Dopo aver preso parte la scorsa estate per la Guida ai Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club Italia ho deciso di ritornare, ancora una volta, sugli appunti di quelle intense giornate di assaggi per poter parlar anche delle altre etichette e produttori che non hanno raggiunto la corona né non sono giunti in finale ed, in alcuni, casi non sono riusciti ad entrare neanche in Guida. Quest’ultima, infatti, contrariamente alle altre guide di settore prevede un contingentamento dei posti messi a disposizione per ciascuna regione e raggiunto il numero prestabilito tutti gli altri restano fuori. Naturalmente i criteri sono esclusivamente qualitativi determinati dai punteggi dei singoli vini prima e, quindi, solo successivamente, da uno sguardo d’insieme alla produzione di ciascun azienda.
La pubblicazione di queste brevissime e sintetiche note vuole essere da un lato una sorta di riconoscimento comunque a tutte le aziende che hanno inviato i campioni e dall’altro un ulteriore riprova di grande trasparenza e correttezza che ha caratterizzato i tre giorni di sessioni di degustazione in quel di Paestum i cui giudizi sono stati poi fedelmente ripresi e rigorosamente rispettati nella successiva compilazione delle schede. Ricordo prima di addentrarmi in questo resoconto che tutti i campioni sono stati degustati alla cieca mentre quelli con evidenti problemi di tappo o altro riassaggiati durante le sessioni successive dalle altre commissioni.
Vorrei, inoltre, precisare che alcuni dei campioni senza valutazione non sempre presentavano evidenti difetti organolettici, più spesso si è trattato di difficile riconoscibilità rispetto al vitigno, denominazione, tipologia oppure di peccare di eccessiva gioventù, solo in un qualche rarissimo caso si è potuto trattare di divergenze insanabili di opinione all’interno di una stessa commissione degustatrice. Un ultimissima precisazione riguarda, invece, l’evidenza che molte aziende hanno in recenti assaggi mostrato netti segnali di ripresa grazie ad annate più favorevoli ed interpretazioni meglio riuscite. Molte di queste annate sono già fuori commercio così che le finalità di un resoconto di questo genere vuole essere principalmente divulgativa attraverso la trasparente condivisione con il pubblico di produttori ed appassionati di come nasce una guida.
Le sessioni d’apertura hanno visto per protagonista la falanghina 2005 , con qualche rara selezione 2004, presentata in tutte le sue diverse e possibili declinazioni geografiche da Roccamonfina nel casertano ai Campi Flegrei in provincia di Napoli, per approdare quindi alla vasta area di produzione del Beneventano. Nella prima batteria quella di Masseria del Borro, una vigna di città nel cuore dei Campi Flegrei, ha confermato la sua rusticità d’espressione, il Poggio, Taburno Doc, punta, invece, sull’intensità dell’impatto, quella di fattoria La Rivolta non ha convinto, sbiadita la prova di De Fortuna, nel beneventano, mentre sempre precisa quella Sannio Doc di Mastroberardino, problemi di tappo e tanto rovere per la selezione Folius della Cantina del Taburno. Nella seconda batteria sono emerse le interpretazioni di Trabucco con la IGT Roccamonfina, XVI Marzo, campione di concentrazione, e la Sannio Doc Cà Stelle, più orientata all’equilibrio e all’eleganza mentre della stessa azienda decisamente meno convincente la selezione affinata in barrique apparsa eccessivamente segnata dal rovere.
Abbastanza negativo il giudizio anche sulla selezione 2004 Le Cigliate, Campi Flegrei, di Farro; debole ed incerta quella di fattoria Alois, prodotta nella Alto casertano; verde rugosa ed aspra l’Igt Pompeiano della Vesuvus. Terza batteria senza particolari sussulti: indecifrabile, la versione ossidativa proposta da Masseria Frattasi, azienda che si dichiara biodinamica, la falanghina di Bonea fa un passo indietro rispetto agli esordi positivi con cui si era distinta questa cantina; segnata dall’alcol la selezione Cesco della Mirella di Santi Martini; ruspante quella offerta da Manimurci; corretta ma non oltre quella di Iovino, Campi Flegrei Doc; piuttosto anonima quella Campana Igt, denominata Parete, dell’azienda irpina Contrada. Ultimo giro di falanghina con ancora una prova sconcertante di Masseria Frattasi con la selezione del Taburno 2004, Donna Laura, screziata da un legno grossolano; molto delicata, a tratti inafferrabile ma intrigante quella Sannio Doc di Vedevo; meno entusiasmante del solito la vendemmia tardiva di Nifo Sarrapochiello, sempre Sannio Doc; molto diversa con un nota di cipria, quasi cosmetica, quella dell’azienda Fontanavecchia di Libero Rillo.
Giro supplementare, invece, per i campioni ritardatari dove troviamo due buoni esempi di falanghina beneventana: la Sannio Doc biologica di Taburni Domus e quella Igt dell’azienda Vadiaperti. Dalla falanghina al fiano si comincia con un Campania Igt della Montesolae tutto giocato sul frutto fermentativo e la freschezza, a fargli da contraltare il Pietramara de I Favati dal naso più debole e incerto,; ottima l’interpretazione molto rispettosa del varietale di Tenuta Ponte, di segno opposto quella di Colli di San Domenico; si fa notare per il nerbo spigliato il Pendino di Colli di Castelfranci; nocciola e frutta secca dominano il quadro gustativo del fiano salernitano, Paestum Igt, di Pagano.
Su tutti però si impone la mineralità idrocarburica e la mandorla della versione di Vesevo solo un attimino penalizzata da una presenza più avvertibile di SO2. Subito dopo non poteva che apparire, ingiustamente forse, vuoto ed evanescente il Donnaluna di De Conciliis. Negativa la prova anche del fiano, Paestum Igt, di Marino e tappo sulla vendemmia tardiva presentata dallo stesso produttore; la frutta secca domina l’interpetazione di Benito Ferrara; fermentativa la selezione Tenuta d’Altavilla di Villa Matilde, piuttosto anonima la versione di Molettieri anche se in una batteria piuttosto deludente come questa riesce comunque a farsi notare. Anche in questo caso giro supplementare per i ritardatari: tre annate del Fiano di Vadiaperti, una sorta di inaspettata verticale con un ottimo 2004, un buon 2005, ancora troppo giovane, ed un 2002 appena meno convincente.
La simpatica cenerentola dell’enologia campana, la Coda di Volpe, ha mostrato con l’annata 2005 notevoli progressi segno di una rinnovata fiducia anche da parte di molti produttori nelle possibilità di questa uva autoctona diffusissima su tutto il territorio. Entusiasmante il primo campione in degustazione, poi, rivelatosi la selezione vendemmia tardiva Serra Docile della Cantina del Taburno, convincente anche con l’etichetta d’annata Amino; molto interessante anche la versione offerta da Grotta del Sole mentre concentrata e sovraestratta quella dell’azienda irpina Giulia; senza valutazione quella di fattoria la Rivolta inspiegabilmente scomposta e squilibrata, semplice e fermentativa quella di un’altra emergente azienda del Taburno, il Poggio. Seconda batteria decisamente deludente con ben due etichette con un punteggio appena sotto la sufficienza Castel Franci e Terranera eccessivamente “lievitose” e rimaste senza valutazione Saviano per evidenti problemi già intuibili alla vista e Di Meo per sentori di tappo. Archiviata la coda di volpe è il momento delle altre uve autoctone protagoniste nelle diverse denominazioni campane.
L’Asprinio d’Aversa Vigneti ad Alberata di Grotta del Sole si fa apprezzare per la consistenza fruttata e la proverbiale freschezza; il Ravello bianco di Episcopio è un campione di tipicità nella sua connotazione floreale, meno espressivo e più concentrato nella versione cru Vigna San Lorenzo; senza valutazione l’Igt Coli di Salerno di Reale; troppo legno nel Campania Igt da uve greco di cantina Giardino; buona prova dell’Ischia bianco Lefkos di Cenatiempo. Più che sufficiente la prova del Vesuvio bianco di Sorrentino, quella del Costa d’Amalfi bianco Selva delle Monache di Ettore Sammarco, così come apprezzabile l’altro Ischia bianco Superiore di Cenatiempo, senza valutazione il Campania Igt Niè di Iannella ed il Civitas Casa Hirta Della Valle-Jappelli. Ultima batteria di bianchi con l’ennesima buona prova di Cenatiempo con la Biancolella d’Ischia, la prestazione positiva del Cilento bianco dell’esordiente Di Bartolomeo, il poco entusiasmante ma corretto Fiano d’Avellino di d’Antiche Terre, la conferma dell’ottimo Vigna Caracci versione 2004 di Villa Matilde e chiusura affidata all’interessante Asprinio Vigna Reale di Caputo.
Fuori programma il ritardatario Greco di Tufo 2002 di Vadiaperti raccoglie la sua meritata stellina. Pausa di riflessione con una batteria di “rosati” . Parentesi inaugurata da quello 2005 di Masseria Venditti apparso, a dir il vero, già un po’ stanco ed eccessivamente scarico, così come un po’ troppo delicato e debole il blend d’aglianico e piedirosso del Costa d’Amalfi rosato di Episcopio; colore scarico con addirittura riflessi aranciato per il Lacrima Christi di Sorrentino che comunque non dispiace; semplice e fermentativo il Donna Rosa di Trabucco; tutto improntato alla dolcezza di frutto quello dell’azienda beneventana Il Poggio; un pizzico di personalità in più arriva nel finale con i Viticoltori del Casavecchia ed il loro sapido, Terre del Volturno, Sfizio Rosa. Gran finale con ben 9 batterie di vini rossi seguti dalla chiusura in dolce con un’unica sessione, prevista per ciascuna commissione, di vini passiti.
Si comincia con le isole del Golfo di Napoli. Per’e palummo vinoso e diretto quello di Cenatiempo; difficile da valutare quello di casa d’Ambra; ci spostiamo sulla terra ferma per assaggiare quelli dei Campi Flegrei di Masseria del Borro, leggermente segnato dal legno, e di Farro, più verde e vegetale; senza infamia e senza lode il Pompeiano Igt di Fiore Romano e senza valutazione quello di Terranera.
Ci inoltriamo lentamente nell’entroterra dove iniziamo a trovare i primi campioni della provincia di Benevento: ancora imbrigliato da un tannino verde ed asciugante quello della Fattoria la Rivolta; più vegetale e maturo quello di Iovino, dei Campi Flegrei; più complesso al naso ma un po’ seduto al palato quello della Cantina del Taburno, Monteleone, sempre nei Campi Flegrei, raccoglie una stentata sufficienza mentre i Vini della Sibilla di Luigi di Meo non incanta come in altre occasioni; chiude la versione immediata e beverina di Grotta del Sole.
La batteria successiva conferma la scarsa attitudine del vitigno a trovare una più precisa fisionomia e le sue difficoltà nell’essere gestito in vinificazione: Mustilli è sempre affidabile con il suo Piedirosso 2005 di Sant’Agata dei Goti; Saviano regala l’ennesima delusione mentre quello 2004 della piccola canina di Salvatore Varriale, sulle colline di Posillipo, offre maggiore complessità e si impone facilmente sugli altri; Il Ramo d’Oro di Bacoli, nei Campi Flegrei, conquista col 2004, inaspettatamente, la sua unica stella; Marino con un Paestum Igt 2005 la sfiora di un pelo.
E’ venuta l’ora dell’aglianico di Masseria Frattasi che conferma il momento no anche sui rossi, denotando un eccesso di rusticità nel suo Taburno Aglianico 2004; poco di più, in termini di punteggio, ottengono il Rosso Trinità 2003 di Castel del Franci, il Sannio Aglianico di Pagano ed, ancora, il Cilento Aglianico Doc di Vinari; chiudono in crescendo con una buonissima prova d’orgoglio l’interpretazione cilentana di Antonio Verrone, il migliore addirittura nella sua batteria, ed il cru Montesarchio con il quale rialza orgogliosamente la testa, finalmente, Masseria Frattasi.
Un’altra batteria decisamente positiva vede per protagonisti l’aglianico, Campania IGT 2005, di Taburni Domus, l’Irpinia Igt 2004 di Molettieri e quello, sempre Irpinia 2004, di Manimurci, molto buono anche se, a tratti, un po’ verde e crudo. Una batteria di vitigni autoctoni “outsider” viene volutamente interposta alla carrellata di vini base aglianico. Il Castello delle Femmine 2004 di Terre del Principe è un riuscito blend di Pallagrello e Casavecchia, come molto buono arriva si conferma il Centomoggia 2004, casavecchia in purezza, dello stesso produttore; il Falerno del Massico Primitivo Campantuono di Papa non è più una sorpresa; combattuto tra le note di confettura al naso ed una inattesa diluizione al palato il Cajanero 2004 di Vestini Campagnano, blend di Palagrello e Casavecchia, e sullo stesso livello si attesta il Ravello Costa d’Amalfi, pari annata, di Ettore Sammarco mentre delude oltre ogni aspettative il Kleos di Maffini.
Si riprende a degustare aglianico di varia provenienza: acerbo e ridotto quello irpino 2002 di Giulia; penalizzato da un overdose di rovere il San Propileo 2004, beneventano, di Cà Stelle ; nuovamente ridotto ed acerbo ma decisamente più interessante quello irpino, il Terre d’Eclano 2004 di Lugi Moio; amarone style, caldo ai limiti del surmaturo Fumara 2003 de I Capitani; ruspante, insolitamente rustico e contadino il Salae Domini 2004 di Caggiano; non valutabile il Clanius 2004, aglianico del Sannio, di Caputo. Ritroviamo lo stesso produttore in apertura della penultima batteria con Zicorrà 2004, aglinico irpino, leggermente surmaturo con note di frutta rossa sotto spirito; frutto un po’ stanco e surmaturo anche nel 2004 di Di Meo,; freschezza confortata da colori più scarichi e rassicuranti nella versione cilentana di Di Bartolomeo; ancora sottotono il 2003 di Di Meo, eccessivamente ridotto la versione barricata di Colli di Castel Franci; non entusiasma ma convince l’aglianico beneventano 2003 de Il Poggio.
Ecco i Taurasi: ridotto, ferroso ma coinvolgente quello di Tenuta Ponte; non mi ha convinto come nell’annata di esordio la versione 2002 di Santa Vara La Molara; molto positiva la prova della riserva 1999 di Colle di san Domenico; appena sopra la sufficienza quella di Vesevo; non valutabile Giulia. Sessione conclusiva con i passiti dominati da Giardini Arimei e la sua biancolella dell’isola di Ischia, a seguire Terredora e la simpatica versione “lambiccata” di Longo. Alcune etichette sono state escluse dalle degustazioni per la presenza, dichiarata, di vitigni non autoctoni, ad esempio, tra l’altro uno dei pochissimi casi, il merlot Carazita di Tenuta Ponte. Durante questo mese si terranno le nuove sessioni di degustazione per la guida 2008.
Fabio Cimmino, napoletano, classe 1970. Tutt'oggi residente a Napoli. Sono laureato in economia e da sempre collaboro nell'azienda tessile di...
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