Un po’ di storia
L’allevamento del suino sembra risalire già al 4000 aC, epoca in cui i cinesi, per primi, iniziarono ad addomesticare questa specie animale, secondo sistemi razionali. Anche in Europa, l’alimentazione dei popoli con la carne di suino ha radici molto lontane nella storia, ma non quanto quelle dei cinesi, grazie al fatto che era un animale facilmente allevabile dall’uomo in ambiente domestico, ricco di grasso e carni gustose. Nella metà del 1800, alcuni ritrovamenti archeologici di ossa di suini entro l’area dell’insediamento palafitticolo parmense di Castione Marchesi di “terramare”, nel piacentino di Montana dell’Orto, Caorso e Castelnuovo Fogliani, avvalorarono l’ipotesi che gli abitanti della pianura padana dovevano conoscere il maiale già in età del bronzo, circa un millennio prima dell’era cristiana.
La successiva civiltà romana, che utilizzava in larga misura la carne di suino per l’alimentazione, ha lasciato come testimonianza della presenza del maiale nell’area piacentina, un ciondolo-amuleto bronzeo raffigurante un piccolo maiale, conservato attualmente presso il Museo Civico di Piacenza. Uno dei primi mezzi per conservare la carne fu il calore, con il quale si ottenevano l’essicazione o l’affumicatura, mentre la conservazione col sale subentrò successivamente. E’ nel medioevo che le tecniche di preparazione delle carni affumicate si sviluppò considerevolmente in Europa, mentre in Francia ed in Italia si diffuse la manipolazione delle carni di suino preservate tramite il sale. Per secoli, anche in Emilia, la produzione di carni di suino conservate rimase una pratica domestica per soddisfare i fabbisogni della famiglia stessa. In terra piacentina, nel primo medioevo, per macellare i suini occorreva la presenza del notaio, il quale certificava che il peso dell’animale non fosse inferiore a 250 kg. I beccai, così si chiamavano i macellai in quel tempo, dovevano vendere carni sane ed il criterio per giudicarle tali era l’osservazione della camminata dell’animale durante il trasferimento al macello.
L’epoca medioevale ci ha lasciato diverse testimonianze in merito alla diffusione delle pratiche di lavorazione delle carni suine nel territorio piacentino, ma due in particolare sono portate ad esempio in quanto costituiscono anche un ragguardevole patrimonio artistico locale. Si tratta di mosaici tematici risalenti al XII° sec che si possono ammirare nel pavimento della chiesa di San Savino a Piacenza ed in quello della famosa abbazia benedettina di San Colombano a Bobbio: raffigurano il sacro rito della macellqzione del maiale. Entranbe le opere raffigurano il calendario zodiacale del quale, per ciascuna stagione, sono indicati i relativi lavori della campagna. In particolare, le pratiche riconducibili alla macellazione del maiale, sono raffigurate nel mese di dicembre, adatto alla lavorazione delle carni grazie alle basse temperature che lo caratterizzano.
Occorre giungere al XIV° sec per avere testimonianze del commercio di carni conservate nella provincia di Piacenza, rinvenibili negli antichi statuti cittadini.
Da tali documenti si evince che la vendita al minuto delle carni conservate - carnes sicus - era riservata unicamente agli aderenti alla corporazione o “paratico” dei formaggiai, alcuni dei quali avevano banco stabile in Piazza del Duomo.
L’aumento del consumo di carni suine lavorate portò successivamente alla costituzione di una specifica categoria di venditori, i “Lardaroli” che si aggregarono alla corporazione dei formaggiai, dando vita così al “Paratico dei formaggiai e lardaroli”, ribattezzato poi in quello dei “Bottegai”, tant’è che alla fine del ‘700 se ne contavano già oltre centottantasette iscritti. Le carni suine lavorate nella provincia piacentina erano molto apprezzate anche dai negozianti di Milano e della Lombardia tutta che, per differenziarle da quelle di altra parte dell’Emilia, erano solitamente caratterizzarle con l’appellativo “roba de Piasenza”. Nei secoli successivi, sono numerose le testimonianze di apprezzamento dei salumi ed in particolare si ricorda il piacentino Giulio Landi, noto scrittore che viaggiò lungamente in Europa, il quale nella sua opera più famosa “La Foraggiata di Sere Stentato” del 1542, fa un eslicito elogio ai salumi della sua terra ed in particolare definisce i salami piacentini “ … i migliori che in Italia si facciano”.
I salumi prodotti nel territorio piacentino sono stati spesso oggetto di dono ad illustri personaggi in visita alla città, tra i quali si ricorda, nel corso del 1500, gli arciduchi d’Austria Ridolfo ed Ernesto, figli di Massimiliano II°, il principe Giovanni d’Austria, il cardinale Alessandro Farnese e la duchessa di Parma e Piacenza, Margherita d’Austria. Sempre nel XVI° sec risale l’opera “La nuova, vaga et dilettevole villa” del domenicano Giuseppe Falcone, dedicata al conte Bernardino Mandelli, signore del feudo piacentino di Caorso. In questo manoscritto, il religioso dedica un intero capitolo alla carne di maiale, descrivendone dettagliatamente le pratiche di lavorazione e conservazione, quelle stesse pratiche che ancora oggi sono eseguite dai produttori locali. Tale opera è sicuramente il primo disciplinare conoscosciuto per la produzione dei salumi piacentini.
L’abilità nella macellazione e nella trasformazione delle carni divenne a poco a poco, nel piacentino appunto, un vero e proprio mestiere espletato da esperti norcini, chiamati in dialetto “masselein”, che durante i mesi invernali scendevano dalle zone montane recandosi a casa dei vari committenti per macellare i maiali e lavorarne le carni dietro un compenso prefissato dalla corporazione. Fu nei primi del ‘700 che la fama dei salumi piacentini giunse anche alle corti di Francia e Spagna, grazie soprattutto ad un abile diplomatico cittadino, il cardinale Giulio Alberoni.
Seppe servirsi anche dei salumi e dei formaggi prodotti nella sua città per accattivarsi le simpatie di personaggi influenti, riuscendo così a realizzare importanti progetti di politica internazionale che lo portarono ad occupare la carica di primo ministro alla corte spagnola. Numerosi sono gli scambi epistolari tra Alberoni e la neo sovrana di Spagna, Elisabetta Farnese, figliastra di Francesco duca di Parma e Piacenza e divenuta sposa di Filippo V° di Spagna, grazie appunto, alle abili manovre politiche dell’illustre cardinale piacentino. In tali lettere, la regina era solita chiedere all’Alberoni rifornimenti di salumi piacentini di cui ne era particolarmente ghiotta. Il tuffo nella storia dei salumi piacentini ci conduce ai primi decenni del secolo scorso, quando la lavorazione locale delle carni salate ed insaccate iniziava ad assumere una connotazione semindustriale, crescendo nel corso degli anni, fino a giungere alla realtà odierna, rappresentata da numerose aziende in tutto il territorio
Tra gli estimatori dei vari salumi non poteva mancare il noto poeta dialettale piacentino Valente Faustini, 1858-1922, che con una personale lode ne rese omaggio.
- Via da Piacenza caro mio,
al salame puoi dire addio,
che di salame si danno vanto,
ma di maiale c’è il nome soltanto;
roba molle, carne insipida
è il salame quando si affloscia.
Volete sapere qual è il simbolo di casa nostra?
salame duro e di groddo impasto
et “sine fine dicentis”
stomaco sano “et bonis dentis”.
I METODI DI PRODUZIONE
La materia prima per la produzione dei salumi piacentini. Per la preparazione di COPPA, PANCETTA e SALAME PIACENTINI, si utilizzano esclusivamente carni provenienti da suini pesanti italiani nati, allevati e macellati nelle regioni Emilia Romagna e Lombardia. I suini devono avere almeno nove mesi di età, peso non inferiore a 160 kg e possedere le caratteristiche proprie del suino pesante italiano definite ai sensi del Reg. CEE n. 3220/84 concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine.
COPPA PIACENTINA DOP - Reg. CEE n. 1263/96 - GUCE L 163/96 del 02/07/1996 -
La zona di preparazione della coppa piacentina comprende l’intero territorio della provincia di Piacenza. Il pezzo fresco, che deve avere un peso minimo di 2,5 kg, è ricavato dai muscoli cervicali perfettamente dissanguati della regione superiore dei suini. Dopo il trasporto delle masse muscolari allo stabilimento di trasformazione, le coppe sono sottoposte a rifilatura e spremitura dei vasi sanguigni, quindi sono refrigerate prima di essere lavorate. Il processo di trasformazione inizia con la salagione a secco che consiste nel mettere le carni a contatto con una miscela composta da sale, spezie e nitrati nella dose massima di 150 ppm. Alla salatura seguono la massaggiatura manuale o in zangola, ed il raffreddamento in frigorifero per almeno sette giorni. Le fasi successive consistono nel rivestirle con diaframma parietale suino, legarle e forarle prima di appenderle per lo sgocciolamento.
L’asciugamento avviene in appositi essicatoi in grado di mantenere la temperatura tra 15 e 25 °C con umidità compresa tra 40 e 90% ed un’edeguata ventilazione. Tale fase ha una durata minima di 7 gg che generalmente sono sufficienti a far comparire la caratteristica “fioritura” che determina il viraggio al tipico colore rosato. Terminata l’asciugatura, inizia il periodo di stagionatura che avviene in ambienti con temperatura compresa tra 10 e 20 °C ed umidità relativa tra il 70 e 90%. La stagionatra si proprae per almeno sei mesi dalla data di salatura. L’intera fase di stagionatura comprende generalmente anche determinati periodi in locali seminterrati, cioè le cantine. Il prodotto finito deve pesare almeno 1,5 kg. Al taglio le fette si devono presentare compatte ed omogenee, caratterizzate da un colore rosso alternato al bianco delle parti grasse. Il gusto è dolce ma delicato e si affina procedendo con la maturazione.
PANCETTA PIACENTINA DOP - Reg. CEE n. 1263/96 - GUCE L 163/96 del 02/07/1996 -
La zona di elaborazione della pancetta piacentina comprende l’intero territorio della provincia di Piacenza. Per la produzione si utilizza la parte centrale del grasso di copertura della mezzena che va dalla regione retrosternale a quella inguinale, comprendendo la sola parte laterale delle mammelle. La pancetta rappresenta uno dei tagli adiposi del suino e si ottiene isolando con apposita sezionatura il cosiddetto “pancettone” da cui si ottiene la pancetta vera e propria; dopo il sezionamento il pezzo viene squadrato e rifilato. Il processo di elaborazione inizia con la salagione a secco che consiste nel mettere le carni a contatto con una miscela di sale, spezie e nitrati nella dose massima di 150 ppm. Le pancette salate sono poi accatastate e messe a riposare per circa 10 gg in celle frigo alla temperatura compresa tra 3 e 5 °C con umidità dal 70 al 90%. Terminato il periodo di riposo al freddo, si procede alla raschiatura al fine di togliere eventuali residui della lavorazione e l’eccesso di sale e spezie. Le pancette vengono arrotolate con eventuale aggiunta di carne magra e quindi cucite: alle estremità non coperte dalla cotenna sono applicabili lembi di vescica di suino, diaframma parietale suino o altro tipo di budello naturale però sempre di suino. Sulla cucitura laterale è applicabile del diaframma parietale suino, budello naturale suino o carta vegetale, allo scopo di ottenere una protezione naturale durante la stagionatura. Dopo averle legate e forate, le pancette sostano per alcune ore in locali con temperatura da 0 a 5 °C.
Si passa quindi alla fase di asciugamento che avviene per almeno 7 gg ad una temperatura compresa tra 15 e 25 °C: durante tale fase, si nota il caratteristico accentuarsi della colorazione della cotenna, indice del processo di maturazione. La stagionatura deve protrarsi per almeno tre mesi dalla data di salatura in locali a temperatura controllata compresa tra 10 e 14 °C con umidità dal 70 al 90%.
L’intera fase di stagionatura comprende anche periodi in locali seminterrati.
Il peso finale della pancetta piacentina deve essere compreso tra 4 e 8 kg.
Al taglio la fetta è caratterizzata dall’alternarsi di strati circolari che variano dal rosso vivo al bianco rosato delle parte grasse. La carne ha un profumo gradevole, dolce e dal sapore sapido in quanto la fetta si presenta morbida con tendenza a sciogliersi, grazie alla presenza delle parti grasse che determinano anche il sapore delicato e spiccatamente dolce, non privo di quella sapidità che rende il prodotto particolarmente appettitoso.
SALAME PIACENTINO DOP - Reg. CEE n. 1263/96 - GUCE L 163/96 del 02/07/1996 -
La zona di produzione del salame piacentino comprende l’intero territorio della provincia di Piacenza. Il salame piacentino si ottiene da materie prime appartenenti a suini che corrispondono alle caratteristiche indicate nel disciplinale. La percentuale di grasso utilizzabile va dal 10 al 30% in funzione della parte magra utilizzata. Per la parte magra sono esclusi i tagli di carne provenienti dallo spolpo di testa mentre per la parte grassa si possono utilizzare lardo, gola e parti di pancetta però prive del grasso molle. Le carni, sia grasse che magre, sono ridotte in pezzettini e successivamente passati al tritacarne con stampo a fori larghi superiori a 10 mm di diametro. Segue la salatura con una miscela di sale, spezie e nitrati nelle quantità non superiore a 150 ppm, l’impastamento, l’insaccatura, la legatura e la foratura dell’involucro. La successiva fase di asciugamento avviene in ambienti aventi una temperatura tra 15 e 25 °C con umidità tra 40 e 90%. La staginatura deve protrarsi per almeno 45 gg in ambienti a temperatura controllata pari a 12 - 19 °C ed umidità del 70 al 90%. Il peso finale è compreso tra 400 g ed 1 kg. Al taglio il colore della fetta è rosso vivo frammezzato da lenticchie bianche di grasso. Il sapore è dolce e delicato, l’aroma è fragrante e caratteristico, strettamente condizionato dal periodo di stagionatura.
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