Era la fine del XV secolo e gli attriti mediati da Lorenzo il Magnifico fra il Ducato di Milano e il Regno di Napoli dopo la sua morte nel 1492 ricomparvero, finché nel 1494, i soldati di Carlo VIII di Francia, aiutati da Federico il Moro, invasero l’Italia in quanto pretendente al regno come erede degli Angioini. Caterina Sforza, signora di Imola e Forlì, capita la posizione strategica del suo territorio rimase neutrale al conflitto, nonostante da una parte lo zio Ludovico la volesse alleata di Milano e della Francia, e dall’altra il Cardinale Raffaele Riario, nipote di Girolamo marito di Caterina, questo già coinvolto nella Congiura dei Pazzi che uccise Girolamo de Medici e ferì Lorenzo il magnifico, la volevano alleata con il regno di Napoli.
Caterina in seguito decise di unirsi con Ferdinando II re di Napoli, che al primo attacco dei Francesi la tradì non difendendo le sue terre. Per reazione si alleò con Carlo VIII il quale, passando per i territori di Caterina, conquistò Napoli in circa due settimane.
Ma durante la fase di neutralità di Caterina, i Napoletani furono liberi di saccheggiare campagne e villaggi, i contadini corsero quindi ai ripari nascosero le scorte alimentari in fosse comuni nei centri dei paesi che vennero poi coperte e risistemate anche nel ciottolato.
Fra le derrate nascoste vi era anche il formaggio, alcuni testi attribuiscono proprio a questi eventi la nascita dell’infossamento delle forme, mentre è più ovvio ritenere che la pratica si sia solo maggiormente diffusa quando le popolazioni hanno apprezzato il risultato della stagionatura forzata, proprio per quest'ultimo motivo, la diffusione della pratica, la giusta collocazione degli eventi assume importanza.
Difatti già 17 anni prima, nel 1477 era andato in stampa la “Summa Lacticiniorum” di Pantaleone da Confienza, allora sessantenne, che nel capitolo XIII descriveva quest’usanza da lui osservata tempo addietro, ma senza specificare in questo paragrafo il luogo dove, per alcuni, era già pratica consolidata da generazioni.
Pantaleone scrive:
“Ho visto altri conservare i formaggi in fosse sotterranee: scavano il suolo fino a una discreta profondità, mettono la paglia sopra e sotto, vi depositano i formaggi e ve li lasciano per sei mesi. […] Coloro che invece mettono il formaggio in buche sotterranee e lo conservano in luoghi umidi hanno paura dell’eccessiva essiccazione prodotta dall’aria e da altri fattori, e, come si è detto sopra, sotterrano il formaggio. Così per effetto del luogo, come involontaria conseguenza, si verifica nel formaggio una fermentazione più attiva e più rapida, perché restano chiusi nel formaggio certi vapori che altrove si dissiperebbero, mentre qui, impedita la traspirazione, vengono trattenuti. Credo però che, se si chiedesse a costoro il motivo del loro procedere, non saprebbero rispondere, perché seguono la tradizione dei loro progenitori…”
Oggi, il formaggio di fossa è apprezzato da gran parte degli intenditori, la sua zona di produzione si estende da Sogliano al Rubicone e zone limitrofe in provincia di Forlì, parte della provincia di Ravenna in Emilia Romagna, Talamello e Sant’Agata Feltria nell’alta Val Marecchia Pesarese, nelle Marche e centri limitrofi tra cui ricordiamo Cartoceto.
Il procedimento è sempre lo stesso, ormai da secoli, le fosse sono scavate per la maggior parte dei casi all’interno del paese in terreni generalmente di tufo, hanno una forma semisferica, una profondità di circa tre metri un diametro di circa due e un accesso di circa 80 cm dall’alto. Prima dell’uso periodico, vengono areate e all’interno bruciate paglie e sterpi che oltre alla funzione di disinfezione e aromatizzazione delle pareti segnalano la presenza all’interno della fossa di ossigeno, in assenza di quest’elemento oltre a non avvenire la combustione, sarebbe impossibile accedervi per sistemare i formaggi senza accusare malori da asfissia.
Le fosse vengono preparate con canne e paglia lungo le pareti e tavole sui pavimenti per isolare i formaggi e consentire che i grassi che cedono nel periodo di riposo non rovinino le forme più vicine al suolo. I formaggi vengono introdotti generalmente fra la metà e la fine di agosto, vengono chiusi in sacchi di tela, all’esterno vengono segnati con olio di lino e nerofumo il nome del proprietario e il peso delle forme che, in alcuni luoghi viene ancora oggi indicato in libbre ed è necessario per pagare l’affitto della fossa.
Il formaggio usato generalmente è di latte vaccino, ovino, misto, rari i caprini, solitamente di provenienza locale o paesi e zone vicine, a Talamello per esempio convergono quelli del Montefeltro. I caci vengono stipati nelle fosse lasciando meno spazio possibile all’aria, e introducendo a volte, se le tradizioni lo prevedono, erbe aromatiche. Sopra a tutto, vengono poste delle tavole ricoperte con sabbia, richiusa la fossa e ripristinato il pavimento.
Durante questo periodo, la fossa cambia i formaggi, li plasma nuovamente conferendo ad essi nuovi colori, forme, profumi e struttura. Il giorno dell’apertura, nel caso di Sogliano al Rubicone cade il 25 di Novembre, S. Caterina e una grande festa si svolge nei paesi, l’aroma invade le strade, i sacchi estratti vengono riconsegnati ai legittimi proprietari a volte ancora tiepidi, quasi a sottolineare uno sforzo necessario per trasformarsi, assumere queste nuove sembianze, una seconda vita.
Alcuni rivendono le forme il giorno stesso o vengono consegnate a chi le prenota prima dell’infossamento, in altri casi saranno ripulite e conservate gelosamente o commerciate nelle successive settimane.
La varietà di forme e profumi rende unico ogni pezzo e dipende da diversi fattori: il tipo di formaggio usato, la fossa, la posizione del formaggio nella fossa e da ciò che lo circondava ovvero la tipologia degli altri formaggi o delle erbe eventualmente introdotte. Queste caratteristiche, sono inoltre destinate a migliorare con il tempo, quasi come una persona che ha dormito per lungo tempo e al brusco risveglio può presentarsi spettinato, “i fossa” si affinano ulteriormente nei giorni a seguire.
Personalmente ho avuto occasione di assaggiare prodotti interessanti, anche di diverse annate precedenti. Alcune zone o alcuni commercianti, per meglio evidenziare la provenienza del prodotto oltre alla dicitura formaggio di fossa vi ho trovato diversi modi di indicarlo come Fossa di Sant’Agata, Santa Cristina, o fra i più noti “l’Ambra di Talamello” cosi ribattezzato dal poeta contemporaneo Tonino Guerra, il cui volto è oggi maggiormente noto per lo spot televisivo sull’ottimismo del quale leggo questa affermazione a Lui attribuita :
“ Mi è sembrato per analogia che il nome giusto fosse questo, dell’Ambra, perché anche questo formaggio ci arriva su da sotto terra. Va giù che è bianco e torna fuori che è quasi dorato… come l’ambra, che quando riemerge dalle viscere profonde ha un colore giallo luminoso, come se avesse una sua luce interna”.
Per questa scheda ho degustato un prodotto forse fra i meno conosciuti, viene prodotto a Cartoceto dall’affinatore Vittorio Beltrami, che lo ha ribattezzato “Ovillis Ambrosia”.
La forma come accennato, diventa irregolare, la crosta si ricopre di morchia scura, assume colorazioni giallo, nocciola, oro. I profumi sono intensi, come merita un pecorino da latte crudo in purezza, persistenti, di sottobosco, fungo, legno stagionato, arachide, in alcuni campioni, nocciola e cuoio sono sentori che si possono ritrovare.
La crosta è sottilissima, senza unghia, della stessa consistenza della pasta, che si presenta compatta, di colore giallo intenso, con occhiature a capocchia di spillo appena percettibili. I sapori sono intensi, persistenti, ma mai aggressivi considerata la tipologia del formaggio, le sensazioni sono di salato, equilibrate dalla tendenza dolce della grassezza del formaggio, il finale evidenzia una lieve vena piccante, che ricorda quasi una sensazione termica; la percezione della struttura è grassa, pastosa, friabile.
Gli aromi, riconducono alla stalla, al fieno, al sottobosco, sono piacevoli, equilibrati intensi e persistenti, la sensazione finale è un formaggio equilibrato con grande personalità ed eleganza.
Riguardo gli abbinamenti, alcuni anni fa in occasione di una serata ho consigliato di preparare degli gnocchi di zucca con crema di porro e noci sui quali il pecorino di fossa è stato servito a lamelle con il taglia tartufo. Degustandolo da solo, lo alterno a pane Carasau e ad un bicchiere di Valpolicella Ripasso o un altro grande rosso di struttura.
Leggi anche l'articolo di Luigi Bellucci: Il Formaggio di Fossa
Per approfondire la mia passione e le mie conoscenze, nei primi anni ’90 ho seguito il corso e conseguito la qualifica di Assaggiatore di Vino...
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