La vendemmia in Napa Valley non sarà delle migliori quest’anno: il clima è stato decisamente anomalo, con una gelata in aprile e ondate di caldo intenso a partire da maggio e che sono durate l’intera estate, oltre a un’assenza quasi totale di precipitazioni e a incendi che però, a detta dei produttori, non hanno influenzato negativamente la qualità dell’uva. Gli effetti negativi di tutto ciò si sono ripercossi sull’uva, di qualità senz’altro, ma con rese in vigneto davvero basse, le più basse da molti anni a questa parte, quantificabili in un calo del 25-30% rispetto alla media. La grande anomalia è che i grappoli, comunque ben maturi e senza malattie, sono pochi e “leggeri” in quanto l’assenza quasi totale di precipitazioni ha impedito loro di accumulare acqua.
Restiamo in Napa Valley, più precisamente ad American Canyon, dove i piccoli produttori cioè quelli che imbottigliano centinaia o poche migliaia di casse all’anno e che vogliono un controllo totale su come i loro vini vengono fatti, avranno presto la possibilità di utilizzare, se lo vorranno, due nuovi complessi costruiti appositamente per loro in una zona industriale, venendo incontro anche alle difficoltà, sia economiche che legislative, nel costruirsi un apposito spazio in campagna. La soluzione per produrre vino era infatti per loro quella di rivolgersi a terzi in grado di trasformare le uve, perdendo però il controllo sulla delicata fase della vinificazione. Questi complessi si potrebbero definire come due grossi “condomini”, e sono progettati per contenere spazi destinati sia alla produzione che allo stoccaggio del vino. Ogni spazio avrà la dimensione di 2.844 piedi quadrati e costerà 185 dollari al piede quadrato se acquistato “nudo”, anche se i proprietari dell’immobile, che sarà pronto l’anno prossimo, potrebbero concedere nel prezzo pavimenti in pendenza e scarichi per le operazioni di lavaggio di cantina. Per chi voglia proprio fare una cantina, invece, sono previsti ulteriori oneri per la fornitura delle apposite apparecchiature di smaltimento dei prodotti di scarto delle lavorazioni.
Pochi conoscono la realtà vitivinicola della Pennsylvania, quinto stato produttore negli States ma poco profeti in patria visto che i vini prodotti in loco “pesano” un misero 2% nei consumi a livello statale: il dato è basso ma esistono tutte le premesse per farlo crescere e aumentare le possibilità di successo per i viticoltori locali. Dal 1992 a oggi le aziende sono passate da 43 a oltre 130, con una crescita del 24% tra il 2003 e il 2006, sono strutturalmente piccole e a conduzione familiare, e i vigneti si stanno rapidamente espandendo. Si tratta di uno Stato che ha sempre avuto una vocazione agricola, ma dove la viticoltura è cosa molto recente. Un fatto interessante è stato che nel 2005 la Pennsylvania Wine Association commissionò a un’azienda californiana specializzata in ricerche di mercato, uno studio sullo stato dell’industria del vino locale, scoprendo che l’impatto sull’economia dello Stato poteva essere tutt’altro che irrilevante. Ci sono due zone di produzione importanti: una lungo il Lago Erie, nella Pennsylvania nord occidentale, l’altra nella parte sud orientale, che si estende lungo le regioni collinari che vanno da Gettysburg ad Allentown, fino a raggiungere addirittura le porte di Philadelphia. Il successo di questa viticoltura poco conosciuta è supportato dagli 877.000 visitatori che nel 2005 hanno frequentato le aziende locali: tuttavia si ritiene che si possa ancora fare molto dal punto di vista delle sinergie con il turismo per far crescere ulteriormente queste cifre e generare ulteriori introiti. Anche dal punto di vista del supporto della ricerca c’è ancora un po’ di arretratezza rispetto ad altri stati dell’Unione. La vendemmia 2008 è stata anche qui piuttosto complicata dalle bizzarrie meteorologiche, soprattutto a causa di uragani e grandinate: qui, il rapporto con il clima è sempre un po’ difficile, e richiede molta attenzione e sensibilità per riuscire a mitigarne gli effetti negativi e ottenere un raccolto di qualità. L’annata si presenta comunque interessante, sia per le uve precoci che per quelle tardive, che hanno beneficiato di un mese di ottobre piuttosto mite, la cosiddetta “indian summer”.
La vendemmia in Oregon, zona di produzione famosa per essere una delle terre a più alta presenza di Pinot nero nel mondo, presenta invece tratti piuttosto particolari e interessanti. E’ stata una vendemmia tardiva, causata da un ritardo di tre settimane nella ripresa vegetativa, dove la pazienza nel lasciare i grappoli in pianta ha fatto la differenza. La stagione fresca ha favorito una maturazione completa del frutto con livelli zuccherini ideali, nè troppo bassi nè troppo alti, e darà quindi la possibilità ai produttori di ottenere vini freschi, colorati, profumati e con grado alcolico contenuto entro limiti accettabili. Si pensa, insomma, a una grande annata.
Il consumo di vino negli Stati Uniti continua a salire, anche se il tasso di crescita, atteso per quest’anno dell’1,5%, sarà il più basso dal 2001, ovvero l’anno in cui l’economia statunitense fu per l’ultima volta in recessione. Altri dati: le vendite al dettaglio supereranno quest’anno per la prima volta i 25 miliardi di dollari per oltre 306 milioni di casse acquistate. Il consumo di vino è dunque in aumento, con una previsione entro il 2015 di divenire il primo paese al mondo in questa categoria. La crisi economica, tuttavia, dovrebbe andare a colpire i portafogli, indebolendo le vendite presso ristoranti e bar. I vini di importazione, venduti proprio presso ristoranti e bar, continuano a essere più consumati rispetto a quelli locali, ma la tendenza si sta invertendo e tale ciclo dovrebbe completarsi entro il 2015.
Passiamo dall’altra parte del mondo, ovvero in Australia, dove l’industria del vino locale è convinta di avere finalmente in mano le chiavi per assicurarsi il dominio definitivo sul mercato cinese, grazie a uno studio dell’Australian Wine Research Institute sui gusti locali. Il risultato è stato che i “rossi” australiani sembrano essere preferiti rispetto a quelli di altri paesi produttori, e che il gusto preferito è quello fruttato ma senza esagerazioni. Oggi l’export verso la Cina vale 64 milioni di dollari australiani ed è cresciuto del 20% nel solo ultimo anno. Una ricerca del genere ha un valore immenso: dà infatti la possibilità ai produttori di “ritagliare” i propri vini su quello che il consumatore cinese preferisce e va cercando. In particolare, il valore è ancora maggiore se si tiene conto del fatto che il consumatore cinese era stato finora poco analizzato.
Restiamo in Australia per parlare di un problema particolare, quello dei danni alla vite derivati indirettamente dagli incendi, che nello stato di Victoria costò nel 2006 più di 100 milioni di dollari australiani rendendo inutilizzabili oltre 35.000 tonnellate di uva. Il problema riguarda l’inquinamento dell’uva causato dal fumo di detti incendi, che pare trasmettersi al prodotto finale se ottenuto da vigneti particolarmente vicini agli incendi, mostrando aromi legati all’affumicato e alla cenere. Il problema è comunque globale: anche in Canada, California e Grecia si sono segnalati vini aventi queste caratteristiche provenienti da zone in cui si erano verificati incendi di dimensioni importanti nelle vicinanza dei vigneti. Un gruppo di ricercatori australiani sta cercando di capire i meccanismi attraverso i quali la vite assorbe il fumo. I primi risultati mostrano che l’assorbimento arriverebbe attraverso la foglia. Tra l’altro, questo carattere “smoky” non si mostra sempre sull’uva in maniera diretta, poiché in molti casi occorre attendere la conclusione della fermentazione prima che si manifesti. La soluzione utilizzata dagli australiani per ripulire i vini è stata l’osmosi inversa, e ha funzionato sui vini “inquinati” prodotti nello stato di Victoria: da notare che tale soluzione era già stata adottata con successo in Canada su vini che avevano mostrato lo stesso problema.
Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...
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