Ci sono realtà nel mondo vitivinicolo globale che stanno vivendo un momento di grande successo ed euforia ed altre che fronteggiano momenti di difficoltà anche gravi. La vitivinicoltura è un’insieme di tanti piccoli tasselli che vanno a costruire un puzzle complesso. Il successo o l’insuccesso possono dunque dipendere da molti fattori nel lungo percorso che porta dal vigneto alla commercializzazione, e che, per ricordarne solo alcuni, possono semplicemente dipendere dai capricci del tempo piuttosto che da nuove mode emergenti nel mondo del consumo.
In questo articolo faremo tappa in alcune realtà segnalando sia momenti estremamente positivi che situazioni decisamente negative.
Partiamo dal Paese più lontano da noi, ovvero la Nuova Zelanda. Con una vendemmia 2008 definita eccellente e che si pensa porterà a produrre alcuni vini davvero eccezionali, le esportazioni continuano ad avere un segno nettamente positivo. Ricordiamo che secondo una previsione dello scorso anno, le vendite all’estero dovrebbero crescere senza sosta fino a sfondare nel 2010 il tetto del miliardo di dollari - nel 2007 eravamo a quota 800 milioni -. Tra i segreti di questo successo se ne possono segnalare giusto un paio: l’enorme attenzione verso un livello di qualità media più che buono e un’industria del vino locale molto unita e compatta, che condivide strategie comuni. Tra l’altro, i neozelandesi sono riusciti nell’impresa di fare dell’Australia il primo mercato per le esportazioni, con una crescita del 37% nel 2007: il risultato è ancora di più di prestigio tenendo conto del fatto che l’Australia è essa stessa una nazione a forte vocazione nell’export.
La Gran Bretagna è così divenuta il secondo mercato, mentre azioni mirate stanno facendo crescere con decisione le prospettive in Giappone e in Irlanda. Tra l’altro, ciò che finisce sul mercato inglese è soprattutto alta qualità, visto che il valore medio del venduto è addirittura di 6,47 sterline, cioè un paio di sterline in più rispetto al miglior risultato della concorrenza. Altro aspetto interessante è che a oggi il 70% della capacità produttiva nazionale viene ottenuto secondo un programma nazionale condiviso di viticoltura sostenibile, un numero che nel 2012 dovrebbe arrivare addirittura al 100%. Alta qualità del prodotto e un’immagine pulita sono dunque i due capisaldi sui quali l’immagine del vino neozelandese si propone all’estero. Oltre all’immagine, però, ci sono anche i profitti, anche se i numeri molto interessanti sono quelli prodotti dalle aziende che stanno investendo bene avvantaggiandosi anche di aspetti di economia di scala: infatti, stanno soffrendo solo le aziende più piccole, il cui fatturato è compreso tra 1 e 5 milioni di dollari neozelandesi, con profitti attorno all’1%, allorquando, per dare un’idea, quelle con fatturato superiore ai 20 milioni di dollari hanno utili superiori al 20%. Tutto sembra comunque andare per il meglio: la vendemmia 2008 è stata anche abbondante, +30% rispetto al 2007. Tuttavia, vista l’esperienza dei vicini australiani, l’industria del vino neozelandese sta monitorando con grande attenzione i rischi derivanti dalla sovrapproduzione, che potrebbe minare il circolo virtuoso che si è instaurato.
Per chiudere, giusto una segnalazione dalla vicina Australia rispetto all’invasione di vino neozelandese. Il successo è ovviamente figlio di una tendenza di mercato, cioè quella legata al Sauvignon blanc: pare però che la maggior parte del prodotto che arriva in Australia, soprattutto quella occidentale e che va a scontrarsi con la produzione locale, sia di qualità non particolarmente eccelsa. Sembra dunque una concorrenza al ribasso, almeno da quelle parti, quella neozelandese, ma che va a impattare sulla produzione di bianchi locale basata su un taglio Sauvignon blanc-Semillion i cui prezzi, dovuti a costi di produzione in salita, restano decisamente più alti.
Restiamo in Australia, dove le avverse condizioni meteo stanno mettendo in crisi un’intera regione vitivinicola, cioè quella di Riverland, che già peraltro risente delle difficoltà dell’intero comparto nazionale. Il problema, in particolare, è la siccità, a causa della quale quasi il 60% dei produttori di uva locali, su un totale di circa 5.000, stanno considerando la possibilità di abbandonare la viticoltura. I destini di questa zona di produzione dipendono infatti dallo stato di salute del bacino fluviale di Murray-Darling, il quale sta soffrendo prolungati periodi di siccità. La viticoltura di questa regione è infatti fortemente dipendente dalla possibilità o meno di irrigare: la carenza d’acqua potrebbe allora indurre molti viticoltori a modificare la propria strategia di gestione del vigneto.
La reattiva industria del vino australiana non è comunque rimasta con le mani in mano: il GWRDC (Grape and Wine Research and Development Corporation) ha già avviato il programma Water and Vine, che mira appunto a istruire i viticoltori a un uso più mirato e responsabile delle risorse idriche nel vigneto, cercando così di scongiurare un abbandono in massa. Il programma prevede una serie di workshop sul territorio in maniera da portare le informazioni necessarie a una più ampia platea possibile.
Passiamo agli States, dove si segnala una tendenza interessante che sta portando la viticoltura praticamente ovunque nel Paese a stelle e strisce. A oggi, infatti, ogni Stato ha almeno un’azienda vitivinicola: in alcuni casi l’uva viene importata, in altri ardimentosi agricoltori in cerca di nuove emozioni e profitti interessanti hanno piantato i propri vigneti, sostenuti anche da ricche sovvenzioni governative. Una zona che nessuno avrebbe mai considerato adatta per la viticoltura è il Midwest: qui il movimento è cresciuto al punto tale che a Settembre si terrà a Chicago la prima esposizione di vini prodotti nel Midwest.
Non si tratta comunque di numeri da capogiro, ma il fenomeno è in crescita. 108 cantine nell’Ohio e 112 nel Michigan sono comunque numeri da rispettare, così come gli addirittura 800.000 enoturisti che nel 2005 hanno visitato le aziende nel Michigan. Una delle sfide che questi viticoltori devono affrontare ogni anno è l’inverno: le temperature, infatti, scendono di parecchi gradi sotto lo zero mettendo a rischio la sopravvivenza della vite. Per aiutarli, l’Università del Minnesota sta mettendo a punto nuove varietà resistenti al gelo.
Chiudiamo con la Francia, dove si sta registrando una tendenza preoccupante per le esportazioni. I prodotti in recessione sono i vini da tavola e i vini a indicazione geografica, in calo del 15,5% per numero di bottiglie vendute rispetto allo scorso anno: si tratta di prodotti che secondo l’opinione comune degli addetti ai lavori, costituivano l’ossatura delle esportazioni di vini francesi, che non sono tutti Bordeaux e Borgogna di altissima qualità. Esiste anche un fatto congiunturale da tenere presente, con l’euro molto forte rispetto al dollaro statunitense e alla sterlina britannica: e proprio gli Usa e il Regno Unito, mercati tradizionalmente forti, registrano cali significativi. Ma anche lo Champagne segna il passo, con un calo del 4,2% in volume, e qui le motivazioni del calo sembrano più legate ad aspetti di recessione economica che vanno ovviamente a colpire i prodotti più costosi. Altre nubi sull’orizzonte transalpino vengono dall’annata in Borgogna: il freddo e la pioggia in fioritura e la grandine estiva stanno infatti influenzando negativamente l’andamento dell’annata. Sebbene la grandine abbia colpito, come al solito, zone limitate, il danno si aggirerebbe intorno al 60% laddove si sia verificata.
Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...
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