Un pugno di ardimentosi lotta per la sopravvivenza solcando oceani di vino... australiano, naturalmente.
Per entrare nell'argomento...
In realtà nell'argomento, che mi appassiona molto visto la frequenza con cui ne scrivo, ci siamo già entrati in diverse occasioni: eviterò quindi questa volta di ripetere tutta la filastrocca che ha originato all'attuale "wine glut" di cui soffre l'industria del vino di Australia.
Il motivo per cui questa saga mi appassiona è presto detto: in primo luogo gli australiani mi sono simpatici, e francamente mi sono un po' risentito del modo in cui li abbiamo fregati ai mondiali di pallone tedesco; in secondo luogo è istruttivo osservare le vicende di una vitivinicoltura che si è fatta industria, che ha pianificato il successo, che ha scalato i mercati mondiali, che ha peccato in sovradimensionamento della propria capacità produttiva e che però non si è data per vinta, andando a cercarsi con le proprie forze una via di uscita, ben supportata da un governo che, contrariamente a quanto avviene in Europa, si rende conto dell'importanza di dare sostegno a un settore economico che produce occupazione e ricchezza.
Insomma, pur non augurandomi comunque un vigneto Italia impostato con le stesse logiche del vigneto Australia, anche se non tutta l'Australia è Hardy Wine Company e non tutta l'Italia è Domenico Clerico - ovvero la stessa differenza che passa tra il prodotto industriale di massa e l'artigianato fine - c'è sempre qualcosa da imparare o qualche riflessione da compiere sulle esperienze altrui. Una cosa, e questo per certo, che dovremmo invidiare a chi vive "Down Under" è l'elevata reattività di fronte alle necessità: giusto per sparare sulla nostra Croce Rossa potremmo ricordare la ormai trita e ritrita vicenda dell'Igt Italia, storia che va avanti ormai da tanto tempo e che è stata solo utile a generare tante chiacchiere e ben poco distintivo... In fondo, perchè cambiare se dobbiamo correre il rischio che le cose possano, per puro caso, migliorare??
A tutta cisterna, ma Asti non c'entra...
Gli ultimissimi dati giunti dall'Italian Wine and Food Institute relativi alle importazioni di vino negli Stati Uniti non celebrano solo i nostri scintillanti successi, cioè lo sfondamento del muro dei due milioni di ettolitri di vino imbottigliato nonché del non meno importante muro del "billion" di dollari, ma confermano anche il secondo posto del vino australiano nella graduatoria per quantità. Tale posizione, però, contiene un elemento di novità significativo: un leggero calo dell'imbottigliato (-1%) e una crescita significativa dello sfuso, 447mila ettolitri contro i quasi 240mila del 2005. Andando più nel dettaglio si possono notare anche una performance totale positiva (+4,1%) rispetto al 2005 e una quota di mercato (29%) ancora molto elevata: aumentando gli ingrandimenti sul dato in valore cominciano però le sorprese sgradite, perchè qui il -4,8% rispetto al 2005 è chiaramente negativo in un mercato in espansione come quello statunitense, e dove solo il Cile tra i Paesi che contano fa compagnia all'Australia, cui va aggiunta la beffa del sorpasso da parte della Francia nella graduatoria per valore (ottimo il loro +26,1%).
Se le quantità crescono e gli introiti diminuiscono significa che il vino australiano perde valore nel suo insieme. Parte di ciò va addebitato all'aumento cospicuo di prodotto sfuso che lascia le coste della terra dei canguri, esattamente +38% rispetto al 2005, per un totale di 2,12 milioni di ettolitri, per di più con un valore medio in calo rispetto al 2005. Va comunque detto che la quota di vino imbottigliato resta comunque ancora ben più alta, ovvero 5,28 milioni di ettolitri.
Altri dati: meno del 20% della produzione australiana in bottiglia è venduta in patria a un prezzo superiore ai 10 AUS$, mentre solo il 3% del vino esportato spunta un prezzo superiore ai 7,50 AUS$. Giusto per posizionare queste cifre su uno scenario macroeconomico, aggiungiamo che nel 2006 appena terminato il dollaro australiano si è apprezzato rispetto al dollaro USA e deprezzato rispetto alla sterlina britannica. Venendo a noi, per avere riferimenti, a oggi ci vogliono 1,68 dollari australiani per comprare un euro.
Certo, i roboanti propositi scritti nella Strategy 2025 difficilmente avrebbero previsto che il vino australiano sarebbe divenuto buono per lo sfuso: è comunque opinione comune che nella congiuntura attuale non si possa che far buon viso a cattivo gioco, e che la soluzione cisterna rappresenti un passaggio temporaneo, anche perchè, fatti due conti, non si può pensare di competere su questo segmento di mercato con realtà come Sudamerica e Sudafrica a livello di costi di produzione. L'opinione è condivisa peraltro dal broker Jim Moularadellis di Austwine, - la più importante società australiana che si occupa di transazioni di vino sfuso e che fa girare mediamente 0,45 milioni di ettolitri l'anno di bevanda di Bacco tra import ed export -, anche se ammette che in questa situazione il suo conto in banca ne tragga indubbi benefici.
Austwine, in particolare, fa molti affari con la GDO britannica: ragionando però sul percorso compiuto da un litro di vino dalle coste australiane al consumatore finale, ci si rende conto della sua lunghezza, che è tale da ingenerare un cospicuo effetto moltiplicatore sul prezzo rispetto alla partenza. Considerando infatti un vino acquistato da Austwine a 0,50 AUS$ al litro, è possibile che questo compaia sullo scaffale della GDO britannica, bello infiocchettato, a 7,50 AUS$: nel mezzo c'è un po' di tutto, dall'imbottigliamento al trasporto, dall'accisa al margine dell'importatore, poi c'è il distributore, il dettagliante... e poi c'è Austwine, naturalmente. Tesco's, invece, il vino se lo imbottiglia da sé, comprando direttamente vino sfuso. Accusato di lucrare sulle disgrazie altrui, Moularadellis rifiuta l'idea secondo cui sia l'eccessiva lunghezza di questa catena a scaricare i danni sul produttore di uva e vino, invitando a ragionare sul fatto che se il consumatore vuole spendere poco... Stiamo parlando di domanda e offerta in fondo, mica di pizza e fichi...
Effetto surplus
Secondo una stima di Moularadellis (ancora lui!), il surplus di prodotto stoccato a dicembre 2006 dovrebbe aggirarsi intorno a 4,6 milioni di ettolitri.
Questo stato di cose - peraltro non nuovo da qualche anno a questa parte, sebbene mai a questi livelli - ha ovviamente innescato una serie di processi, il più importante dei quali riguarda l'impennata del numero di partecipanti scesi nell'arena dello sfuso, ansiosi di liberarsi di quote più o meno cospicue di invenduto, partecipanti va detto trasversali per dimensioni all'intera industria del vino australiana; l'effetto collaterale di ciò è stato un aumento della qualità media del prodotto, beneficiando dell'apporto di chi non pensava certo di trovare questo sbocco per il proprio vino, in particolare grazie a partite provenienti dalle regioni più fresche dell'Australia, dove il clima agevola dinamiche di maturazione più regolari e quindi una migliore qualità.
Si tratta peraltro di uve che, come ricorda il già citato Moularadellis, hanno un costo di produzione maggiore rispetto a quelle provenienti dai vigneti situati nelle zone calde e irrigate, maggiore mediamente di addirittura quattro volte: molti produttori si sono dovuti così ridurre a vendere in perdita.
Insomma, visto ciò il rapporto qualità/prezzo dello sfuso sembra non essere mai stato così alto, e da questo stato delle cose non poteva che risentirne positivamente anche il consumatore.
Cleanskin
In questa congiuntura si è fatto strada ormai da qualche anno un fenomeno particolare, quello cioè dei cosiddetti vini "cleanskin". Si tratta di prodotti imbottigliati direttamente dalle aziende ma senza il loro marchio a fare bella mostra di sè, caratterizzati da package ultraminimale e da una qualità di livello superiore rispetto a quelli, ad esempio, marchiati direttamente dalla GDO. Il termine "cleanskin" è mutuato dal mondo dell'allevamento del bestiame, nel quale indica l'animale privo di marchio.
Per capire di cosa si tratti in concreto cito un solo esempio: nel 2005, quindi già in regime di sovrapproduzione avanzata, la catena di punti vendita specializzata in vini e spiriti chiamata Dan Murphy's, organizzò una promozione di cleanskin a 2 AUS$ sull'intero territorio nazionale che ottenne lo strabiliante risultato di addirittura 1 milione di bottiglie vendute nella sola prima settimana. Un milione di bottiglie è davvero tanta roba...
Gianni, l'ottimismo è il sale della vita!!!
Davvero ottimistiche le previsioni dell'industria del vino australiana rispetto al rientro dal surplus: se ciò si rivelerà vero, parte del merito andrà comunque condiviso con le avversità climatiche che hanno flagellato l'annata che sta andando a concludersi. Infatti, una gelata anomala prima e una forte siccità poi fanno prevedere una vendemmia 2007 con rese in media addirittura inferiori di un quarto rispetto alla precedente. Tanto per fare un esempio Pizzini Wines, per voce del suo proprietario Alfred Pizzini, ha annunciato una riduzione di raccolto per il 2007 davvero consistente: 60 quintali/ettaro in luogo dei normali 140.
Secondo gli analisti di mercato, comunque, alla riduzione del raccolto 2007 non dovrebbe corrispondere un rialzo dei prezzi per il consumatore finale - e ci mancherebbe altro, aggiungerei io...-.
Tutto grasso che cola, dunque, anche se Moularadellis affronta questo aspetto con ovvio sarcasmo, chiosando che anche dopo gli interventi del Padreterno, o di chi per lui, resta il fatto che il 40% della produzione debba ancora comunque trovare il modo di potere rientrare in un risicato 20% di opportunità di mercato. Comunque sia, secondo la Winemakers' Federation of Australia è molto probabile che l'azzeramento del surplus potrebbe avvenire nel giro di 2-3 anni, in luogo dei 3-5 previsti.
Altre strade
Non si vive dunque di sola cisterna, anche se alcune soluzioni di packaging scelte da aziende australiane potrebbero far storcere più di qualche naso ai puristi della bevanda di Bacco.
Il Prisma Pak è uno di questi: somiglia al tetra-pack ma si differenzia da esso per il dettaglio, pare non trascurabile, di non produrre il caratteristico "glu-glu" versandone il liquido in esso contenuto. In più, il Prisma Pak presenta interessanti vantaggi a livello di ambiente, essendo riciclabile e meno avido in termini energetici dal punto di vista della produzione rispetto al vetro.
E visto che il mondo è bello perchè è vario, c'è un'azienda chiamata Long Flat che ha appena prodotto 6.000 casse di vino "inprismapakato". Pazzi? Forse no, visto che c'è chi apprezza questo genere di soluzioni...
Con un balzo andiamo infatti in Canada, precisamente in Ontario: qui il Liquor Control Board locale ha recentemente annunciato un progetto volto a ridurre la quantità di rifiuti derivati dal confezionamento di prodotti alcolici. E' dunque ovvio che l'aspetto di riciclabilità, offerto dal Prisma Pak, assicuri un vantaggio competitivo, del quale la suddetta Long Flat ha già approfittato.
Conclusioni
Pur essendo la conclusione effettiva di questa saga ancora di là da venire, si prospetta comunque un periodo in cui qualche scelta più dolorosa sarà comunque da fare. Il fatto comunque che il vino rappresenti un'industria, e che in Australia il livello di reattività alle avversità sia maggiore, renderà probabile il raggiungimento di una soluzione efficace al problema, tra le quali, visto che già se ne è parlato, potrebbero esserci anche gli estirpi. Attendiamoci dunque altre trovate, dopo cleanskin e Prisma Pak, attendendo nel contempo l'IGT Italia che verrà...
Riferimenti:
http://www.theaustralian.news.com.au/printpage/0,5942,21087280,00.html
http://www.theage.com.au/news/epicure/wine-glut-to-end-soon/2007/01/22/1169330830812.html
http://www.theage.com.au/news/epicure/chateau-de-plastic/2007/01/22/1169330797644.html
Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...
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