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Mondo Vino

Vino e Cina

di Riccardo Modesti

MappaArticolo georeferenziato

Avete presente quante persone vivono in Cina? Più di quante ce ne possiamo immaginare, anche considerando i soli grandi centri urbani.
Per chi di mestiere produce e vende vino è lecito considerare questa nazione-continente come un mercato praticamente infinito e tutto da esplorare. Si tratta in buona sostanza di una grande opportunità, che però potrebbe venire meno già nel corso di pochi anni visto che gli stessi cinesi potrebbero a loro volta produrre tanto vino da coprire adeguatamente il fabbisogno nazionale.
Attualmente ci sono già più di 400 aziende in attività, le quali stanno scommettendo decisamente sul vino per almeno due buoni motivi: il primo è che il cinese considera il vino come una bevanda interessante dal punto di vista salutistico (quello rosso, ovviamente); il secondo è che il rosso è un colore portafortuna. Ce ne sarebbe anche un terzo, e anche il più ovvio: una gigantesca e impetuosa rivoluzione negli usi e nei costumi che va a braccetto con un benessere che sta aumentando, almeno in alcune aree del paese.


Consumi in crescita

Oggi i cinesi consumano essenzialmente birra, addirittura per tre quarti di tutte le bevande alcoliche consumate laggiù; poi vino ottenuto dal riso, una produzione però in via d'estinzione poiché il governo ha intenzione di cominciare a "proteggere" il prezioso cereale dedicandogli esclusivamente finalità alimentari; il consumo pro-capite di vino di uva è invece ancora decisamente basso se spalmato sull'intera popolazione, un terzo di litro annuo, ben poca roba per un popolo che produceva vino da uva già circa duemila anni fa.

Visto però che molte cose (non ancora tutte, purtroppo) stanno cambiando rapidamente, veicolate da uno stile di vita all'occidentale (democrazia a parte) che comprende in sé anche il consumo di vino, c'è da scommettere su un futuro roseo per la bevanda di Bacco, che sta penetrando con grande decisione soprattutto nelle grandi città. Ristoranti e winebar, tipologia di esercizio commerciale questa ultima in corso di diffusione esponenziale, propongono il vino con sempre maggiore insistenza: è anche un fatto di moda, chiaramente, ma funziona. Durante un recente convegno ho sentito parlare di un locale situato nella ricca Shangai, basato esclusivamente su prodotti italiani, da 500 coperti: il suo successo è tale da aver fatto pensare al proprietario di aprirne altri cinquanta (non uno o cinque, ma cinquanta).

Breve excursus storico
Il pioniere della viticoltura "moderna" sul suolo cinese è stato l'inglese Michael Perry: proprietario di due winebar a Hong Kong (allora territorio di Sua Maestà Britannica) nonché importatore di vini, nel 1983 decise che nella penisola di Shandong si sarebbe potuto individuare un sito adatto alla produzione di vini di qualità. Ventidue anni fa la Cina era decisamente un paese diverso: presentarsi di fronte ai burocrati locali con un progetto così particolare non deve essere stato semplice per Perry, il quale ricevette inizialmente diffidenza e perplessità. Alla fine, tuttavia, ce la fece e fondò Huadong, oggi azienda dalla solida reputazione che produce oltre 350.000 casse di vino. L'esempio di Perry fu comunque imitato da altri occidentali: nacquero così diverse joint-venture, all'epoca l'unica opzione percorribile per uno straniero che volesse investire laggiù. Con il passare degli anni. complice anche la crescita del know-how locale, i pacchetti azionari di dette aziende stanno diventando 100% cinesi.


Il tessuto produttivo

A oggi esistono, come già detto, oltre 400 aziende in attività, che operano su una superficie vitata stimata intorno ai 390.000 ha: la maggior parte di queste realtà è di proprietà governativa e persegue logiche basate sulla quantità, un fatto che cambierà sicuramente con il progressivo affinarsi dei palati locali. Molte di queste realtà, inoltre, imbottigliano vino importato dall'estero, fatto che rende la produzione di vino cinese con uve cinesi, per chi lo fa, un punto estremamente qualificante. I dati governativi stimano per i prossimi tre anni una crescita produttiva compresa tra il 10 e il 14% all'anno.

Quattro imprese di proprietà statale (Dynasty, Changyu, Great Wall e Tonghua) controllano addirittura i due terzi del mercato, da esse (ma non solo da loro) gestito in maniera tale da avere per ciascuno un proprio target di riferimento: facendo alcuni esempi diremo che se Tonghua vende nelle città del nordest, Dynasty ha in Shangai la propria roccaforte; se Great Wall ha negli adulti il proprio pubblico di affezionati, soprattutto tra quelli meno abbienti, Duke Dry Wine pesca tra i consumatori di mezza età. Great Wall è comunque una realtà un po' particolare, visto che di fatto ha tre linee di prodotto che, nelle intenzioni, dovrebbero coprire segmenti diversi del mercato ma che, in realtà, finiscono con il farsi concorrenza a vicenda.

La Suntime Winery, altra azienda a capitale statale, sta tentando invece di avere la botte piena e la moglie ubriaca, ovvero qualità spalmata su grandi volumi: per farlo ha scelto come zona di produzione la remota provincia dello Xinjiang Uyghur, più vicina a Kabul che a Pechino. I mezzi a disposizione sono fantasmagorici: si parla di 175 milioni di dollari, da spendere per cantina, vigneto e, soprattutto, opere ciclopiche di irrigazione. I contadini locali vengono sottoposti a un (benevolo) lavaggio del cervello per apprendere e mettere in pratica le tecniche più adatte alla viticoltura di qualità. L'immagine dell'azienda verrà affidata a un volto celebre del cinema cinese, l'attrice Maggie Cheung.


Il mercato: chi consuma vino
Quale è il profilo del consumatore cinese medio? Ne esistono in realtà diversi: quello più interessante riguarda una persona che vive in una grande città, lavora in una joint-venture, ha un'età compresa tra i 20 e i 30 anni e aspira a uno stile di vita di stampo occidentale. La riconversione verso la bevanda di Bacco ha comunque interessato anche alcuni appartenenti alla generazione intorno alla cinquantina, in particolare i protagonisti (e beneficiari) della prima ondata di aperture all'occidente: si tratta di persone che hanno frequentato europei e americani e che da loro hanno imparato, in materia, a scegliere il meglio senza badare a spese. L'ulteriore allargamento del mercato, quello davvero significativo, si potrà però conseguire nello stesso modo in cui è avvenuto altrove: diffondendo cioè la cultura del vino.


Il mercato: gusti particolari

Una recente missione commerciale organizzata dallo stato della California, ovviamente con scopi promozionali per i loro prodotti, ha evidenziato alcuni costumi particolari locali: intanto che il cinese medio consuma normalmente le bevande alcoliche, vino incluso, bevendole "alla russa", in un colpo solo cioè; che le bevande alcoliche non accompagnano tradizionalmente il pasto; che sovente al vino viene aggiunto ghiaccio o qualche "soft-drink" (pare che l'accoppiata vino e Sprite vada fortissimo).

Il cinese, inoltre, preferisce vino rosso (per i motivi già citati) e ha un palato abituato al tannino: quest'ultimo aspetto, piuttosto controcorrente in un mondo che rifugge le durezze gustative, è legato al cospicuo consumo di tè, e soprattutto di quello verde, che contiene, come noto, molto tannino. Pare comunque che anche il vino bianco, nonostante queste premesse, possa avere un futuro: durante il loro "tour" i californiani hanno infatti verificato un solido interesse anche per lui, in funzione soprattutto dell'abbinamento con diversi piatti locali.


Esportare in Cina: sembra facile ...

Va comunque ricordato che la riapertura delle frontiere all'importazione del vino è cosa recente e risale al 1995. Certo, le 41.000 casse vendute in quell'anno furono poca cosa rispetto all'attuale milione circa il quale, pur sembrando molto, non è che l'1% del vino venduto in Cina. Chi è arrivato 10 anni fa come l'azienda spagnola Miguel Torres che in Cina produce e importa vino, ha dovuto vedere a lungo i propri conti in rosso: è stato solo quest'anno infatti, grazie a molta pazienza e lungimiranza, che l'azienda ha potuto festeggiare, anche se solo per un pareggio.

Le tasse di importazione sono pure un fattore importante: l'ingresso della Cina nel WTO ha avuto come conseguenza il loro progressivo abbassamento fino all'odierno 14% (partendo dal 65%). Sono in molti, comunque, a ritenere che questa situazione positiva potrebbe non durare, perché si ritiene che nel momento in cui il vino d'importazione comincerà a erodere una quota di mercato eccessiva rispetto al prodotto locale, il governo intraprenderà qualche manovra protezionistica.


Esportare in Cina: per ora la cultura vince

Chi presidia attualmente il mercato per quanto riguarda l'import? Per quanto la situazione sia fluida e in forte evoluzione, di sicuro la fascia alta è presidiata dai francesi, i quali stanno sfruttando il loro classico vantaggio competitivo basato sulla storia, sulla tradizione e sull'aura di esclusività che aleggia intorno ai loro prodotti. Un fatto questo ben compreso dai già citati californiani durante il loro viaggio: il cinese con forte capacità di spesa vuole circondarsi di valori come cultura e raffinatezza, valori che la Francia è in grado di evocare. Per quanto riguarda la California invece, pur essendo i suoi valori percepiti la tecnologia, il divertimento, i beach boys e le california girls, oltre alla solida notorietà della Napa Valley c'è il solito vantaggio commerciale che i paesi del Nuovo mondo riescono sempre a mettere in campo, ovvero il vitigno nel nome del vino. Che piaccia o meno, dunque, la storia si ripete ...


Cavalcare ... la tigre
E' allora un affare esportare in Cina? Può esserlo. Il mercato è potenzialmente infinito e in forte espansione. Alcuni problemi non vanno però sottovalutati: la burocrazia è problematica; la distribuzione può essere impossibile in alcune regioni per mancanza di infrastrutture; il sistema bancario sta muovendo i primi passi; la contraffazione (si, anche del vino) è più che una minaccia. E, per finire, il rinnovamento impetuoso in corso presso alcuni segmenti della popolazione può trascinare dietro di sé profondi cambiamenti nel tessuto sociale che, nel bene e nel male, potrebbero comportare altrettanti mutamenti a livello di mercato locale.

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Riccardo Modesti

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Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...

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