L’origine dei formaggi noti col nome di “caciocavallo” risale all’epoca delle invasioni barbariche quando anche in Italia si diffuse la caseificazione del latte bovino. I caci dei greci e romani erano invece ottenuti col latte di pecora o capra, in quanto l’allevamento bovino era destinato agli animali idonei al lavoro nei campi e alla produzione di carne. L’impiego del latte bovino destinato alla produzione casearia concide con l’insediamento in Italia del popolo dei Longobardi, in quanto avevano al seguito numerose mandrie di bovini di razza podolica, cosiddetta poiché la Podolia e Pannonia erano le regioni originarie. Le vacche di tale razza, buone lattifere, progressivamente sostituirono nella pianura padana pecore e capre fino oltre l’anno mille dovuto all’abbondanza di foraggio delle marcite che costeggiavano il Po, per cui fu possibile disporre di latte in quantità tale da produrre formaggi di grandi dimensioni, progenitori degli attuali parmigiano reggiano e grana padana. Anche nelle valli alpine si produssero formaggi a media stagionatura simili tra loro, in quanto tutti derivavano dell’esperienza della “monticazione” estiva, ma nettamente caratterizzati sensorialmente dall’influenza dell’ambiente in cui gli animali pascolavano.
E’ opportuno ricordare che i Longobardi si spinsero anche nell’Italia centro-meridionale dove fondarono importanti insediamenti cittadini e rurali. Con tali migrazioni certamente giunsero anche vacche di razza podolica allevate sui pascoli montani, ove sono presenti tuttoggi avvalendosi dell’antica pratica della transumanza. Il latte fu sufficiente per ottenere cagliate di idonee dimensioni, nelle quali una rapida acidificazione della pasta fu presupposto per la “filatura” e la “formatura” in formaggi analoghi agli attuali caciocavalli. Anche questi formaggi prodotti lungo la dorsale appenninica che dall’Abruzzo arriva alla Calabria, possono essere considerati d’alpeggio in funzione della diversità climatico-ambientale delle varie zone produttive costituire la base per specifiche DOP- Denominazione d’Origine Protetta.
Tale possibilità esiste per il caciocavallo prodotto nel Molise, anche se prima è necessario considerare che alla base di un prodotto a denominazione d’origine vi è sempre una lunga storia che ne descrive la tradizionalità. Tale requisito non significa solamente che un alimento è conosciuto e utilizzato da molto tempo, ma che ha conservato anche nelle più recenti interpretazioni elementi distintivi, compositivi e culturali che sono in pratica i fattori determinanti delle caratteristiche sensoriali e d’uso. Inoltre, quando la tradizionalità si accompagna all’unicità in un contesto produttivo, il prodotto tradizionale stesso può essere considerato anche tipico. L’unicità può dipendere dall’ambiente di produzione, come espressamente richiesto dalle normative per ottenere il riconoscimento DOP. L’unicità di un prodotto tipico è avvalorata da intrinsechi processi bio-chimici non attuabili in altri contesti che trasformano la materia prima nel prodotto desiderato garantendone l’acquisizione e/o la conservazione delle specifiche caratteristiche sensoriali e d’uso.
Nel caso dei formaggi, tali processi sono quelli che durante la stagionatura regolano la trasformazione della cagliata inserita nel formaggio stesso. La presenza nel territorio di un altro caciocavallo DOP, nel cui ambito potrebbero essere aggregati tutti i caciocavalli delle diverse zone che costituiscono il comprensoprio del CACIOCAVALLO SILANO DOP che ha configurazione a macchia di leopardo con l’esclusione di ampie zone di produzione. La tipologia “silano DOP” si può produrre nei territori regionali di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia ed anche in alcune ristrette aree del Molise stesso. In tali zone escluse, è comprovata l’esistenza di diversi formaggi della radicata tradizione del caciocavallo che chiaramente non rientrano nel disciplinare DOP per differenze nelle tecnologie produttive, ma che potrebbero essere potenziali basi per un altro diverso disciplinare ben distinto da quello già attuato nelle zone riconosciute.
L’esistenza di numerose tipologie di caciocavalli della tradizione non aggregati a quello silano trovano riscontro nelle elevate oscillazioni nel quantitativo prodotto ogni anno per quest’ultimo formaggio DOP.
I rilevamenti inerenti alla produzione pongono in risalto variazioni molto diversificate da un anno all’altro. Opinione comune che circola nell’ambiente produttivo di tale formaggio silano DOP, è che tale evidente variazione pare sia dovuta all’interesse periodicamente maggiore o minore a marchiare il prodotto in funzione dell’andamento del mercato o alle ricorrenti difficoltà per i produttori a superare i tanti e severi controlli obbligatori per ottenere la conformità per i formaggi con denominazione DOP da parte di un ente terzo. Questa considerazione introduce la valutazione di una produzione tradizionale in considerazione delle differenze che la distinguono dal disciplinare del caciocavallo silano nei punti cogenti e qualificativi.
Nel disciplinare di produzione del silano DOP nell’art. 3 emerge chiaramente l’intenzione di adottare una successione di passaggi dalla produzione del latte alla stagionatura, atti a coprire anche prodotti con passaggi tecnologici non identici, ma comunque rispettosi di alcuni parametri fondamentali. Vi è la possibilità di utilizzare latte crudo o termizzato sia con l’obbligo di indicazione in etichetta di questa o quella operazione, proveniente da più munte fino a un massimo di quattro eseguite nei due giorni precedenti la caseificazione. Sono precisate invece in quanto cogenti, la temperatura di caseificazione, i tipi di caglio da utilizzare se di vitello o capretto ma sempre in pasta, e il ricorso nel caso a siero innesto naturale proveniente dallo stesso caseificio.
Non vengono descritte nei particolari le operazioni di rottura, spinatura e cottura della cagliata, ma è sottolineato che la sua maturazione avvenga sotto siero in caldaia con una energica fermentazione lattica da prolungarsi fino a quando la pasta sia diventata “filabile”. Ulteriormente si precisa anche che i formaggi raffreddati in acqua fredda vanno posti in salamoia per un periodo variabile in proporzione del peso che varia per il caciocavallo silano da 1 a 2,5 kg ma comunque mai inferiore a sei ore. La durata minima di stagionatura è di trenta giorni e tale scadenza limita esclusivamente l’impiego del solo latte conforme e pastorizzato.
Da indagini condotte dal CNR in quattro aziende produttrici di caciocavallo del Molise, emergono alcuni punti salienti.
- a - Impiego esclusivamente di latte crudo intero proveniente da due mungiture: quello serale refrigerato a 4 °C miscelato a quello caldo del mattino;
- b - Aggiunta in caldaia di siero innesto naturale e impiego di caglio di vitello sia liquido che in polvere;
- c - Precisi passaggi nelle operazioni di caldaia dopo la coagulazione a 37-38 °C con tempo di presa da 20 a 40 minuti;
- d - Prima rottura a chicco di mais con estrazione del siero in eccesso;
- e - Seconda rottura a chicco di riso e copertura della massa caseosa col siero prima estratto previalmente riscaldato a 90 °C, sosta sotto siero della cagliata fino a filabilità che avviene dopo circa due ore grazie alla rapida acidificazione;
- f - Salatura in salamoia per per 36-48 ore per formaggi da 1-2 kg stagionati in funzione delle caratteristiche sensoriali da raggiungere per un periodo variabile da 3 a 12 mesi.
Nella scheda compilata a seguito di queste verifiche, è anche precisato che il caciocavallo del Molise è noto soprattutto con le denominazioni “DI AGNONE” e “DI VASTOGIRARDI”, per cui a seguito di quanto vi è un decreto che riconosce come tipica denominazione “CACIOCAVALLO”. Inoltre, la protezione del nome attribuita dalla normativa comunitaria riguarda solo la specifica “SILANO” e non il nome “CACIOCAVALLO”. Anche un semplice esame delle tecnologie permette di individuare alcune sostanziali differenze tra il prodotto silano DOP e quello molisano. La differenza significativa si identifica nelle due tecnologie utilizzate ai fini della conservazione della tipicità data dai processi bio-chimici di trasformazione della cagliata durante la maturazione che è rappresentata dal tipo di caglio impiegato. Nelle formulazioni liquide e in polvere del caglio di vitello non sono presenti enzimi lipolitici che nei preparati coagulanti in pasta apportano enzimi utili a idrolizzare i lipidi determinandone il gusto caratteristico delle paste filanti piccanti. I fattori biologici che influiscono sui processi biochimici della maturazione è da attribuire all’uso esclusivo di latte crudo e agli innesti tratti dallo stesso, come specificato per il caciocavallo molisano a garanzia dell’importanza della flora microbica autoctona nella sua completezza.
Manca l’apporto di un esame sensoriale per definire i profili del gusto, aroma e struttura dei due formaggi e l’incidenza delle eventuali variazioni dovute alla zona di provenienza per poter determinare in tale modo i valori dei specifici parametri distintivi. Al momento si potrebbe prendere in esame la possibilità di un riconoscimento della specifica “DEL MOLISE” sotto l’egida del prodotto silano DOP oggi esistente. Esempi di tali assegnazioni di denominazioni sono riconducibili al marchio “TRENTIGRANA” attribuito al grana padano prodotto in Trentino nell’ambito della DOP “GRANA PADANO”; così pure la specifica “DI MONTAGNA” per il bitto prodotto durante la montificazione nei tradizionali “calècc” all’aperto con il latte di ogni mungitura.
Sono soluzioni che però non sempre garantiscono la qualità e la specificità sensoriale del prodotto. Sono aspetti da valutare attentamente prima di affrontare l’avventura della DOP che impone precisi e non trascurabili obblighi, spese organizzative non indifferenti e un rigido controllo dell’applicazione del disciplinare da parte di un ente terzo autorizzato a questo compito. In carenza di una sufficiente base produttiva, l’applicazione della DOP anche una volta ottenuto e approvato il disciplinare, potrebbe restare al palo. Un po’ di storia. Il caciocavallo del Molise è tra i più antichi e caratteristici formaggi a pasta filata del centro Italia. La denominazione deriva, secondo storici e la tesi più accreditata dalla tradizionalità, è quella riferita dalla consuetudine di appendere le forme di formaggio, in coppie, a cavallo di pertiche di legno disposte in prossimità dei focolari.
Le prime notizie sulla preparazione del caciocavallo risalgono al 500 a. C., mentre nei secoli successivi si trovano riferimenti sulle qualità del butirro, antico progenitore, in opere di diversi autori latini, tra cui Plinio il vecchio nel I° sec d. C.
Il caciocavallo del Molise ha la forma ovale con una sottile crosta dal colore giallo paglierino e pasta omogenea, compatta con lievi occhiature. Sapore piacevolmente aromatico e fondente in bocca, delicato e tendenzialmente dolce da giovane, mentre è piccante a stagionaura avanzata.
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