A tutti è probabilmente capitato di provare in sogno o nella realtà la sensazione che quel preciso istante era un episodio già vissuto, una sorta di film già visto attraverso gli occhi del protagonista. La situazione può essere piacevole o imbarazzante, ma comunque, sappiamo già come andrà a finire e nonostante i nostri sforzi, continuiamo inevitabilmente ad agire come le volte precedenti, senza poter o voler fare nulla per cambiare l’esito degli eventi. A me periodicamente questa situazione capita nella realtà, quando qualcuno che viene a conoscenza della mia passione sui formaggi si improvvisa estimatore del prodotto: immancabilmente cita zone d’origine e tradizioni familiari fino a quando a volte estrae ciò che pensa sia l’asso nella manica, ovvero il formaggio con i vermi!
La chicca avviene quando alcuni affermano che con il mio cognome, inevitabilmente DEVO essere un esperto di tale prodotto. Personalmente cerco sempre di essere diplomatico, ma in alcune giornate il mio sconforto, ad udir proferire tale verbo, è tale che traspare anche dallo sguardo. In altre occasioni, la mania di protagonismo del mio interlocutore, amplificata se in compagnia femminile, ha il sopravvento anche nei soggetti più timidi, quindi illustra le differenti tipologie del prodotto, differenziando udite, la tipologia degli ospiti del cacio fra quelli totalmente bianchi, che lasciano presupporre un formaggio di alta qualità, e quelli con la testa nera sottolineando la qualità inferiore del prodotto.
Ma non è finito, le osservazioni toccano anche la pasta più o meno “lavorata” e la cremosità, senza dimenticarsi di evidenziare altre caratteristiche come il piccante, l’aspetto olfattivo e la parte sportiva della degustazione, ovvero la rincorsa dei “Grilli del formaggio” con il pane. Quando subisco la discussione fino a questo punto, la mia delusione è profonda, a volte mi limito a sorridere, altre cerco di cambiare discorso, fortunatamente quasi mai vengo costretto ad esprimere un parere.
Anche a me, una volta è toccato assaggiare questo prodotto, avevo circa 16 anni e mi è stato presentato su un cracker, vista la mia già nota repulsione a mangiare “formaggio che cammina” chi me lo ha offerto si era prima assicurato che non vi fossero presenze sgradite, e poi si è preoccupato di renderlo irriconoscibile spalmandolo uniformemente. Sinceramente non ero esperto di formaggi e a distanza di oltre 25 anni i miei ricordi di quella esperienza sono affievoliti, ma ben presente è ancora un sapore piccantissimo e un aroma che mi bruciò la via retro nasale.
Ricordo ancora che quando mi comunicarono cosa avevo mangiato ebbi come l’impressione di aver vinto una sfida con me stesso, e in cuor mio era come se fossi uscito dal richiamo periodico della vaccinazione. Sicuramente non ero arrabbiato, ma neppure entusiasta dell’esperienza.
Oggi, la mia posizione nei confronti di questo “prodotto” è di assoluta indifferenza.
Certo è sicuramente frutto della tradizione, quando nulla andava sprecato. I testi lo definiscono in diverso modo: Casu marsu, Casu Fattitu, Casu Becciu quello prodotto in Sardegna è da scarti di Fiore o pecorino Sardo contaminato dal moscerino dei formaggi. Racconti locali dicono che venivano scelte le forme non perfette più grasse e lasciate all’esterno. A volte le formaggette venivano tassellate e nei fori aggiunto olio e richiuse.
In Lombardia, si parla più semplicemente di Formaggio coi vermi, e pare sia ricavato da Bagoss o Grana mal riusciti, era in uso fino agli anni ’50 nelle zone montane e campagne lombarde. Nella zona di Socchieve, provincia di Udine, la denominazione che si ritrova dalla consultazione di un testo non recente è quella di Formaggio Saltarello, e la tecnologia è ben riportata:
si otteneva in malga con il primo latte delle bovine stanche dal viaggio, il formaggio ottenuto, una specie di Latteria molto grasso, aveva la tendenza alla fermentazione e posto a riposare. Quando comparivano i primi vermetti veniva ricoperto di gesso e posto a stagionare senza rivoltarlo per circa tre mesi dopo di ché era ritenuto pronto per il consumo.
In Abruzzo, denominato Formaggio Puntato o Marcetto, storicamente prodotto e ricercato quello della zona di Teramo Alta. Ricavato da pecorini andati a male, lasciati a stagionare circa un anno. Sicuramente diffuso in altre regioni e probabilmente anche oltre i confini nazionali, dalle mie ricerche, molti di questi prodotti sono ricavati da latte ovino e tutti hanno in comune la tecnologia se tale può definirsi:
Tutti i formaggi, difettosi o scelti appositamente, con o senza la tassellatura e aggiunta di olio sono contaminati dalla mosca del formaggio la Piophila casei, di piccole dimensioni e di colore verde lucido. Questa, depone anche fino a 500 uova nelle crepe della crosta del formaggio che nell’arco di 48 ore sviluppa le larve sotto forma di piccoli vermi che, scavando nella pasta creano i primi cunicoli cavernosi e nutrendosi del formaggio, con i propri enzimi la trasformano in una pasta sapida, piccante e cremosa.
E’ chiaro che siamo di fronte ad una contaminazione dell’alimento, voluta o indesiderata, che genera un difetto nel prodotto rendendolo non commerciabile.
L’infestazione da mosche, è un danno per la produzione in quanto avviene attraverso i locali di stagionatura non puliti o attraverso fascere non opportunamente curate.
Anche per ovviare a questo problema, le tradizionali in giunco sono in molti casi state sostituite dalle più pratiche in plastica, che necessitano di una minore manutenzione.
In caso di rischio di contaminazione è opportuno dotare i locali di stagionatura di reti alle finestre ed eventualmente all’ingresso realizzare un disimpegno con due porte che dotate di rete antizanzara da aprirsi in sequenza, all’avvenuta chiusura della precedente e dopo aver controllato che nessun animale infestante vi sia introdotto.
E’ inoltre necessario eseguire opportune disinfestazioni nei locali di stagionatura sulle assi mediante soda calda, sui muri con imbiancatura a calce e in atmosfera con fumigazioni di zolfo.
Ma tornando al formaggio, l’aspetto esteriore è quello della forma originaria, a volte è scoperchiata e si può vedere la pasta di aspetto cremoso, con occhiature cavernose e la maggior parte delle volte con presenza dei vermetti che saltano anche fuoriuscendo dalla forma. Il colore della pasta diventa giallo paglierino intenso, avorio.
Il profumo molto pungente intenso e persistente, con sentori lattici maturi, ricorda nel momento di massima evoluzione l’ammoniaca.
Per il sapore, sinceramente, se avete la curiosità, chiedete ad un vostro amico, ognuno di noi ha la fortuna di conoscere uno di questi esperti, io sinceramente penso che esistano cose migliori da mangiare. L’autodifesa che i bambini hanno è tornata in me: ciò che ha un brutto aspetto non si tocca, ciò che ha un cattivo o particolare odore non si mangia. Ma come dicevo all’inizio se siete estimatori, buon appetito, degustibus non disputandum est...
C'è anche un interessante video di Gordon Ramsey sul Casu Marsu in Sardegna:
http://www.youtube.com/watch?v=vZ_-JzM-YQg
[foto dell'autore]
Per approfondire la mia passione e le mie conoscenze, nei primi anni ’90 ho seguito il corso e conseguito la qualifica di Assaggiatore di Vino...
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Inserito da Filippo Ronco
il 18 dicembre 2010 alle 10:29Fil.