Luciano Pignataro è un giornalista del Mattino che, oltre ad essere l'autore
di alcuni libri "cult" per gli appassionati enofili del sud, come la Guida
ai Vini della Campania, la Guida ai Vini della Basilicata e la Carta dei
Vini della Campania e Basilicata, organizza anche una serie di serate dove
in occasione della presentazione dei suoi lavori cerca di radunare il
maggior numero di produttori cui si fa riferimento. Perchè se è vero che
"scripta manent" è altrettanto vero che alla fine solo "in vino veritas" e
nel nostro settore l'assaggio diventa passaggio indispensabile e unica fonte
ultimativa ed esaustiva di conoscenza.
Così è stato anche in occasione della presentazione della Guida ai Vini
della Basilicata dove sono intervenuti ben 16 produttori tra quelli più
rappresentativi dell'intero panorama produttivo della regione.
I vini della Basilicata si identificano quasi sempre con l'aglianico del Vulture
che sicuramente è la Doc più importante e che per qualità dei prodotti
meriterebbe senza dubbio una G finale.
Una considerazione, infatti, generale riguarda il livello qualitativo medio dei
vini che è apparso decisamente orientato verso l'alto, un livello tale che
poche altre regioni italiane possono vantare. Ma la Basilicata non è solo
Aglianico e c'è anche una radicata tradizione spumantistica e bianchista che
molto spesso sorprende per la personalità e l'originalità delle etichette
prodotte. EccoVi dunque un resoconto completo e dettagliato degli assaggi
della serata.
Michele La Luce è un contadino che imbottiglia da qualche anno due etichette
affinate esclusivamente in acciaio. Il S'Addat 2003 è un vino ricco di aromi
intensi, persistenti ed eleganti di ciliegia e frutta matura. Al palato è
caldo, equilibrato, con lunghi ricordi di spezie. Niente legno solo acciaio
anche per lo Zimberno un altro piccolo gioiellino dell'enolgia lucana.
Questo vino è ricco di note di frutta matura come prugne e more, sentori di
tabacco, spezie e liqurizia. Il sapore è morbido con tannini esuberanti ma
dolci. L'acidità è rinfrescante e, sorso dopo sorso, il bicchiere si svuota
quasi senza accorgersene.
Le Cantine del Notaio di Gerardo Giuratrabochetti non hanno bisogno di
presentazione alcuna. Da anni il loro vini si sono imposti non solo
all'attenzione del consumatore ma hanno, anche e soprattutto, fatto incetta
di premmi e riconoscimenti di guide e concorsi. Il Repertorio è un continuo
rincorrersi, l'uno dopo l'altro, di aromi fruttati. Il sapore, fresco e
molto lungo, è in continua evoluzione. Sta a dimostrare e a ricordare che
questo vino è vivo. La Firma è un'esplosione di profumi fruttati e speziati.
La materia prima è inebriante al naso come polposa al palato.
Elena Fucci produce, invece, il Titolo. In questo vino, versione 2003, c'è
il passato, il presente e chissà se anche il futuro dell'aglianico del
Vulture. Concentrato estremo di frutto e potenza lascia quasi disorientati e
storditi per la sua carica aromatica e l'incredibile sostanza voluminosa,
carnosa e tannica, che travolge, irruenta, tutto il cavo orale. Macarico
produce due etichette che si differenziano per i tempi diversi di
affinamento in barriques. Il Macarì fa meno legno del fratello maggiore e
secondo me ne guadagna in vivacità e freschezza aromatica. Il frutto è
integro al naso come al palato dove trova una decisa spinta acida a
sostenere una beva più disincantata ed immediata. Macarico è il vino più
ambizioso che pur partendo dalla medesima materia prima subisce un più
prolungato affinamento in rovere. L'uso del legno mi è sembrato in questo
caso più ingenuo e scontato. Non mi ha particolarmente entusiasmato
nonostante risulti impeccabile dal punto di vista realizzativo preferendogli
la versione più semplice.
Le Cantine di Venosa producono oltre ad aglianico anche Moscato bianco che
dà vita al "Dry Muscat". Se vi state chiedendo come mai un etichetta in
lingua inglese per un vino lucano la risposta è semplice: gli inglesi vanno
letteralmente pazzi per questo vino che offre apprezzabile finezza ed una
delicata fragranza aromatica. Note agrumate e muschiate al naso ed
un'acidità rinfrescante al palato ne fanno un vino da aperitivo per
antonomasia. Da provare. Il Terre d'Orazio 2003 è un Aglianico del Vulture
doc. Al naso è un esplosione di aromi di piccoli frutti di bosco, di
confettura di prugne e di mirtilli. Al gusto il sapore è lungo e penetrante.
Piacevole senza essere per forza ruffiano.
Bisceglia presentava il suo vino base, un Aglianico del Vulture Doc, sempre
2003: un vino già leggermente terziarizzato nel colore e negli aromi che
ricordano i fiori secchi e le spezie più che il frutto. Fa legno grande e si
avverte: il passo è più austero e meditato di taluni sui vicini di banco.
Il Consorzio Produttori del Vulture ha, invece, offerto in degustazione il
Carpe Diem, Aglianico del Vulture Doc, 2003: dal colore pieno e compatto
questo vino si annuncia, al naso, con aromi variegati di prugna, di mirtillo
e di mora. Le sensazioni preannunciate alla vista e al naso si ritrovano in
bocca dimostrando armonia, giovinezza e freschezza.
Dragone produce un inaspettato spumante brut da uve primitivo. Un metodo
classico da uve primitivo non l'avevo mai neanche immaginato possibile. Si
tratta di un interessante reinterpretazione di un vitigno che sconfina dalla
Puglia nella parte più orientale della Basilicata. La vinificazione è in
rosa ed il risultato è un vino di carattere. Il naso regala delicati aromi
floreali e frutati, di grande finezza, ed è difficile pensare che sia
ottenute dalle uve di un vitigno noto più per la sua potenza e la sua poca
grazia. Al palato è sapido e di buona persistenza. Anche questo è
sicuramente una chicca da provare.
Paternoster mostrava invece attraverso i suoi due vini simbolo due diverse
chiavi di lettura dello stesso vitigno. Il Don Anselmo 2001 è il più
tradizionale: offre una grande ampiezza aromatica formata da un delicato
boquet di fiori appassiti, frutta rossa matura, more e prugne, su uno sfondo
di cuoio leggermente tostato. Il gusto è denso e potente. Il Rotondo è la
versione dichiaratamente più aperta e diretta ai mercati internazionali e
dal gusto moderno. Non è nelle mie corde senza ciò nulla togliere alla assoluta
bontà della sua tecnica realizzativa nonchè della suo profilo organolettico.
Anche Terre degli Svevi del gruppo GIV offriva le sue due
versioni-interpretazioni di Aglianico del Vulture. Serpara è quella forse
meno pretenziosa, più semplice, fresca ed immediata. Si tratta di una novità
ttenuta da un cru vinificato in purezza. Re Manfredi è il solito concentrato
di potenza in divenire. Molto chiuso e restio a concedersi al naso dove il
passo è austero e l'incedere, a dir il vero, un pò ingessato e monolitico.
Segue al palato.
Allegretti, da par suo, presenteva Castello Svevo e Barile. Il primo è un
esempio di correttezza e precisione realizzativa, in grado di coniugare
frutto e spezie, in una combinazione assolutamente non banale. La polpa del
frutto ritorna al palato supportata da un discreto nerbo acido. Nel Barile
c'è, di certo, maggiore sostanza e coinvolgimento che nel suo rosso base.
Eppure non riesce a trasportare ed emozionare fino in fondo. Gli manca quel
pizzico di complessità ed originalità in più che esalta altri campioni della
categoria. I prezzi, invece, sono, sicuramente, più incorraggianti.
Suo vicino di banco in degustazione è Oraziano 2003. Il nuovo corso
intrapreso dalla cantina di Armando Martino è tutto in questo bicchiere dove
lo stile più tradizionale ha lasciato posto ad un impostazione più curata e
moderna anche nel gusto. Giannattasio presentava Arcà 2003 un pò monocorde
nell'approccio olfattivo dove l'alcol schiaccia la paletta aromatica che
sembra insistere su una nota di liquirizia senza trovare vie di fuga. Al
palato segue con coerenza lo sviluppo gustativo annunciato al naso.
Vigne di Mezzo di Feudi di san Gregorio produce due aglianico del Vulture
Doc un base e la selezione Efesto. Sono costretto, in questo caso, ad una
nota di degustazione "cumulativa" perchè i due vini presentano stessi pregi
e stessi limiti. Ad un naso espressivo, finanche intrigante e territoriale
fa da contraltare un palato decisamente scollegato e scomposto. Tra i due
alla fine sicuramente da preferire la versione meno ambiziosa.
Fabio Cimmino, napoletano, classe 1970. Tutt'oggi residente a Napoli. Sono laureato in economia e da sempre collaboro nell'azienda tessile di...
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