17 gennaio 1567 - Pranzo per l'anniversario dell’elezione al soglio di Pietro di Papa Pio V per opera di Bartolomeo Scappi. L'occasione, nonostante sia venerdì, giorno di magro, è troppo solenne per non celebrarla anche a tavola. Il Nostro, certo d'accordo col prefetto dei palazzi apostolici e gli altri eminentissimi cointeressati e corresponsabili, dispone affinché l'ordine proceda per due servizi di credenza, seguiti da un servizio di cucina, più un terzo servizio di credenza, con appendice di qualche piatto minore, offerto assieme agli stuzzicadenti profumati e ai mazzolini di fiori.
Ed ecco la lista del primo servizio di credenza, corrispondente, per posizione gastronomica, al nostro antipasto:
Noci d'India e nostrali, confette e asciutte;
Scorze di cedro e di melangole (arance amare) confette e asciutte;
Polpa di cedro confetta e asciutta;
Meloni confetti e asciutti;
Persiche confette e asciutte;
Pignoccati freschi;
Pezzi di pistacchere;
Calicioni di marzapane;
Mostaccioli napoletani (secondo la ricetta moderna dei mostazzoli sardi, dovrebbero essere state di forma oblunga, con miele e mandorle);
Morselletti di marzapane in più fogge.
Si tratta, quindi, di un vero e proprio dessert, composto di portate esclusivamente dolci, e molto dolci: dieci piatti (quindici con le varietà delle diverse frutta, presentate tali e quali o condite) capaci di togliere complete portate "serie" appaiono notevoli e persino vicine a noi un commensale dei nostri giorni.
Anche nel secondo servizio di credenza, benché le portate "serie" appaiono notevoli e persino vicine a noi (c'è persino il caviale, rovinato nel succo d'arancia), gli elementi dolci continuano a farsi avanti: biscotti pisani inzuppati nel vino, cedro tagliato a fette "con zuzzaro sopra", uva fresca conservata (ricordare che siamo in gennaio), fiandoncelli, e cioè paste ripiene di pinoli, e così via.
Diciamo subito che questo menù papale rappresenta una "punta", sia per la ricchezza sia per la intransigenza nel presentare, in quella prima entrata, solo elementi dolci: nei banchetti minori, e lo si vede in particolare nelle descrizioni "provinciali" del Messisbugo, dolce e salato si fiancheggiano.
Citiamo una cena di sole venti persone, offerta a Ferrara, il 28 maggio 1530, dal conte Federico Quaglia al duca di Chartres e all'ambasciatore francese. Una cosuccia "in famiglia"; un servizio di credenza, due di cucina, e un po’ di frutta per finire. L'antipasto comprende il caviale, acciughe, burro fresco, ma anche fragole, fior di latte, marzapane biscottato e focacce con le uova.
Sulla regola "iniziare con i dolci", i cuochi rinascimentali non transigono.
Notiamo
1° - Il banchetto rinascimentale è "architettato" strutturato in modo ben diverso dalla nostra attuale concezione di pranzo. Inoltre regola iniziale: i dolci, su ciò i cuochi rinascimentali non transigono (per noi inaccettabile).
2° - Le basi fondamentali delle pietanze (a noi oggi non pertinenti, non psicologicamente - papillarmente proponibili) uso indiscriminato di zucchero, spezie a sfare, acqua di rose che bagna quasi tutto; grande attenzione alla decorazione (grande uso del melograno)
3° - Le nostre portate sono 4 massimo 6 le "loro" sembrerebbe erano inferiori a 50. Il banchetto rinascimentale era spettacolo - ostentazione di potere e ricchezza, poco importava se la maggior parte delle portate non erano toccate e dunque c'era di che sfamare servi, cocchieri, ecc. che vivevano presso il signore. Così, ancora alla fine del 700 l'uso di far alloggiare la servitù nella casa del padrone. La cucina casalinga era però in contrapposizione assai semplice e limitata; lo dimostrano le ricette del 600 dello Stefani.
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