L'invito a prendere parte alla 2a edizione della manifestazione "Rosalento" - rassegna del Vino Rosato Salentino - è stata l'occasione per assistere ad un interessantissimo convegno dedicato alla conoscenza ed alla rivalutazione di questa straordinaria - l'ennesima - chicca dell'inesauribile patrimonio enogastronomico di casa nostra. Vorrei ricordare, prima di addentrarmi ad affrontare ed approfondire le tematiche del convegno, i protagonisti della tavola rotonda che è stata simpaticamente organizzata in un insolito orario "serale", all'aperto, nei giardini della rinata Villa Comunale di Nardò, con tanto di orchestrina jazz. Ad animare il dibattitto erano presenti il presidente regionale di Slow Food Michele Bruno con Francesco Muci, referente della condotta neretina, i giornalisti Sandro Sangiorgi e Luciano Pignataro, l'enologo-mito dell'enologia pugliese Severino Garofano insieme ad alcune autorità locali.
Ho sentito in questi ultimi anni molti giornalisti e critici enogastronomici gridare a voce alta e reclamare la dignità del Rosato. Io ritengo che il Rosato, in particolare modo nelle aree tradizionalmente più vocate alla tipologia, questa dignità non l'abbia mai persa e che il suo offuscamento sia stato piuttosto di natura ed origine mediatica più che qualitativo. Penso che la riscoperta del Rosato sia passata, in questo senso, di questi ultimi anni, attraverso la definitiva sconfessione nei confronti di taluni vini bianchi, quelli che definirei di ultima generazione: vini bianchi dalle improbabili gradazioni alcoliche che quando non sono il frutto di vendemmie tardive, sono comunque ottenuti da vendemmie ritardate, quando non sono fermentati ed elevati in barriques, sono comunque figli di tecniche spinte di concentrazione prima in vigna e poi in cantina.
Parliamo di quei "bianchi da degustazione" verso i quali la gente sembra lentamente ma ormai inesorabilmente mostrare segni di insofferenza. Il consumatore è stufo di vini sempre meno inclini a sapersi rapportare al cibo e sposare la buona tavola. E quando si avvicina l'estate si sente ancora più forte il bisogno di vini leggiadri in grado di sfidare le sempre più torride temperature agostane. Ecco dunque, i Rosati diventare una vera e propria ancora di salvezza e di rifugio per chi è alla ricerca di vini freschi, profumati, leggeri, da bere "a secchi" e non da succhiare con la cannuccia. Ecco, pertanto, la logica rivalutazione delle aree che hanno eletto questa tipologia, già in tempi non sospetti, a loro vino simbolo. Il Salento è, infatti, sicuramente ed inequivocabilmente la regione storicamente più conosciuta e legata alla produzione di Rosati all'interno del vasto panorama enolgico nostarno.
Si tratta di una produzione significativa sia in termini quantitativi che qualitativi, al punto tale da portare questi vini fino a confrontarsi ed essere paragonati a quelli che vengono considerati i mostri sacri della tipologia a livello mondiale, mi riferisco ai cugini d'oltralpe della Provenza. Il Rosato nasce inizalmente nel Salento come il vino dell cultura contadina, "anti-spreco" per eccellenza. Veniva ricavato, o meglio recuperato, dalle "lacrime" di liquido provocate dalla rottura degli acini durante il trasporto e la lavorazione delle uve in cantina. A questo prodotto fu dato il nome di "lacrima", che non si riferisce così ad un vero e proprio metodo di produzione o tecnica di lavorazione ma ad una saggia e preziosa tradizione rurale volta ad evitare la benchè minima perdita.
Oggi la lacrima contua ad esitere e sopravvivere nelle cantine più tradizionali ma destinata quasi esclusivamente all'auto-consumo trattandosi di un vino che solitamente tende a perdersi precocemente ossidandosi con una certa velocità. I vitigni utilizzati nel Salento per la produzione dei vini rosati sono queli autoctoni già impiegati nella produzione dei rossi cioè il negroamaro e lamalvasia nera leccese. Le denominzaioni d'origine sono, aihmè, tante, troppe molto poco o per nulla conosciute al di fuori del circoscritto ambito territoriale. Meriterebbero una decisa e più coerente ri-sistemazione legislativa trasforamndo la IGT Salento in una Doc con le diverse sottozone sul modello, ad esempio, di quella vigente per i vini della Costa d'Amalfi. Da quello che mi è parso, però, emergere al convegno nessuno, o quasi, sembrerebbe d'accordo.
Tra queste denominazioni sicuramente la più conosciuta rimane quella di Salice Salentino, che come del resto tutte le altre denominazioni locali, prevede anche la tipologia rosso e bianco oltre a quella in rosa. Le aziende attualmente impegnate a far fronte alla continua, a tratti quasi inarrestabile, ascesa della domanda sono quasi tutte quelle presenti sul territorio. Io ho avuto modo di assaggiare solo una decina di vini di cui riporto in coda delle brevissime note di degustazione.
L'ordine è volutamente gerarchico (una sorta di top ten) seguendo quello che è stato il mio personalissimo gradimento. L'annata è per tutti il 2005.
1)Girofle Rosato Salento IGT Masseria Monaci: il migliore, una spanna sopra tutti gli altri. L'azienda di Severino Garofano produce un rosato dalla personalità spiccata ed il carattere originale. Sorpresa inaspettata e molto positiva.
2) Scaloti Rosato Salento IGT Taurino: l'unico prodotto insieme a quello di Masseria Monaci in grado di offrire una prova di personalità decisa oltre che di pura piacevolezza gustativa. Una conferma che rischiara le ombre sulle ultimissime produzioni di questa storica azienda.
3) Le Pozzelle Candido Rosato Salice Salentino Doc: un vino dal quale forse mi aspettavo di più. Ottimo sicuramente. Lo sviluppo organolettico è di indiscutibile valore sia al naso che al palato. Avrei, però, forse voluto una maggiore personalità distintiva che andasse oltre, ancora una volta, la pur estrema piacevolezza della beva.
4) Vigna Flaminio Rosato Brindisi Doc: un vino corretto, senza fronzoli. Giocato sul frutto maturo ed una buona freschezza che pur senza offrire voli pindarici di complessità gusto-olgattiva svolge degnamente, in maniera apprezzabile, il compito chiamato a svolgere sulla tavola.
5) Cantele Negroamaro Rosato IGT Salento: color cerasuolo alla vista. Terroso con sentori floreali e di piccoli frutti rossi al naso. Delicatamente rustico e fresco al palato.
6) Five Roses Rosato IGT Salento: non mi ha convinto per la presenza piuttosto evidente di aromi fermentativi, in special modo di banana. Forse ha solo bisogno di tempo, forse l'elevato numero di bottiglie non riesce a garantire quella qualità riconosciuta di un tempo.
7) Due Palme Rosato IGT Salento: un vino che sin dal colore mostra una minore concentrazione che non si capisce bene se essere un segnale positivo di delicatezza, finezza ed eleganza o, piuttosto, un chiaro sintomo di debolezza. Nel primo caso lo avrei piazzato senza esitazioni subito dopo il Vigna Flamino, nel secondo forse ancora qualche gradino più in basso. Essendo rimasto con i miei dubbi, eccolo qui a metà classifica.
8) Calò Alezio Rosato Doc Rosa del Golfo: per la prima volta negli assaggi di questi ultimi anni mi sono ritrovato ipercritico nei confronti di quello che è un pò considerato il gioiellino della storia recente del rosato salentino. Perplessità sollevate dall'eccessiva tropicalità degli aromi (di per sè non così malvagia e che mi ha fatto pensare ad una vendemmia tardiva) e per il mancato supporto acido al palato compromesso da una nota dolciastra al palato (di liquore alla ciliegia).
9) Conti Zecca Cantalupi Rosato Salice Salentino Doc: in questo caso a non convincermi fino in fondo è stata la tenuta della bottiglia, forse mal conservata, che dava segni piuttosto di stanchezza evolutiva. Un frutto non integro, surmaturo ed a tratti ossidato.
10) Tenute Rubino Saturnino Rosato IGT Salento: peccato per la prova mancata di questo rosato che non svolge malolattica e che lasciava intravede qualche interessante ed originale spunto minerale. Purtroppo una presenza, in questo momento, ancora troppo avvertibile di solforosa non ne permetteva un pieno apprezzamento.
11) Bonsegna Danze della Contessa nardò Rosato Doc: naso e palato marcati, secondo me, da una troppo prevedibile rusticità di impostazione. L'impatto vinoso non sembra mostrare margini di manovra per un possibile ampliamento, in prospettiva, del suo ventaglio odoroso. Segue coerente al palato: diretto ed immediato.
12) Apollonio Diciotto Fanali Salento Rosato IGT: non sono riuscito ad entrare in sintonia con questo rosato che al di là di un ostentata correttezza espressiva mi è sembrato oltremodo lineare, privo di sfaccettature, di luce o forse più semplicemente di ambizione. Ricordi di altre annate mi sembravano più promettenti.
Fabio Cimmino, napoletano, classe 1970. Tutt'oggi residente a Napoli. Sono laureato in economia e da sempre collaboro nell'azienda tessile di...
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