E' sceso il sipario anche su questa 39^ edizione del Vinitaly e, come ogni anno, per ciascuno dei partecipanti, organizzatori, allestitori, produttori, operatori di ogni genere e giornalisti è tutto un susseguirsi di sensazioni diverse, tutte forti e intense. Prevalgono, nella maggior parte di coloro che hanno preso parte alla manifestazione, il senso della stanchezza fisica dovuta all'inevitabile tour de force di questi giorni, insieme ad una sorta di sottile tristezza, di subitanea nostalgia, difficilmente spiegabile, per qualcosa di veramente unico, che avrà a ripetersi soltanto tra un anno ancora.
Oggi è il momento dei bilanci, delle cifre, dei numeri realizzati dai 4200 espositori, è il giorno dei resoconti, degli immancabili record, dei trand positivi, delle mode e dei gusti particolari; oggi tutti parlano della minaccia cinese, delle crescenti importazioni da Napa Valley, dell'intrusione australiana, della conferma e della tenuta dei nostri "chateau - supertuscan".
Con tanti che si occuperanno di snocciolare numeri e tabelle di raffronto, di interpretare i fenomeni del mercato, consentitemi, quindi, di astenermi dal farlo anch'io. Non parlerò quindi di questo, giacché ci saranno tanti che vi provvederanno compiutamente, né delle mie degustazioni che, numerose quanto quelle delle maggior parte dei visitatori, richiederebbero tempo e spazi più opportuni. C'è invece un aspetto della manifestazione sul quale vorrei si prestasse un po' d'attenzione. Tutte le mie considerazioni, anche le provocazioni che vi troverete contenute, ruotano attorno ad una domanda: qual è oggi l'identità del Vinitaly?
Partendo infatti dalla constatazione che gli organizzatori ancora oggi tengono a definirlo come un evento destinato agli operatori, c'è da chiedersi perché almeno il cinquanta per cento dei visitatori non lo sia affatto, rappresentando in buona sostanza il consueto stuolo di curiosi che affolla ogni manifestazione di settore e che, contribuendo alla legge dei numeri, fa la felicità degli organizzatori.
Intendiamoci: non ho assolutamente nulla contro quei pittoreschi signori in tuta (sic!) o quelle famigliole con tanto di prole al seguito che riempiono gli stand della fiera la domenica mattina! Anzi, salvo a capire poi le espressioni dipinte sul volto di quegli operatori che, nel servire la degustazione a tali ospiti, ostentano, con malcelato disappunto, sorrisi affettati ed artefatti. Identico è il sospetto dipinto sul volto di quei produttori che hanno portato al Vinitaly piccole chicche, reliquie dai numeri irrisori (ho scoperto due produttori francesi ed uno siciliano, dell'isola di Salina, che producono in tutto 1500 bottiglie di una certa linea di nicchia e che comunque hanno portato in degustazione a Verona 50/60 pezzi), affranti dall'assenza di indicazioni, al cospetto dell'amletico dubbio se dar fondo alle proprie preziose riserve ovvero riservarsi gli ultimi pezzi utilizzando miracolose menzogne sull'esaurimento delle scorte.
L'operatore ha il diritto di sapere chi è al suo cospetto, è vero, ma se a monte esistessero filtri reali non assisteremmo neppure alle penose richieste di qualificazione, al fatidico "lei è? rappresenta? mi dà il suo biglietto da visita?"; e i produttori non si troverebbero, ancor prima del lunedì finale, a dover buttare l'inutile montagna di bigliettini accumulata per arginare l'assalto dei degustatori.
Si consideri, a questo punto, che solo una minima parte degli scambi avviene tra le mura del Vinitaly, nei salottini riservati più nascosti all'interno degli stand; si consideri, ancora, che i buyers non acquistano certo sulla base dei campioni unici, magari di botte, portati al Vinitaly, proprio quei campioni che tanto piacciono invece al consumatore occasionale…
Allora, se il Vinitaly non ha più (e forse non ha mai avuto) il significato di manifestazione per addetti ai lavori, perché non ufficializzarne una formula nuova, destinata a tutti i consumatori, ampliandone gli aspetti socializzanti e festaioli, ed istituendo magari dei corsi non elitari di educazione al consumo del vino? A questo punto, probabilmente, il Vinitaly potrebbe assolvere anche a una più nobile funzione, quella di recuperare in parte lo scollamento, lo spazio che purtroppo di recente è vieppiù amplificato, tra coloro che conoscono il buon bere e quelli che si lasciano andare al vino in cartone. Esasperando la provocazione: avviciniamo le schiere dei consumatori, facciamo conoscere gli intenditori del Mouton Rotschild agli acquirenti del brick salvafreschezza da cinque litri!
Napoletano, 48 anni nel 2007, studi scientifici prima, di giurisprudenza poi. Il lavoro, ormai quasi trentennale, di funzionario amministrativo e...
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