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La battitura del grano, di Maria Stefania Bardi Tesi

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La battitura del grano

di Maria Stefania Bardi Tesi

Era una gran festa; fra le più importanti dell'anno legata in modo indissolubile a quel mondo contadino, di campagna cui si legano le nostre tipicità; insieme alla vendemmia, alla frangitura e alla lavorazione della carne di maiale. Ognuna era contrassegnata da una cena codificata oralmente con piatti che si susseguivano ogni anno con le stesse modo e che impegnavano le massaie già da un paio di giorni prima dell'evento.

La battitura che avveniva dalla fine di giugno ai primi di luglio, era una gran festa sull'aia, che meglio poteva dirsi "gran festa in cucina". Si perché quel giorno in particolare (ritenuto sicuramente il più importante dell'anno, dal contadino, che vedeva concretizzarsi la fatica dell'intero anno lavorativo con la sicurezza del pane) non si guardava a spese tanto che al grido, a tarda sera, di: TUTTI A TAVOLA !…

Si cominciava: salame, prosciutto, rigatino ben stagionati tagliati a fette massicce come braciole, accompagnati da crostini neri (quelli con i fegatini di pollo e capperi, ecc.) spalmati sul pane a fette, solitamente di quello fatto in casa, e bagnato con il brodo di gallina (ma c'era anche chi lo bagnava con il latte).

In quel brodo che era fatto da qualcuno anche con l'aggiunta di un po’ di lesso, si cuocevano "i capelli d'angelo" (pasta fatta in casa) o la "grandinina", ma si cuoceva soda.
C'era chi per far freddare più velocemente il brodo bollente ci versava un bicchiere di vino rosso. Dopo c'erano, neanche a farlo apposta, i bolliti (quelli del brodo). In tali bolliti facevano la sua gran figura i colli ripieni (di papero, anatra e/o pollo - di chi era il collo aveva poca importanza, importante era il ripieno); si mangiavano con il pinzimonio, i sott'aceto, i ravanelli e le insalate fresche dell'orto.
Il tutto condito con l'olio extravergine d'oliva e l'ottimo aceto (si perché c'è sempre stato l'uso di farlo). Dopo una rinfrescata con l'insalata, arrivavano i maccheroni, rigorosamente fatti in casa, con un sugo ciccoso ma così pieno di cicche che si appiccicavano alle labbra, non si riconosceva più dove finiva il maccherone e cominciava il sugo.

Il cacio, ognuno le metteva a suo piacimento, perché formaggio e grattugia erano lì sulla tavola a servire tutti. Ecco il momento delle carni in umido; coniglio, papero, anatra, l'umido era ed aveva proprio il colore, bello tirato, scuro corposo e sostanzioso al solo vederlo. Il contorno era costituito da patate rifatte, fagioli all'uccelletto con la salvia.
Il tutto seguito da arrosti, tanto per dargli qualcosa di leggerino, e tutti gli animali neanche a dirlo "ruspanti": pollo, tacchino, faraona, coniglio, punteggiato con salvia, rosmarino, un po’ d'aglio e a piacimento qualcuno metteva piccole scorzette di buccia di limone che dopo la doratura era gettata, sale, pepe e … lunga cottura… si arriva così pian piano ai fritti di braciole (impanate con quel pangrattato - grattato in casa con la grattugia del cacio) e conigli e pollo accompagnati da fiori di zucca, pomodori verdi, zucchini e melanzane fritte e dell'insalata.

Dopo tanto sacrificio c'era la frutta per lo più trionfava la susina claudia e la goccia d'oro (al tempo giusto di maturazione). Il vino rosso e bianco e l'immancabile vinsanto ma anche il vermouth che accompagnava i biscottini e le ciambelle fatte in casa. Ultimo il caffè, alcuni lo "macchiavano con l'anice" i più moderni con la sambuca. La cena, quella dell'abbondanza, era finita.

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