Angelo Mignosa ci propone un rosso chiamato La Gelseta.
Si tratta di un uvaggio costituito da Sangiovese e Cabernet in parti uguali integrato con il 20% di Ciliegiolo e Canaiolo prodotto nella zona del sottomonte pisano. Angelo non ha usato lieviti selezionati e la fermentazione è durata all’incirca 15 giorni. Come ci racconta lui stesso:
“Il 26 Ottobre ho travasato dalle damigiane in una botte di rovere nuova aggiungendo solo allora 7gr/100l di metabisolfito. Il 27 Dicembre ho fatto un battonage e aggiunto altri 5 gr/100l di metabisolfito. Il 25 Gennaio ho interrotto l'affinamento in botte di rovere (3 mesi) e travasato in tino di inox.”
Prima di leggere le mie note di degustazione, vediamo alcuni dettagli delle uve che hanno costituito l’uvaggio.
Il Ciliegiolo
Io adoro questa uva e i vini che amo maggiormente da queste uve sono quelli di Antonio Camillo (Poggio Argentera). Le origini di questa uva seguono due tesi: alcuni sostengono che è stato importato dai pellegrini di ritorno dal santuario di Compostela; altri ritengono che sia il Ciliegiolo dolce di cui scrive Soderini e quindi di origine assolutamente autoctona. In tutti i casi si trova coltivato in Toscana da più di 170 anni e trova in Maremma il suo habitat naturale. Danno origine a vini di facile beva ed estremamente versatili.
Il Canaiolo
Le prime menzioni di questa uva si trovano nel famoso trattato dell’agricoltura di Pier Crescenzi del 1300 che lo definiva come una “Bellissima uva da serbare”. Non dobbiamo dimenticare, a scopo puramente nozionistico che questa varietà, assieme al sangiovese, alla Malvasia ed al Trebbiano, faceva parte della ricetta originale del Chianti codificata dal Barone Ricasoli.
Il nome potrebbe derivare dal latino dies caniculares, ovvero i giorni della canicola, che fa riferimento ai giorni più caldi dell’estate, i momenti in cui di solito avviene l’invaiatura.
Arriviamo ora alle mie note di degustazione
L’aroma è pungente ed acido al primo naso ma continua anche dopo un giorno dall'apertura.
Al gusto sembra un po' cotto e molto tannico, magari c’è stato qualche problema di elevata temperatura di fermentazione o di macerazione (rottura dei vinaccioli o spappolamento della buccia).
C’è un’elevata sensazione pseudocalorica con retrogusto mentolato di macchia mediterranea.
Tre mesi in botte non sono serviti a molto e hanno avuto solo l’effetto di indurire e rendere amaro il vino.
Queste note fatte prima del controllo analitico hanno trovato conferma nei numeri:
Alcol distillazione: 13,81%
Zuccheri: tracce
pH: 3,43
acidità totale: 7,00 g/l
acidità volatile: 0,80 g/l
anidride solforosa totale: 28 mg/l
anidride solforosa libera: 3 mg/l
Secondo me è stato un errore mettere il vino in legno e lasciarlo così poco. Inoltre si sta alzando l'acidità volatile anche a causa della scarsa solfitazione. Se il vino fosse il mio provevderei a travasarlo, solfitarlo, conservarlo in un contenitore ben pieno e con battente di metabisolfito. Farei anche un accurato controllo dell’acidità. Per l’imbottigliamento affronterei il problema dopo l’estate; il tempo potrebbe aggiustare un po' le cose.
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