Tutti ci rendiamo conto che un singolo produttore di vino si trova a fare interminabili e continui compromessi con il mercato, che risultano ancora più pesanti se si tratta delle esigenze dei mercati internazionali. Lo sappiamo e lo capiamo pure, ma nello stesso tempo ci dispiace, quando le nobili idee, sui quali si basano le validissime filosofie di tante aziende vitivinicole, vengono spazzate dalle "esigenze del mercato", che diventa unico e indiscutibile arbitro, leggi che non possono essere messe in discussione.
Chi si oppone o è un idealista (di solito un piccolo produttore che produce il vino quasi esclusivamente per i suoi amici e e gli amici dei loro amici) o semplicemente uno che si può permettere di andare contro corrente (al solito un medio/grande che, per svariate ragioni, che spesso non hanno a che fare con idealismo, decide di sviluppare una produzione "alternativa" ai gusti internazionali). In questo settore sarebbe ovviamente impossibile andare avanti basandosi soltanto sull'idealismo, ma penso che questa qualifica sia indispensabile per poter sviluppare le giuste strategie per il sempre più incerto futuro dell'enologia italiana ed europea in genere.
Al centro di questo dibattito si trova senz'altro il difficile compromesso tra il vitigno autoctono e l'internazionale. Il vitigni autoctoni sono considerati non facili, anche perchè il vino da loro prodotto, risultano in media parecchio meno bevibile, per un consumatore non esperto, del vino nato dai vitigni internazionali. Una pratica, per certi versi pericolosa, che si sta sviluppando ultimamente, è l'uso sempre più frequente dei vitigni internazionali allo scopo di "aggiustare" i vitigni autoctoni italiani. È molto frequente, specialmente se si tratta di vini base e di livello medio, cioè quelli più bevuti in assoluto. Questo costituisce una seria minaccia per i vini dai vitigni autoctoni, perchè il consumatore medio non ha la possibilità di conoscere e apprezzare il vero gusto del vino italiano così sradicato nel suo carattere dall'uso dei vitigni internazionali.
Tutti percepiamo come incidono pesantemente sul gusto del vino autoctono le aggiunte dei vari Cabernet, Merlot, Syrah e Chardonnay. In quel modo si possono creare vini piacevolissimi, ma non più caratteristici. Mi è capitato di assaggiare ultimamente un ottimo bianco "Campo al Mare" 2006 di AMBROGIO E GIOVANNI FOLONARI (www.tenutefolonari.com) chiamato Vermentino, ma che "grazie" alla pur piccola, ma molto sentita nel gusto, aggiunta del Sauvignon Blanc, non ha più ragione di essere venduto come Vermentino o perlomeno non si dovrebbe dichiararlo sull'etichetta principale.
Produrre un buon autoctono è più difficile e le cose si complicano ancora di più per la sua commercializzazione, ma a mio modesto parere le aziende italiane non si possono più permettere di produrre vini anonimi che si mettono inevitabilmente a durissimo confronto con migliaia di vini mondiali, così massicciamente presenti anche sugli scaffali dei negozi europei.
Io personalmente, come spero tanti altri attenti consumatori del vino italiano, mi sento più appagata scoprendo un vino autoctono unico nel suo genere; è ciò che mi è capitato ultimamente nella zona di Arezzo, quando ho bevuto un buonissimo vino a base dell'autoctono e sconosciuto Siro coltivato in esclusiva dalla FATTORIA DI GRATENA di Pieve a Maiano (www.gratena.it).
Proprio queste coraggiose ricerche sul recupero dei vitigni autoctoni dovrebbero essere al centro dell'attenzione dell'intero settore vitivinicolo italiano e degli enti e associazioni che si occupano dello sviluppo e della promozione del vino italiano in genere. È preoccupante, che dopo gli anni della scoperta dei vitigni autoctoni, assistiamo ultimamente in Italia ad un timido, ma ben presente, ritorno dei grandi vitigni internazionali sotto la forma dei vari supervini, che hanno tutti i diritti di esistere e di competere al livello internazionale, ma non più di "rubare" le poche risorse disponibili per la ricerca e la promozione nell'intero settore dell'enologia italiana.
Sono arrivata a simili conclusioni dopo il mio ultimo viaggio primaverile in Sicilia, ospite dell'ASSOVINI in occasione delle annuali presentazioni dei vini siciliani En Primeur, svoltesi quest'anno a Taormina (www.assovinisicilia.it). Dopo alcuni giorni trascorsi tra Taormina e Palermo, ho notato, che le diverse cantine isolane si trovano attualmente in un bivio tra autoctono e internazionale e che, ancora più preoccupante, sembrano di favorire in questo momento proprio la impostazione internazionale, che da loro la certezza di risultati commerciali piuttosto immediati. Soltanto così si spiegano le aggiunte di vitigni internazionali, altrimenti immotivate, al sicilianissimo Nero d'Avola, che lo sradicano o perlomeno rendono piuttosto banale e "internazionale", appunto. Ancora più preoccupante è l'attenzione generale e la spinta nel promuovere i puri vitigni internazionali, come il Cabernet e Syrah, lasciando a parte i stupendi vitigno autoctoni, tra i quali Nerello o Frappato.
Nessuno mette in discussione il fatto, che nell'uso dei vitigni internazionali la Sicilia sia arrivata a livelli molto alti, ma è giunto il momento di portare agli stessi livelli anche i vitigni autoctoni, i veri protagonisti dell'enologia siciliana. Mentre esistono i stupendi Nero d'Avola di fascia alta, mancano gli stessi nella fascia medio/bassa, che in genere sembra essere troppo trascurata dai produttori stessi, almeno quelli più affermati. Negli ultimi anni si è creata la netta divisione tra i Nero d'Avola venduti a "1 Euro" nei supermercati europei, e i grandi Nero d'Avola di fascia alta, che dato il loro prezzo elevato sono degustati da pochi intenditori.
Tra queste due categorie sembra non esserci spazio per niente altro. Si ha la impressione che un singolo produttore preferisca portare il suo autoctono alla fascia alta del mercato piuttosto che produrre un vino medio, con un buon rapporto qualità-prezzo,probabilmente anche per la paura di non omologarlo ai così disprezzati vini da supermercato. Ci saranno altri mille motivi per questa situazione, ma il fatto è che mancano, sia in Sicilia che in tutt'Italia, i vini autoctoni di fascia media con il buon rapporto qualità-prezzo. Le produzioni esistenti sono talmente limitate o poco reperibili, che non cambiano il quadro generale del commercio del vino in Italia, che si basa sui vini dell'impronta "internazionale".
I maggiori sforzi dei produttori italiani sono indirizzati sempre verso il vino del gusto "internazionale" perciò educare il consumatore medio ad un vero gusto di un vino autoctono italiano risulta un'impresa davvero eroica. Un vero autoctono costa in media il doppio rispetto a un piacevole "internazionale" italiano (parlo sia dei veri internazionali sia degli autoctoni internazionalizzati). Oggigiorno, visto la crisi generale dei consumi, il loro prezzo elevato costituisce un fortissimo ostacolo. Tanti produttori italiani insistono sui vini internazionali, con la speranza di poter affermarsi nei mercati stranieri, ma non si rendono pienamente conto, che si mettono in un confronto sempre più spietato con centinaia di produttori del Nuovo Mondo.
Pochi capiscono davvero, che senza puntare sui vini autoctoni, questa guerra l'hanno già persa. Personalmente sono convinta che vino italiano (come tanti altri prodotti italiani) è interessante non perché può essere messo a confronto con altri, ma perché è diverso e unico. Tornando agli stupendi vini autoctoni siciliani vi vorrei segnalare un paio di aziende della zona sud dell'isola, che ho avuto piacere di visitare durante il mio ultimo viaggio. Tutte in modo molto attivo promuovono i vitigni autoctoni.
Planeta
Il loro classico Nero d'Avola IGT Sicilia "Santa Cecilia" di PLANETA è prodotto dal 1997 nella zona di Menfi (Agrigento) e ultimamente a Noto (www.planeta.it). È uno blend di vini provenienti dalle due vigne che si trovano su diverse altezze (la vigna bassa dà i vini più vegetali e più evoluti invece la vigna alta i vini più minerali e con un grande potenziale, che ho potuto notare anch'io assaggiando i due campioni da botte dell'annata 2006). La zona di Noto è considerata il vero regno di Nero d'Avola.
Francesco Planeta crede che il Nero d'Avola della zona di Noto è come il Sangiovese a Montalcino e, visto gli ottimi risultati raggiunti finora, sembra avere pienamente ragione. Questa zona geograficamente è posta più al sud della Tunisia ed è caratterizzata da valori di luce altissimi, che danno al Nero d'Avola prodotto lì un potenziale straordinario. Un'altra perla enologica prodotta in questa zona è lo stupendo Moscato di Noto DOC, di vitigno Moscato bianco (attualmente in commercio si trova l'annata 2005).
La produzione di questo vino sorprendentemente fresco, bevibile e per niente stucchevole, appartenente alla categoria dei più antichi vini del mondo a base di vitigno Moscato, è complessa. L'uva, che viene raccolta verso il 20 di agosto, viene conservata per 40 giorni a temperatura di 21 gradi perdendo umidità e conservando tutti i suoi straordinari profumi, poi viene presa e fermentata con particolare attenzione per preservare la alta acidità al vino e un medio grado alcolico (12,5%). Nonostante, che sia un vino di grande tradizione, nella zona di Noto lo producono attualmente solo pochissimi.
Dalla zona di Vittoria (Ragusa) proviene un altro ottimo vino di PLANETA, il Cerasuolo della Vittoria, diventato, dall'annata 2005, la prima DOCG siciliana. Il disciplinare prevede la presenza dal 50% al 70% di Nero d'Avola e dal 30% al 50 % di Frappato, uscita in commercio dopo 18 mesi dalla vendemmia. Il vino di PLANETA, prodotto dall'annata 2001, è per 60 % Nero d'Avola e per 40% Frappato (attualmente sta uscendo in commercio l'annata 2006). Frappato rende questo vino invecchiato in acciaio più fruttato, fresco e più versatile del solito classico Nero d'Avola e nella sua singolarità è la vera ragione della prestigiosa denominazione DOCG, che possiede attualmente solo 8% dei vini italiani.
Cali
Questa giovane azienda di Vittoria, diretta da Paolo Cali che ha ereditato un antico podere di famiglia, dove dal 2001 si è dedicato alla coltivazione di sola uva rossa, produce un ottimo Cerasuolo di Vittoria "Manene" (60% Nero d'Avola e 40% Frappato) e un piacevolissimo Frappato 100% "Mandragola"- un vero campione di qualità/prezzo (5,50 Euro franco cantina). Il grande sogno di Paolo Cali e di sua moglie Maria Laura, è quello di lavorare il Frappato in purezza e farlo diventare un grande vino pari a Pinot Nero. Visto la complessità di profumi (mora, ciliegio, gelsomino, note speziate, per citare alcuni) e delicatezza di gusto (con un piacevole finale amarognolo), abbinata alla elevata acidità, che pulisce e sgrassa la bocca, il "Mandragola" della ottima annata 2005, che si trova attualmente in commercio, è senz'altro un vino unico, versatile e piacevolissimo, che smentisce la fama del Frappato, che lo vuole ruffiano e di pronta beva. Un' altro sfida di CALI è la totale assenza di legno nella cantina. Dato, che la zona non da la uva bianca di alto livello, CALI ha deciso di intraprendere un'altra avventura, cioè produrre un Frappato vinificato in bianco di nome "Bianco di Luna", che, presentato quest'anno durante le anteprime di Taormina, ha superato i pregiudizi e ha trovato il consenso dei tanti esperti (www.vinicali.it).
Valle dell'Acate
Questa azienda , fondata dalla famiglia Jacono, attivissima nel promuovere i vitigni autoctoni siciliani, si trova nella stupenda zona della Valle dell'Acate nella Provincia di Ragusa e possiede 100 ettari di vigne (www.valledellacate.it). Uno dei suoi migliori vini è Cerasuolo della Vittoria di Nero d'Avola 60% e Frappato 40%). In questo caso il Nero d'Avola viene invecchiato per 5 mesi in barrique, che dà un giusto corpo e persistenza al fresco e aromatico Frappato. Ottimo anche il loro Nero d'Avola in purezza IGT Sicilia "Il Moro", invecchiato in acciaio e affinato in bottiglia per lungo tempo (ho potuto confermarlo assaggiando l'annata 2005 che è ancora molto giovane). Da notare anche il loro bianco Insolia in purezza IGT Sicilia, vino con un intenso profumo di fiori e frutta tropicale e una piacevolissima sapidità che lo rende molto adatto ai gustosi pasti estivi dell' isola.
Tenuta Sette Ponti
Dalla tenuta siciliana dell'imprenditore Antonio Moretti esce un ottimo Nero d'Avola in purezza IGT Sicilia "Saia" maturato in barrique (www.tenutasetteponti.it). Nel'annata 2005 di questo vino (in commercio dal settembre 2007) ho notato un accattivante e complesso profumo fruttato e un gusto fresco e pieno. Il suo ottimo cugino minore, il Nero d'Avola IGT Sicilia "ReNoto" (venduto a un buonissimo prezzo di 4,5 Euro franco cantina) è attualmente prodotto con l'aggiunta di Syrah, che, come affermano i suoi artefici, lo rende meno spigoloso di prima, ma al mio avviso anche più banale. È proprio un esempio palese del compromesso al quale sono costretti (o si costringono?) tanti produttori di vini autoctoni. Un nuovo e interessante prodotto di questa cantina è nato dall'annata 2006 Nero d'Avola IGT Sicilia "ReNoto" Rosé. In quel caso il Nero d'Avola proviene da un vigneto di 20-25 anni e dà un vino parecchio più corposo e versatile dei soliti rosati (e venduto al solito buon prezzo del "ReNoto" Rosso). Mi auguro, che nel futuro non sarà affiancato a nessun vitigno internazionale, come è capitato al suo fratello rosso.
Zisola
Dopo i successi nella produzione dei vini di altissima qualità nel Castello di Fonterutoli nel Chiantigiano, la famiglia Mazzei ha scommesso anche sulla viticoltura siciliana e sul suo straordinario potenziale di Nero d'Avola, acquistando nel 2003 l'azienda nella Contrada ZISOLA a Noto. Dai 21 ettari di vigneti ad alberello posti al 130 metri di altezza, nasce oggi un unico, ma già promettentissimo Nero d'Avola in purezza "Zisola".
Attualmente in commercio si trova l'annata 2005 (il 2006 uscirà a novembre) di questo vino che si distingue per la sua morbidezza e il notevole equilibrio. È da notare anche il loro delicato Olio Extravergine di Oliva, pulitissimo nel profumo e nel gusto,che è un cultivar di Moresca, Ogliarola Messinese e Nocellara Etnea.
Salve a tutti, permettete,che mi presenti nel modo piuttosto tradizionale. Sono nata a Poznan' in Polonia nel 1970. Nel ormai lontanissimo passato ho...
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