Dici vino bianco e pensi, quasi in automatico, alla vinificazione senza macerazione, in acciaio, alla maturazione in bottiglia, all'assenza di tannini. Sono tutte operazioni, queste, che riempiono di significato la schiacciante predilezione del consumatore, esperto o non, per il vino rosso, per quel vino che per antonomasia "ha qualcosa in più".
Poi ti capita di parlare con il contadino, con quello che fa ancora il suo ottimo - secondo lui - vino, il classico vinaccio, secondo noi. E scopri che, in fin dei conti, la sua idea del vino non è così sbagliata: è solo che non sa e si ostina a non voler sapere che con i pochi mezzi e le poche conoscenze a disposizione non potrà mai realizzare un vino pulito, costante o non cangiante col tempo negli aromi, nel colore, nel gusto, ecc. E scopri anche quanto sia vero un altro detto popolare: "ppe' fa o masto ce vonno e fierri" (per fare il maestro ci vogliono gli arnesi buoni, le attrezzature adeguate).
Mi sovvengono queste riflessioni all'indomani di una fortunata serie di degustazioni di vini bianchi della Campania, bianchi "nuovi" in certo senso perchè sfuggono ai canoni dell'ordinario vinificare d'oggi, "vecchi" al tempo stesso perchè utilizzano proprio alcune "tecniche del contadino".
Sono tutti casi, quelli che illustrerò qui di seguito, che dimostrano come la moderna enologia coniugata ad antiche metodologie, può condurre a risultati di qualità superba, soprattutto in termini di finezza e di eleganza, che possono far definire questi nuovi vini "fuori dal comune".
Il primo caso, che mi sento di anteporre a qualsiasi altro vino, è quello dell'Antece di De Conciliis, un Fiano IGT Paestum, bianco di cui sono innamorato e per il quale ho sopportato simpatiche dispute con alcuni colleghi degustatori e giornalisti di settore, che sostengono di non ritrovare in questo caso il territorio nel bicchiere. Per contro, rispondo io, non esiste nessun vino che sappia, con la stessa efficacia e immediatezza, raccontare al meglio questa parte del Cilento e tutto ciò - aggiungo - assolutamente a prescindere dai tanti premi vinti, grappoletti bicchieri e bottigline...
E' fortissima invece l'identità territoriale dell'Antece, così uguale nel bicchiere ai profumi della terra da cui nasce, sembra quasi sia proprio questo fiano, d'improvviso meravigliosamente vivificato, a chiedere di essere fatto così...Antece vuol dire antico, vuol dire fare il vino come lo facevano una volta, in botte - anzi nelle botti, ovviamente ripulite, in cui ha maturato l'altro grande vino rosso, il Naima - e lasciato a fermentare e affinare sulle fecce. Niente filtrazione, niente stabilizzazione. Il risultato è un vino carico di colore, tendente al dorato, dai profumi intensissimi e affascinanti, non comuni, che vanno dal fico bianco alla corteccia d'albero, dalla paglia essiccata al sole alla vaniglia, al sandalo, alla resina di macchia mediterranea; alla bocca è caldo, pieno e complesso, invade il palato con la sua struttura possente. Ha purtuttavia grande equilibrio e non mancano note fresche e sapide, di bella mineralità. Il retrogusto è quanto mai persistente, equamente distinto tra il gusto di frutta fresca, note vegetali di foglia d'olivo e mandorle giovani. Nonostante lo spessore e le spiccate sensazioni pseudocaloriche, la buona freschezza consente di accompagnarlo a meraviglia alla succulenta cucina cilentana, con ampi margini - data l'imponenza - tra primi piatti complessi, zuppa di pesce, carni e formaggi anche semistagionati. Personalmente lo bevo anche a fine pasto o addirittura fuori pasto, alla faccia di tutte le regole...
Un altro esempio evidente di ritorno al passato è quello dello Strione, una falanghina prodotta dall'azienda Cantina degli Astroni, prodotto da un vigneto posto sull'orlo del cratere omonimo nei Campi Flegrei, proprio a ridosso della cinta urbana di Napoli. Il nome attribuito a questa falanghina per assonanza ricorda appunto quello del cratere, ma anche suggestivamente la parola stregone che, in un'area vulcanica ricca di leggende e credenze popolari, è riconducibile alle pratiche dell'occulto ma anche al mito della Sibilla Cumana. Come ci ha raccontato l'enologo aziendale, Gerardo Vernazzaro, la scelta è stata quella di sperimentare gradualmente la macerazione delle bucce, cominciando, anni fa, con pochi giorni di macerazione sino ad arrivare ad una macerazione protratta per tutto il periodo di fermentazione: e se questo non è un ritorno al passato...In più, per dare una nota di eleganza e di morbidezza a questa falanghina, si è scelto di passarne una porzione, il 20 % circa, in tonneau di secondo passaggio, per poi riunirla alla massa prima dell'imbottigliamento. Il periodo di affinamento è di circa nove mesi. Il risultato di questo lungo lavoro di ricerca è un vino di grande equilibrio, dalla notevole complessità aromatica, in cui sorprendentemente prevale netto il legame col frutto compiuto: sentori di uva zuccherina, di quella da servire in tavola al pasto, albicocca matura, ananas. Ma vengono fuori anche un elegante bouquet floreale di fiori di campo e margherite, calde note balsamiche, vaniglia e chiodi di garofano. Alla bocca, avendo potuto provare diversi campioni, le caratteristiche delle bottiglie presentano qualche lieve differenza tra loro, cosa alquanto consueta nell'affinamento di vini bianchi che adoperano il legno e fanno macerazione sulle bucce. Le note comuni raccontano di un frutto pieno e carnoso, grande sapidità, di un insolito piacevole tannino, leggermente astringente ma adeguato ad un vino bianco in cui le bucce e il legno hanno fatto la loro parte. Lunghissimo il finale, che riporta alla bocca il gusto della nocciola tostata e fiori di camomilla.
Quanto ad invecchiamento, batte ogni rivale la falanghina dell'azienda Fontanavecchia di Torrecuso, un vino imbottigliato e commercializzato - in pochissimi esemplari - solo quest'anno anche se il suo nome la dice lunga sull'età: 2001. Già, è proprio questo il semplice nome scelto per questa vino del Taburno, proprio a voler sottolineare un vero e proprio miracolo, che non poteva non essere realizzato dal vitigno autoctono a bacca bianca più conosciuto della Campania: la falanghina che proprio qui, nel Sannio, ha rappresentato il punto di forza per la rinascita - ma forse sarebbe più giusto dire per il vero inizio - di una viticoltura di qualità. Qui, all'inizio degli anni '80 l'enologo Angelo Pizzi, al ritorno dall'Inghilterra dove aveva trattato esclusivamente i bianchi internazionali, si è imbattuto in questo straordinario e vigoroso vitigno autoctono, riscoperto di recente dall'azienda Mustilli.
Da subito Pizzi ha creduto nelle potenzialità e nelle capacità di invecchiamento della falanghina, perchè si presentava come il bianco dotato di maggiore acidità e corredato peraltro da terpeni particolarmente aromatici, con tutte le carte in regola cioè per reggere al peso del tempo. "Se si fa un vino destinato ad invecchiare, a cosa importante - come ricorda lo stesso Pizzi - è pensare il vitigno per l'invecchiamento, progettarlo per quello scopo". Di qui una vendemmia particolare, atta ad ottimizzare il corredo acido dell'uva, un po' di tannino "ellagico" ottenuto da un passaggio di 7/8 mesi in legno, assenza di filtrazione e stabilizzazione e infine un lunghissimo affinamento in bottiglia. Gli effetti, in termini numerici, parlano chiaro: con una solforosa totale che non supera 9,5 mg/l, l'acidità totale si attesta su un valore di 6,3, l'alcol si spinge fino ai 14,5°.
Questi dati ci anticipano un vino quanto mai vivo e vitale all'esame organolettico, con diverse sensazioni molto fini ed eleganti. Si tratta di un prodotto assolutamente fuori dal comune, a cominciare dal colore, oro antico con riflessi lucenti. E poi al naso, dove veniamo colti da una piacevolissima sensazione di "calore olfattivo": semmai un profumo può essere caldo, è questo il caso... Circa gli aromi e i riconoscimenti si possono sprecare gli aggettivi; elegante, penetrante, intenso, lunghissimo, ricco di mille sfumature floreali, fiori di camomilla, mela cotogna, orzo e cannella. Un leggero pizzicore ricorda spezie orientali, caldi unguenti balsamici, incenso profumato e chiodi di garofano in infusione. Alla bocca in premessa di gusto una vena dolce e accattivante conferma la nota di miele preannunciata all'olfatto. L'acidità è davvero sorprendente. Per nulla stanco, vivo ed emozionale, questo vino è rotondo, quasi carezzevole - ci sono evidenti spinte di ossidazione nobile - e ad ogni sorso , ad ogni nuovo approccio rivela nuove meraviglie...
Si presenta ancora più complesso nella lavorazione, in certo senso, un altro Fiano del Cilento, il Pietraincatenata dell'azienda vinicola Luigi Maffini: già la vendemmia si compone di due momenti distinti, il primo dedicato alla raccolta delle uve nel momento tradizionale di maturazione, verso metà settembre, l'altro dopo due/tre settimane di surmaturazione. Quindi le masse, riunificate, vengono trasferite in barriques nuove, in cui avviene la fermentazione a temperatura controllata. Anche la maturazione è affidata ai piccoli legni, in cui il Fiano resta per circa 8 mesi. Al naso questo vino, dal colore dorato luminoso, offre un ventaglio quanto mai ampio di aromi, tutti molto eleganti: fichi maturi e datteri, fiori gialli di campo, frutta secca, miele agli agrumi. Non manca una inconsueta nota vegetale di peperone verde e mentuccia selvatica. Alla degustazione è caldo e possente, la trama fitta e compatta non presenta alcun punto di cedimento; l'equilibrio, perfetto, si colloca molto in alto grazie all'acidità spiccata e ad una piacevolissima morbidezza. Il tutto è condito anche in questo caso da una gradevole "sensazione tannica da bianco", absit iniuria verbis...Nel finale, lunghissimo, tornano le gustose note di frutta candita e mandorla tostata.
Detto di questi quattro "bianchi all'antica", voglio raccontare brevemente ancora di qualche altro prodotto che a mio parere rientra nell'eccellenza enologica della Campania, ma non prima di fare un'ultima considerazione. E' evidente, infatti, che il futuro enologico della Campania sta nella dovizia offerta dalla sua raccolta ampelografica, nella ricchezza di un patrimonio di vitigni autoctoni senza uguali. Ma è ancor più evidente, circa i vitigni bianchi, che non solo i più fortunati - o insigniti - Greco di Tufo e Fiano di Avellino si prestano a lunghe maturazioni, ma anche la Falanghina, sia quella del Sannio sia quella dei Campi Flegrei, e anche il Fiano del Cilento. E chissà, allora, che presto non avremo il piacere di imbatterci in altri bianchi di lunga gittata, magari il futuro sta proprio in un Biancolella, un Forastera o una Coda di Volpe invecchiati...
Tra i vini bianchi che subiscono una lavorazione all'antica mi piace ancora ricordare la Falanghina Cesco dell'Eremo di Cantina del Taburno: si tratta di una vendemmia tardiva, seguita da macerazione prefermentativa e successiva fermentazione in barriques. Anche l'affinamento avviene in barriques di rovere di primo passaggio, per 4/5 mesi. All'aspetto visivo questo vino è giallo oro, con molteplici riflessi luminosi. Al naso, inizialmente scontroso, dopo che gli aromi si sono dischiusi si incontra un bouquet assai complesso, prima fruttato, poi floreale, elegante e speziato. Chiodi di garofano, finocchietto selvatico, vaniglia e frutta secca completano il ventaglio dei profumi. Alla bocca è caldo intenso e sapido, di grande persistenza. Il retrogusto di mandorla tostata lievemente amara accompagna lungamente la beva.
Anche Tresinus, dell'azienda agricola San Giovanni è un Fiano del Cilento, ma stavolta si tratta di un "vino del mare", come giustamente è stato definito d alcuni: i vigneti si trovano proprio a pochi metri di altezza a strapiombo sul mare di Castellabate, vicino agli scogli di Punta Tresino. Il calore del sole e la brezza arricchiscono questo Fiano di zucchero, profumi e sali minerali; il vino che deriva da questo vigneto ha un gran corpo, è intenso e persistente, è sapido, caldo e morbido, addirittura avvolgente.
Infine le vendemmie tardive, e qui voglio ancora ricordare alcune perle enologiche: la Falanghina Vendemmia Tardiva dell'azienda Telaro, a Galluccio in provincia di Caserta, la Falanghina Flora Gran Momento dell'azienda I Pentri di Guardia Sanframondi (BN), e la Falanghina Alenta dell'azienda Nifo Sarrapochiello, con sede a Ponte (BN). Pur essendo in buona parte diversi - per stile, impostazione e terroir - questi vini sono uniti da un minimo comun - denominatore di rilievo: si tratta di vini emozionali, capaci di trasmettere la passione e l'amore di chi li ha voluti; sono vini che raccontano il territorio, che posseggono la semantica delle proprie radici, che narrano la civiltà contadina da cui traggono origine.
Infine, nell'ideale ping-pong tra il Fiano del Cilento, e sempre a proposito di vendemmia tardiva da uve Falanghina, voglio inserirne una, molto particolare, ma proveniente stavolta dai Campi Flegrei: Vigna del Pino dell'Azienda Agricola Agnanum di Raffaele Moccia. Si tratta di un vino prodotto in numero limitato, proveniente da una vigna posta ai margini del cratere di Agnano, alle porte di Napoli. Qui il buon Raffaele, allevatore di conigli da sempre innamorato delle sue vigne come un papà delle proprie creature, seleziona e vendemmia le uve surmature di falanghina flegrea.
Vigna del Pino è un vino a dir poco straordinario. Il 2003 provato lo scorso anno, cioè nel 2007, ha un impatto olfattivo affascinante, dal bicchiere fuoriescono imperiose note floreali, frutta esotica e anice stellato; questa falanghina sembra una malvasia...La bocca non delude, come spesso accade, quanto avvertito al naso: il vino è pregno, fresco e sapido, la spinta delle note acide torna anche quando, dopo un po', al palato subentra con eleganza la nota morbida e calda. Il finale è ricco di sentori maturi, di frutta secca e vaniglia.
Peccato che non tutti gli anni possa essere prodotto questo cru: personalmente sono ancora in attesa di conoscere, dopo l'eccezionale 2003, quale possa essere il risultato della vendemmia 2005, avendo deciso Moccia di saltare la vendemmia 2004. Anzi, adesso che ci penso, quasi quasi gli faccio un colpo di telefono, oramai credo che, rigorosamente dopo il Vinitaly (badate la serietà aziendale), "l'uomo del monte", il nostro amico enologo Maurizio De Simone gli abbia finalmente consentito di imbottigliare...
Napoletano, 48 anni nel 2007, studi scientifici prima, di giurisprudenza poi. Il lavoro, ormai quasi trentennale, di funzionario amministrativo e...
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