Detto come il pH va a influenzare la disponibilità dei nutrienti per la nostra pianta di vite immaginaria, vediamo ora di calare questo semplice ma fondamentale concetto nella vita reale della pianta stessa. Si è accennato allora nella puntata precedente al fatto che esistono suoli dove si fa viticoltura caratterizzati da diversi valori di pH: trascureremo quelli a “reazione neutra”, cioè quelli con pH intorno a 7, ovvero il caso più faorevole, per concentrarci su quelli a “reazione acida” e su quelli a “reazione alcalina”, o “basica”.
Io sono un “nebbiolista”, perché per me non esiste un altro vitigno al mondo che possa conferire ai vini da esso prodotti una magia paragonabile a quella che io riscontro in un bicchiere, in particolare, di Carema, di Gattinara, di Lessona, ovvero i miei, per dirla alla francese, “coeup de coeur”. Nebbiolo significa però anche e soprattutto, al di fuori dei miei gusti personali, vini eccezionali come Roero, Barbaresco e Barolo, nonché gli eccellenti Valtellina.
Allora, Valtellina, Lessona, Gattinara e Carema si fanno in una fascia pedemontana ben precisa, cioè quella alpina. Qui abbiamo a che fare con dei terreni a reazione acida: a Gattinara domina il porfido, in Valtellina il granito.
Barolo e Barbaresco, viceversa, si fanno in terreni molto diversi da quelli appena citati: qui la reazione è alcalina, o sub-acida. Infatti qui il sottosuolo è ricco in calcare, roccia a reazione basica per eccellenza.
E la vite che dice di fronte a tutto ciò?
Beh, non dimentichiamo mai che ogni pianta di vite che troviamo nei nostri vigneti, con alcune eccezioni, è composta in realtà da due parti: quella visibile, è una pianta di vitis vinifera, quella non visibile, cioè quella che affonda le radici nel suolo e che è preposta all’assorbimento dei nutrienti, è una pianta di vite americana. Questo piccolo Frankenstein è necessario affinchè la temibilissima fillossera non distrugga la vitis vinifera, che è quella che ci darà l’uva per il nostro vino preferito.
La vite americana non è però una sola: ne esistono infatti diverse specie. Le più famose sono la vitis riparia, la vitis rupestris e la vitis berlandieri. Ognuna di esse possiede caratteristiche ben precise, e hanno in comune la resistenza alla fillossera. In particolare, ognuna di esse è stata oggetto di incroci più o meno sofisticati, dai quali sono nati i portinnesti che oggi tutti noi conosciamo. Infatti, nomi come Kober 5BB, piuttosto che SO4, piuttosto ancora che 420, indicano ognuno un diverso portinnesto, ognuno dei quali ha pure un diverso ruolo nei confronti del pH.
Il 1103 Paulsen è adatto per i terreni a reazione acida, mentre per quelli a reazione basica, o alcalina, quindi con forte presenza di calcare, quelli che vanno per la maggiore sono il Kober 5BB e il 140 Ruggeri. Per completezza di informazione aggiungiamo che ogni portinnesto possiede poi altre caratteristiche specifiche, come l’induzione di vigoria nella pianta o l’adattamento al tipo di terreno (sabbioso piuttosto che argilloso).
E' chiaro quindi come il pH del suolo nel quale andremo a piantare le nostre viti reciti un ruolo decisamente importante. Ma non finisce qui...
pH del terreno di produzione del Barolo DOCG dell’azienda Bricco Rocche: 8,1.
pH medio dei vigneti dell’azienda Nervi, sita a Gattinara (VC): 4,0.
[Foto di Alessandro Zingoni, su Vinix]
Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...
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