Molise, piccola grande terra tutta da scoprire.
“...dalla scogliera sorgevano le maggiori antenne verticali, sostenute alla base da piuoli di tutte le grossezze, che s’intersecavano, s’intralciavano, congiunti tra di loro per mezzo di chiodi enormi, stretti da fili di ferro e funi, rinforzati con mille ingegni contro le ire del mare...la macchina parea vivere d’una vita propria, avere un’aria e un’effigie di corpo animato. Il legno esposto per anni al sole, alla pioggia, alla raffica, mostrava tutte le fibre, metteva fuori tutte le sue asprezze e tutti i suoi nocchi, si sfaldava, si consumava, si faceva candido come una tibia o lucido come l’argento o grigiastro come la selce...L’argano strideva girando per l’impulso delle quattro leve e tutta la macchina tremava e scricchiolava allo sforzo, la vasta rete emergeva a poco a poco su dalla profondità verde con un luccichio aurino...”.
Per una volta voglio introdurre il vino partendo da altre sensazioni, dalle emozioni suscitate dalla terra di Molise. Quello appena trascritto è uno stralcio della descrizione di un trabucco da pesca ne “Il trionfo della morte” di D’Annunzio. L’occasione è fornita da una recente visita che ho avuto l’opportunità di fare nella piccola regione. Mentre davo la caccia a buoni vini e buoni cibi, mi sono imbattuto in altre meraviglie che non posso fare a meno di raccontare, seppur brevemente.
Prima ancora, però, sento l’obbligo di mettere in risalto l’intelligente e tenace lavoro della compagine organizzativa che, assieme al governo regionale, ha voluto porre al centro di ogni discorso di valorizzazione del territorio un nuovo sistema ricettivo, dinamico e interattivo: l’ “albergo diffuso”. Si tratta di un progetto, di un’agile intuizione che, sfruttando il patrimonio abitativo del Molise, costellato di piccoli antichi borghi pittoreschi, ne ha restaurato le dimore per trasformarle in tante confortevoli residenze per turisti; la casa, il terratetto o il villino centrale, strategicamente, funge da reception del borgo rivitalizzato.
Gli ospiti si trovano così ad integrarsi, grazie anche alla loro dimora, posta proprio nel cuore del centro storico, con un percorso d’autore, fatto di chiese, musei e botteghe artigiane. E di qui, dall’albergo diffuso, è più facile andare alla ricerca delle meraviglie molisane. Agnone, famosa in tutto il mondo per le campane; il “Museo dei ferri taglienti”, una delle più complete raccolte di armi ed oggetti da taglio, di ogni epoca e provenienti da ogni Paese, con sede a Frosolone, il borgo famoso per la forgiatura a mano.
E come non visitare Pietracupa, la piccola Betlemme dove, proprio sotto la Chiesa di S. Antonio Abate, c’è uno dei luoghi di culto più suggestivi dell’antichità: la Cripta Rupestre, con vestigia religiose provenienti da Nazareth e con le dolorose testimonianze delle numerose esecuzioni di streghe, allorché qui ebbe sede un Tribunale dell’Inquisizione. E poi ci sono Termoli, con la Cattedrale e il Castello Svevo oltre, ovviamente, ai suggestivi trabucchi e Larino, con l’anfiteatro romano e la Cattedrale dell’Assunta. Per non parlare, per tutti gli amanti della natura incontaminata, delle tante Oasi, delle Riserve Naturali e del Parco Nazionale...
Tra le produzioni del comparto agroalimentare poi, l’olio, i salumi e il tartufo rappresentano delle vere e proprie eccellenze, mentre un posto a parte meritano i pregiati prodotti caseari, tra i quali il caciocavallo di Agnone, il pecorino di Capracotta, la ricotta, la stracciata di Carovilli, la manteca. Quest’ultima, ormai prodotta da pochissimi casari/pastori, riporta alla pratica della transumanza: la manteca non era un formaggio in quanto tale, ma nasceva dalla necessità di proteggere al suo interno il burro per periodi anche assai lunghi, durante gli spostamenti con le greggi lungo i tratturi.
Già, i tratturi...Tu viaggi in macchina, lungo le superstrade molisane e, di tanto in tanto, leggi sugli indicatori stradali, quei cartelli su fondo marrone destinati alle bellezze storiche o paesaggistiche, che sei su un “tratturo” e ti sporgi con lo sguardo, cerchi di capire dove sia mai questo tratturo...Ma in realtà ci sei proprio in mezzo e non puoi accorgertene, perchè queste “piste”, queste antiche vie della lana, i cui margini contengono ampiamente la sede stradale, misurano più di cento metri di larghezza e sono visibili solo dall’alto. Il tratturo più lungo, che ancor oggi va dall’Abruzzo alla Puglia, solcando tutto il Sannio Molisano, anticamente era una larghissima pista d’erba, su cui di stagione in stagione si muovevano interi villaggi, gli animali, gli uomini e tutte le loro cose...
Tintilia e Molise: un binomio inscindibile
Molta parte della comunicazione dell’enogastronomia molisana passa oggi per il Tintilia, vitigno le cui incerte origini si perdono nella notte dei tempi e che con qualche forzatura alcuni vogliono ricondurre al novero degli spagnoli, così come accade per la guarnaccia, per l’alicante o per la catalanesca. Anche nell’etimologia, a ulteriore sostegno di questa tesi, si è soliti accostare la definizione del vitigno all’intensa colorazione, alla particolare forza cromatica degli acini e del vino che ne deriva e, soprattutto, all’aggettivo “tinto”, che in spagnolo sta per “rosso”.
Anche qui ci si dimentica che alla fine del Medio Evo, allorché furono smarrite le tracce delle originarie nomenclature, tutte le uve furono in certo senso riclassificate alla stregua di un’elementare bipartizione: uve greche, quelle più antiche di origini certe, e uve latine, quelle di cui gli storici di Roma non avevano raccontato una diversa provenienza. Tutte le altre uve, quelle le cui origini greche o latine non erano certe o dimostrabili, vennero definite invece in base agli appellativi locali o all’eventuale provenienza territoriale più prossima o, ancor più semplicemente, in funzione del colore delle bacche: bianca di..., biancame, bianchetta di..., biancolella, biancazita, nero di..., rosso di..., rossetto, rossese, negrara, negretto, nerello, neretto, tintore, tintoria, tintilia, verduzzo, verdeca, verdello, ecc.
Accantonati i tentativi di individuarne le origini, gli unici due dati storici sul Tintilia sono rappresentati dall’esclusività della sua autoctonia e dal rischio d’estinzione, ormai sventato. La prima considerazione scaturisce dal raffronto con gli altri vitigni locali: al cospetto con aglianico, trebbiano, greco, falanghina, montepulciano e sangiovese, tutti condivisi con le regioni limitrofe, il tintilia rappresenta l’unico autoctono tutto circoscritto entro i confini del Molise. L’altro fatto storico è legato al passato recente: il tintilia, oltre ad esser poco produttivo a causa dei grappoli spargoli e della particolare faciltà di distacco degli acini dai delicati racimoli, privilegia terreni di collina – tant’è che lo stesso disciplinare prescrive altitudini superiori ai 200 metri – e per lungo tempo i viticoltori, costretti da ragioni di necessità, ne hanno abbandonato progressivamente la coltivazione a tutto vantaggio delle produzioni massive di pianura. Solo la recente presa di coscienza, a partire dagli anni ’80, da parte di uno sparuto manipolo di produttori, ha fatto sì che il Tintilia non scomparisse, ma anzi potesse assurgere al ruolo attuale di vitigno simbolo dell’intera regione.
Così come restano dubbi sulla storia del vitigno, anche per quel che riguarda le caratteristiche organolettiche del vino che ne deriva, negli anni è nato più di un luogo comune, assolutamente da sfatare. A cominciare dalla comunicazione che proprio alcuni fra i produttori ne hanno fatto in passato: vino semplice, garbato, di non grandi pretese, da bere giovane, rosso per matrimoni con cibi semplici...Anche se poi alcuni l’abbinano al tartufo, ed altri lo consigliano anche sulla zuppa di pesce...Non manca poi chi, pur di poter offrire qualche possibile termine di paragone, si affanna a paragonarlo ad altri vini, di tutt’altra provenienza e con impronte organolettiche per nulla simili. Invero, trovo a dir poco azzardato paragonare il Tintilia – o al femminile, come dicono in tanti, la Tintilia – con il sardo Bovale o col Piedirosso campano, giacché l’autoctono molisano presenta marcatori organolettici, olfattivi e gustativi, diversi da qualsiasi altro vino, assolutamente unici nel suo genere.
Un pregio evidente del Tintilia, in tutte le degustazioni sostenute, è la franchezza olfattiva, che si è manifestata con la costante precisione degli aromi, con l’estrema nettezza e pulizia olfattiva, in definitiva con una grande riconoscibilità. Anche per quanto riguarda l’ampiezza dei sentori il comun denominatore è a dir poco sorprendente: la quantità e qualità aromatica del Tintilia è incredibilmente regolare in tutti i vini, sia in quelli giovani da solo acciaio sia in quelli invecchiati e passati in legno. Dal punto di vista gustativo l’equilibrio, la giustezza dei tannini, gli estratti sempre ben dosati sono le doti che mi hanno colpito di più. Sintetizzando al massimo le sensazioni: un vino mai eccessivo, di carattere ma non irruente, di corpo ma mai ingombrante, tenace ed elegante al tempo stesso, duttile compagno di ogni pietanza della buona tavola.
Per quanto concerne la capacità di invecchiamento, non lo liquiderei affatto con la benedizione di “vino beverino” o “da tutto pasto”, ma piuttosto, considerata la versatilità nei tempi di macerazione e la buona adattabilità a lunghi affinamenti, preferibilmente in acciaio e in bottiglia, credo sia più giusto definirlo “vino di medio termine”, che cioè può esprimersi al meglio a qualche anno dalla vendemmia.
Ma, poiché non credo né pretendo di essere in grado di riuscire con la sola forza delle parole a far capire di cosa stiamo parlando, l’invito che mi sento di rivolgere, a chiunque non conosca questo vino e ne sia incuriosito, è quello di cercarne una buona bottiglia in enoteca e, in caso di difficoltà a reperirne, che approfitti pure della buona scusa per visitare la straordinaria terra molisana!
In conclusione voglio riportare qualche traccia delle degustazioni di vini molisani, e non solo della fantastica tintilia.
- Tintilia del Molise DOC 2006 Azienda Angelo D’Uva – dal colore rubino luminoso e leggermente scarico, si presenta all’olfatto con aromi di fragola, ribes e altri frutti di bosco; sentori di corteccia di liquirizia ma, pur non avendo fatto legno, anche qualche tostatura. Alla bocca è fresco, la trama è fitta ma non spessa. Bella sensazione di mineralità; buon finale, lungo e caldo, in cui tornano piacevoli sensazioni di frutta fresca e liquorizia.
- Tintilia del Molise DOC 2007 Azienda Angelo D’Uva – l’annata più giovane offre un esempio delle potenzialità del vitigno. La bocca è più acida e sapida, ma le aspettative sono tante per questo vino che è in ogni caso oggi è pronto, in prospettiva anche migliore del 2006.
- Tintilia del Molise DOC 2006 Catabbo – naso classico con amarene, frutti di bosco e, in più, con piacevoli sentori vegetali, humus e rabarbaro. Alla bocca il gusto è pieno e armonico, caratterizzato da grande dinamicità e sensazioni di completezza. Il tannino è discreto e fa capolino in un finale caldo e persistente.
- Sator - Tintilia del Molise DOC 2006, Azienda Cianfagna - dal bel colore rubino luminoso, al naso presenta sentori di amarene e frutta matura, sottobosco, spezie e grafite; non manca una piacevole sfmatura balsamica. Alla bocca è fresco e compatto, ha buona tensione e tannini ben levigati. Buon finale, caldo e persistente.
- Macchiarossa -Tintilia del Molise DOC 2007 Cantine Cipressi – naso di grande ampiezza, in cui ai sentori di amarene e frutti di bosco si aggiungono nitidi i riconoscimenti di corteccia di quercia, china e piccole spezie. Le sensazioni prevalenti alla degustazione sono il grande dinamismo e la levigatezza di tannini e di ogni altra asperità; di buona acidità, con retrogusto persistente di frutti di bosco.
- Tintilia del Molise DOC 2006 Di Majo Norante – dal colore rosso rubino brillante, questo vino esprime il paradigma delle sensazioni organolettiche della Tintilia, con aromi di frutta di stagione, felci e sottobosco, spezie e radici di liquirizia. Alla bocca presenta un tessuto fine e compatto, tannini gradevolmente leggeri e morbidi, buona acidità e grande piacevolezza di beva e retrogusto.
Non solo Tintilia
- Gavio IGT Terre degli Osci 2005, Azienda Angelo D’Uva – Si tratta di un uvaggio di Montepulciano e Cabernet (20%), dal prolungato affinamento esclusivamente in acciaio, che svolge oltre 14,5 gradi alcolici. Al naso è ampio, con sentori di ciliegia nera e arancia sanguinella. Bel movimento ala bocca, gira che è un piacere, è capace di insinuarsi davvero dappertutto. Ancora buona l’acidità, il tannino è ancora fresco e scalpitante, leggermente ruvido ma non verde. Finale equilibrato, con ritorno di ciliegia matura. Beva piacevolissima.
- Console Vibio Montepulciano del Molise Riserva 2004, Azienda Angelo D’Uva – Colore rubino carico, impenetrabile. Il bouquet è assai ampio, con riconoscimenti di primari complessi, more selvatiche e prugne mature, viola mammola, cacao, pepe nero e spezie a volontà; completano il quadro olfattivo sentori di catrame caldo, stallatico e note viscerali di carne cruda, un carpaccio di carni scure...La bocca è di grande spessore e buon movimento, i tannini sono ancora croccanti, a tratti scoppiettanti. Nel finale, lunghissimo e giustamente caldo, tornano le sensazioni di spezie e cacao. Armonico ed equilibrato, davvero imponente.
- Keres IGT Terre degli Osci, Azienda Angelo D’Uva – forse questo trebbiano, con un ritocco del 10% di malvasia, è il prodotto più riuscito di Angelo, il cui cognome sembra proprio una predestinazione a fare il vignaiolo...Il colore paglierino intenso, luminoso e brillante, fa da preludio alla grande schiettezza olfattiva: frutti d’albero maturi, qualche sfumatura floreale, grano biondo. La bocca è fresca e carnosa, notevoli lo spessore, il dinamismo e la tensione gustativa. La sensazione di equilibrio e di armonia delle componenti accompagna sino al fin di beva, caldo e fruttato.
- Greco IGT Terre degli Osci 2008, Azienda Borgo di Colloredo – Naso tipico dell’aminea gemina, con spunti agrumati, fieno maturo e frutta fresca; alla bocca, che rivela caratteristiche non comuni di grassezza e compattezza, spiccano acidità e sapidità. Il finale è particolarmente lungo, con buona sensazione pseudocalorica.
- Falanghina del Molise DOC 2007, Azienda Borgo di Colloredo – Profumi freschi, di ginestra ed erba falciata, insolitamente accompagnati ad aromi caldi e morbidi, come orzo, burro e vaniglia. La sensazione di pienezza alla bocca è eccezionale, struttura e dinamismo ottimali. L’acidità è contenuta, ma l’impatto minerale è notevole, riportando alla perfezione in parità l’equilibrio delle componenti. Il finale è persistente e gustoso.
- Gironia Biferno DOC 2004, Azienda Borgo di Colloredo - Uve Montepulciano e Aglianico in uvaggio. Dal colore rubino intenso, unghia e sfumature granate, questo vino si presenta con intensità e persistenza olfattive non comuni. I riconoscimenti vanno dalla prugna secca alla carruba, dal legno tostato al mosto di mele, dalla liquirizia alla pietra focaia. Il grande estratto, la carnosità del frutto e la compattezza dei tannini caratterizzano la beva; la spalla acida sorregge la beva fino al finale lunghissimo e caldo, in cui torna piacevolmente il gusto di frutta in confettura. E’ facilmente prevedibile un futuro lunghissimo per questo splendido vino.
- Venas Terre degli Osci IGT Rosato 2008, Cantine Cipressi – La conferma che il Montepulciano è uno dei vitigni che meglio si prestano alla vinificazione in rosato. La nota fumé al naso lo fa somigliare al vulcanico Piedirosso ma i sentori marcati di frutta di bosco e di marasca ci riportano immediatamente al Montepulciano. Il gusto morbido, il buon estratto e la spiccata sapidità, quest’ultima a compensazione di un ingresso lievemente dolce, rendono questo rosato particolarmente gradevole. Amplissimo il possibile ventaglio degli abbinamenti.
Napoletano, 48 anni nel 2007, studi scientifici prima, di giurisprudenza poi. Il lavoro, ormai quasi trentennale, di funzionario amministrativo e...
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