolare, è stata introdotta non solo per vili ragioni economiche, quanto e soprattutto per tentare di arginare chi va di cantina in cantina ad assaggiare vino solo per il gusto di farlo, impedendo magari al vero appassionato una degustazione tranquilla e meditata. "Era diventato un po' come una festa - spiega Jody Stewart, della winery californiana Kunde Estate -: c'era tanta gente, tanto movimento, non era male, ma con il tempo ci siamo accorti che c'erano anche tante persone che non avevano assolutamente interesse per il vino e che rendevano impossibile la degustazione al pubblico realmente interessato".
Ci sono però delle varianti delle quali va tenuto conto: in Illinois, per esempio, esiste una ferrea legislazione che indica un limite massimo di quantità di vino (poca) che si può somministrare al cliente, costringendo giocoforza le aziende ad aggirare l'ostacolo tramite l'escamotage della tariffazione. In Virginia, invece, è possibile far assaggiare gratuitamente i vini solo in azienda, mentre nei banchi d'assaggio pubblici è obbligatoria l'emissione di un biglietto, a pagamento naturalmente.
Chi fa pagare propone sovente dei "pacchetti" di assaggio differenti, organizzati sia per quantità che per qualità: per lo stesso prezzo, per esempio, si possono assaggiare 10 vini "base" oppure 6 "riserve". C'è chi poi alla fine, se hai assaggiato i vini importanti, ti omaggia del bicchiere, chi propone un prezzo cumulativo includendo anche una visita guidata in azienda più una degustazione guidata, chi propone invece "avventure" più elaborate con vino in abbinamento a piccoli assaggi di cibo: insomma, come avrete capito ce ne è per tutti i gusti e per tutte le tasche.
E se uno assaggia e poi acquista, è possibile avere detratta la somma relativa alla degustazione? Il problema ce lo si è posto, e anche se la maggioranza è per il "si" (50% nella West Coast, il 75% negli altri Stati), i "no" rappresentano una percentuale tutt'altro che trascurabile.
Ma quanto pagare?
Il 65% degli interpellati fa pagare dai 3 ai 6 dollari: in questa fascia rientra l'azienda Black Star Farm, Virginia, il cui "biglietto d'ingresso" costa 3 dollari a cranio - ma 5 per la coppia - per assaggiare la linea "base", mentre per assaggiare le "riserve" occorre sborsare 5 dollari a testa. In Napa Valley, California, tuttavia, stanno prendendo piede situazioni più "elaborate" per le quali, giocoforza, occorre spendere qualcosa in più. E' il caso di Paraduxx Winery, del gruppo Duckhorn Vineyards, dove per 10 dollari si assaggia seduti, con vista sul vigneto, uno dei tre vini rossi aziendali servito in un calice Riedel senza gambo (si consiglia la prenotazione). Esagerazione? Parrebbe di no, secondo il vicepresidente di Duckhorn Vineyards, Paul Leary, secondo il quale "più si offre, anche a un prezzo più alto, più i visitatori sono disposti a spendere, riconoscendo senza problemi il valore aggiunto offerto". Sempre Duckhorn Vineyards propone per 25 dollari, con prenotazione obbligatoria, l'assaggio di alcuni vini a produzione limitata in abbinamento a cibo, e pare che la formula vada a gonfie vele. Sempre in California, Jarvis Winery offre situazioni analoghe sempre e solo su prenotazione, ma con pagamento anticipato tramite carta di credito.
Ma quanto rende?
La quantità di entrate provenienti dalle "tasting room" è inversamente proporzionale alla dimensione aziendale: per chi produce meno di 5.000 casse all'anno siamo addirittura intorno al 70%, mentre per chi ne produce più di 500.000 si scende a un comunque interessante 23%. Un fatto che occorre ricordare è che queste entrate non sono fatte di solo vino, poiché esplodendo il dato, con riferimento alla West Coast, si ottiene che il contributo fornito della bottiglia ammonta all'86%: il 14% residuo è fatto di gadget, accessori vari, ma anche di "specialità" gastronomiche prodotte dalla stessa azienda quando non anche da pranzi, cene, matrimoni, concerti, festival del vino e affiliazioni al wine club aziendale - formula molto diffusa negli Stati Uniti con la quale, pagando una quota associativa, si possono ottenere sconti sui vini, spedizioni periodiche (a pagamento, si intende, ma il vantaggio è che c'è qualcuno che pensa per te), inviti a presentazioni, spedizione della newsletter cartacea e varie ed eventuali. E il "biglietto per degustare"? Chateau Morrissette, Virginia, riporta che nel proprio bilancio ha costituito il 3% delle entrate complessive.
E il personale?
Poco più dell'80% del personale che manda avanti le "tasting room" è assunto con un contratto part-time, e percepisce nel 90% dei casi una paga oraria con possibilità di bonus sulle vendite o su nuove iscrizioni al wine club dell'azienda - incentivo quest'ultimo particolarmente "spinto" dal datore di lavoro e che permette all'impiegato di fare dei bei soldi -: esistono casi, tuttavia, di persone niente affatto pagate - volontari o familiari - o pagate addirittura in natura, cioè in casse di vino.
La formazione del personale avviene secondo le maniere più disparate, ma in linea di massima si tratta di "operazioni lampo", della durata di un giorno o due nella maggior parte dei casi (69%), spesso basate, in parte o completamente, su un'attività di affiancamento (54%). Il dato però più sorprendente è la sostanziale assenza (solo il 25%) di una formazione mirata a come rapportarsi con il cliente e sul cosa si può e non si deve fare durante il servizio, soprattutto dal punto di vista legislativo. Inoltre, le possibilità di continuare la propria formazione sono il più delle volte (78%) affidate a degustazioni, sia proprie che della concorrenza, mentre occasioni alternative maggiormente mirate e qualificanti, come seminari in presenza di enologi e agronomi, piuttosto che eventi formativi sull'abbinamento cibo-vino o appuntamenti ultramirati riguardanti la gestione della "tasting room", sono meno diffuse (30%).
Le conclusioni del sondaggio
Le tasting room acquisiscono un'importanza sempre maggiore come strumenti di incremento delle entrate aziendali: le soluzioni adottabili sono molteplici, e la loro efficacia è tutto sommato indipendente dalla dimensione aziendale. Una saggia politica di incentivi economici per il personale è fondamentale per aumentarne la carica propositiva nei confronti del cliente: è però necessario aumentare la qualità della formazione, soprattutto in relazione sia a un quadro legislativo in continua trasformazione che al numero sempre crescente di turisti del vino e delle loro aspettative in termini di professionalità, cortesia e competenza.
E quindi?
Sebbene la cosa possa apparire di primo acchito assolutamente fantascientifica, l'ipotesi di far pagare dei soldi per assaggiare i vini in azienda presenta due vantaggi complementari: il produttore potrebbe iniziare a vivere questa fase come un vero servizio a pagamento, e quindi degno di una gestione attenta e consapevole; il visitatore si sentirebbe sollevato dall'obbligo morale di dovere acquistare a tutti i costi anche una sola bottiglia di vino per non sentirsi eccessivamente in imbarazzo. Aspetto di vile pecunia a parte, saper accogliere il visitatore non è qualcosa che si può improvvisare: le scene che sovente si verificano quando il titolare è assente (ma anche quando è presente, talvolta), o quando si capita tra le grinfie dell'improvvisato di turno, non possono che generare indignazione anche tra chi non si occupa di vino per mestiere. E non è che questo riguardi solo l'Italia, poiché in proposito anche Oltralpe si celano vaste sacche di pressapochismo. Si tratta di fare un salto di qualità dal punto di vista della mentalità imprenditoriale: se si accetta gente in azienda bisogna trattarla bene sempre e comunque, altrimenti tanto vale tenere chiuso ed evitare le brutte figure.
Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...
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