A volte più strade portano alla stessa destinazione, è il caso di come ho conosciuto questo formaggio. Il mio interesse per le razze in via di estinzione, mi ha portato a collegare delle personali ricerche sulle razze caprine grigia Ciociara e bianca dei monti Ausoni e Aurunci, in quanto il latte delle stesse veniva destinato ad una piccola produzione della Marzolina, in seguito l’ho ritrovato a cheese in un presidio slow food.
Gia nell’inchiesta Jacini del 1877 questo formaggio è citato con il nome di Marzelline.
Negli anni la produzione di questo formaggio è andata a diminuire fino a rischiare la scomparsa, quando un giovane casaro ne ha ripreso la produzione ed è divenuto in seguito presidio Slow Food.
La zona tradizionale di produzione dell’attuale Marzolina si estende dagli storici comuni di Frosinone e Latina verso alcuni comuni attigui di Lazio e Molise.
Il periodo migliore è da marzo a maggio ma viene prodotta per tutto agosto.
L’alimentazione dei capi, deve essere brada per tutto il periodo favorevole al pascolo come imposto dal disciplinare, ed è costituita in maggioranza da pascolo e integrata con foraggio costituito da fieno e mangime.
Il latte proviene da due mungiture, quello della sera viene colato, unito alla mungitura mattutina e addizionato di caglio di capretto in pasta. La cagliata viene tagliata e lasciata sgrondare, poi introdotta nelle formelle, mediante pressatura a mano. La salatura può essere eseguita sia a mano che in salamoia.
Segue la fase di maturazione su assi di legno che dura circa 15 giorni durante i quali le Marzoline vengono periodicamente rivoltate. Possono essere consumate anche fresche, dopo la fase di maturazione ma per tradizione vengono prima lavate con olio e aceto o acqua e aceto e poste a maturare in otri di vetro dai quali vengono estratte periodicamente per la pulizia.
I recipienti possono anche essere colmati di olio, in questo caso, la stagionatura avrà dei sentori più delicati e il formaggio una struttura più morbida. La stagionatura può essere di qualche mese ma tradizionalmente era da un anno all’altro.
Il formaggio al termine di questo periodo si presenta di aspetto cilindrico o parallelepipedo con crosta secca o untuosa e morbida se è stata a bagno d’olio.
Il colore varia dal bianco latte all’avorio fino al giallo aranciato tenue e dipende dal tempo e dalle modalità della stagionatura.
Il campione che ho degustato è stagionato a secco, ha forma con sezione quadra irregolare e crosta inesistente. Il colore della pasta è avorio, l’aspetto è compatto con piccole occhiature irregolari di forma e distribuzione. Il profumo predominante è, quello di ircino, la capra, molto pulito, tipico, piacevole e penetrante. Con un analisi olfattiva più approfondita si nota la presenza dei sentori di fieno e burro.
La struttura ha la tendenza alla rottura netta, a scaglia, in bocca nonostante la prolungata stagionatura non è durissima, ma lascia la possibilità di essere deformata, ascutta, induce succulenza. Il sapore è salato, con una leggera vena piccante, il formaggio di non facile solubilità, ha degli interessanti aromi che ricordano oltre che il corredo lattico, sentori di frutta secca e in particolare castagna. Molto intenso e molto persistente, anche grazie alla prolungata stagionatura, equilibrato, con interessanti sfumature sensoriali.
Per le sue caratteristiche è un formaggio che può insaporire molti piatti, ma io ho preferito gustarlo singolarmente, accompagnato da poco pan focaccia cotto in casa e senza abbinarlo a nulla per lasciare che la persistenza del prodotto rimanesse in bocca il più a lungo possibile.
[Foto dell’autore]
Per approfondire la mia passione e le mie conoscenze, nei primi anni ’90 ho seguito il corso e conseguito la qualifica di Assaggiatore di Vino...
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