Finalmente un po’ di Sangiovese ma soprattutto -e dico forte “Era Ora!”- un vino ligure. Si tratta del ‘Settemani’ prodotto e imbottigliato a Taggia, in provincia di Imperia da Daniele Fontana. Si tratta per la precisione di un uvaggio con il 20% di Cigliegiolo, diraspato manualmente, che ha fatto una fermentazione sulle bucce per undici giorni. Le prime notizie sul Sangiovese risalgono al diciasettesimo secolo ed il suo nome sembra fare riferimento ad una collina che si trova nell’entroterra riminese, il Monte Giove appunto. La denominazione sembra anche alludere al dio Giove dei Romani. Un’antica leggenda racconta che i frati capuccini del convento di Santarcangelo coltivavano la vite e producevano un vino rosso fragrante e generoso.
Un giorno ricevettero la visita di Papa Leone dodicesimo al quale fu servito il vino di loro produzione. Alla richiesta del nome del vino, nell’imbarazzo generale, vista l’assenza di un nome, ebbero la fantasia di rispondere ‘Sanguis Jovis’. Molti ritengono che il vitigno sia invece originario della Toscana, in particolare della zona attorno a Firenze, dove sembra conosciuto fino dai tempi degli Etruschi.
In maniera scientifica ne è stato scritto nel “Trattato della Coltivazione della vite” Del Solderini risalente al 1600 ed in seguito in “Agricoltore sperimentato” del Trinci del 1726. Geneticamente pare sia provenga dall'incrocio tra Cigliegiolo e un vitigno calabrese semisconosciuto, il Calabrese di Montenuovo. Ricordiamo che c’è Sangiovese e Sangiovese: il Brunello ed il vino della riviera romagnola, i sangiovese riserva e i Rossi dell’Italia centrale. Non dimentichiamo inoltre che copre oltre il 10% della superficie viticola nazionale, ed è coltivato dal Veneto alla Puglia, isole comprese e contribuisce alla formazione di almeno un centinaio di vini DOC ed oltre 140 tipologia di vini IGT ( ragionamenti un po’ da Valore Italia ma che vanno fatti per dare il quadro d’insieme).
Ne esistono un incredibile numero di varietà e di cloni diversi e per questo motivo il Sangiovese è da considerarsi un vitigno anarchico che non segue le regole. Questo vitigno anarchico è arrivato così in Liguria di ponente e si è espresso con un rosso cupo netto, intenso, con un’evidente nota violacea che annuncia una freschezza ed un acidità che ritroveremo in seguito. Sullo specchio del vino ci sono delle evidenti tracce di olio enologico; magari c’è stato un problema di campionamento. Il naso è austero, poco incline a rilasciare piccoli frutti rossi appena percettibili sotto un’evidente nota metallica. La presenza del tannino è evidente e vibrante, sorretto da una sferzante acidità.
Analisi:
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Inserito da claudia donegaglia
il 06 marzo 2014 alle 20:54