A volte grazie ad amici, riesco ad ottenere dei prodotti praticamente sconosciuti, è il caso di questo Pecorino Viterbese, che mi è stato portato dall’amico Bruno, artista eclettico di ritorno dalla regione d’origine dopo una mostra. Proprio perché originario della terra degli Etruschi, Bruno conosce un pastore – casaro che ancora produce questo particolare prodotto. Grazie a Lui qualche anno or sono lo conobbi anche io, di ritorno da una breve gita in Puglia, ed ebbi occasione di apprezzare i suoi prodotti e osservare il suo modo di lavorare. Questo prodotto, è ancora diffuso in alcuni comuni del Viterbese, il nostro campione proviene da Vetralla.
La tipologia del prodotto è un influenza di diverse culture casearie: le dimensioni della forma esterna ricorda alcuni pecorini toscani, la lavorazione si ispira alla Toscana, al Lazio e alla Sardegna. Nel dettaglio, il latte è ovino al 100% di due mungiture, lavorato crudo e proveniente da capi di razza sarda e o comisana. I capi sono liberi di pascolare e cibarsi di piante e arbusti tipici della zona che all’occorrenza vengono integrate con foraggi locali non insilati.
Il latte, senza aver subito nessun trattamento termico, viene innestato con siero proveniente dalla lavorazione precedente, e lavorato alla temperatura massima di 38 – 40°c, per riscaldare il latte nel nostro caso è stata usata una pentola in rame stagnato come da tradizione. Giunto alla temperatura viene aggiunto caglio in pasta agnello che lo porta a coagulazione in circa 35 - 45’. La rottura della cagliata avviene manualmente, con un bastone di pero che alla sua estremità inferiore vi sono una serie di spine di legno.
La rottura è ad una grandezza che varia fra il chicco di riso quello di mais.
Dopo la sineresi, viene prelevata la cagliata manualmente e posta nelle fascere di plastica che ormai hanno preso il posto di quelle di giunco, sia per praticità che per questioni igieniche e pressata manualmente e poi per sovrapposizione, alternando le fascere alte alle basse per uniformità di risultato. Dopo che il formaggio ha raggiunto la giusta consistenza, almeno 6 -8 ore viene posto in salamoia per la salatura che dura circa una giornata.
Una volta estratto e asciugato inizia la stagionatura, il locale, ben arieggiato, è posto di fianco a dove il formaggio viene prodotto e dotato di scaffalature di legno, generalmente pioppo o castagno e alti legni ma con la parte superiore in pioppo perché non avvenga una cessione dei tannini a contatto con il cacio. Dopo circa 3 settimane la stagionatura consegna un prodotto di primo consumo. La stagionatura può protrarsi nel tempo fino a dare dopo i 6 – 8 mesi un prodotto da grattugia.
Il prodotto da noi degustato ha circa 35 giorni, si presenta con forma cilindrica abbastanza regolare, scalzo leggermente convesso, facce piane parallele.
In una parte della circonferenza fra faccia e scalzo la forma ha una corda di schiacciatura, ma questa non influisce sulla qualità della crosta. L’aspetto di questa é abbastanza liscio, il colore è giallo paglierino uniforme. Sezionando il formaggio, la crosta di presenta di uguale spessore, unghia sottile. La pasta appare compatta, colore giallo paglierino tenue, con media presenza di occhiature con grandezza irregolare e uniformemente distribuite, mediamente elastica, abbastanza deformabile, i profumi sono di latte, yogurt, fieno umido e fiori secchi.
Il sapore è dolce, la struttura friabile, durante la masticazione, con il calore del cavo orale percepiamo la sensazione di salato e una piccola vena acida.
Il formaggio è ben diluibile, abbastanza umido, diventa pastoso e facilmente ingeribile. Piacevole la lieve sensazione di piccante che rimane in bocca dopo averlo ingerito. Gli aromi che si percepiscono ricordano le castagne bollite nel latte e la frutta oleosa essiccata. Profumi ed aromi sono abbastanza intensi e abbastanza persistenti. Le sensazioni gustative sono intense e persistenti in rapporto alla stagionatura del prodotto che nel complesso è equilibrato e di buona qualità.
La gastronomia di questo prodotto può essere ricercata anche nelle ricette della Tuscia che risalgono fino al primo millennio a.c. Nelle ricette romane il pecorino era molto usato anche su piatti a base di pesce, come le seppioline al Nero di Glauco, la spatola in teglia di Miteco, i rombi al forno di Archestrato da Gela, o la “Patella Tirotarica” tratta da De re coquinaria di Apicio: “patellam tirotaricam ex quocumque salso volueris”); una specie di frittata con pesce fresco bollito, pesce sotto sale, cervella lessa, fegatini di pollo, miele […] e pecorino grattugiato.
A dispetto degli ingredienti citati, che ho appositamente messo in modo raffazzonato senza citarne ne procedura di utilizzo ne dosi, il risultato è una frittata che si può utilizzare come apertura e il risultato sarà sicuramente intrigante.
Oggi a distanza di tremila anni circa, localmente il pecorino va quasi su tutto, nella cucina della Tuscia appunto è usato in alcune pizze con pastella, fritte o pizzacce, nei primi piatti asciutti in alcuni secondi.
La mia personale preferenza per consumare un formaggio come quello degustato, è di intermezzo: spuntino pomeridiano o per posticipare l’orario della cena, e personalmente l’ho gustato abbinandolo ad un Ciliegiolo golfo del Tigullio di Daniele Parma con Ciliegiolo e Sangiovese con pane a pasta soda.
Foto dell'autore
Per chi volesse saper di più sull'artista Bruno Salvatori www.fotartgenova.it
Per approfondire la mia passione e le mie conoscenze, nei primi anni ’90 ho seguito il corso e conseguito la qualifica di Assaggiatore di Vino...
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