La Puglia, storicamente, non ha mai goduto di buona fama per i suoi vini se non per quello sfuso che ha, da sempre (e gli eclatanti fatti di cronaca sembrerebbero confermarlo ancora oggi!), rappresentato un ottimo "migliorativo" (altro che vitigni migliorativi...) per quelle uve, come ad esempio nebbiolo e sangiovese, dal colore scarico e povere d'antociani. Ma anche per "sostenere" il grado alcolico ed "imprimere" maggiore struttura agli stessi vini ottenuti con queste uve. Oggi le cose sono, anche se ripeto non del tutto, molto cambiate. Le moderne pratiche enologiche (insieme a qualche apparecchio "infernale" che ha fatto la sua comparsa nelle cantine più danarose) ed i, sempre più evidenti, cambiamenti climatici hanno consentito e consentono di ottenere, anche con un uve meno dotate, vini dal colore e dalla materia decisamente più concentrata senza bisogno di ricorrere all'immenso serbatoio di uve e mosti del tavoliere e più in generale del sud Italia.
La Puglia si è, così, ritrovata, quasi all'improvviso, a fare i conti con il mercato, un mercato sempre più difficile e competitivo, che ha costretto i produttori a promuovere in prima persona i propri vini ed il proprio territorio. Oggi il vino pugliese può, finalmente, contare su un manipolo ben assortito di aziende in grado di offrire non solo più quantità ma anche straordinaria qualità a prezzi assolutamente ragionevoli. Tra questi sono diverse le realtà cooperative che producono vini molto interessanti. La produzione ha, allo stesso tempo, dovuto fare i conti con un consumatore sempre più selettivo, alla ricerca non solo più di qualità a basso prezzo ma anche, come reazione alle sempre più pressanti spinte omologative provenienti dal nuovo mondo e dalla grande industria, alla ricerca di unicità ed originalità di prodotto. In questo senso l'unica strada da percorrere per trasmettere il territorio è stata quella di valorizzare il cospicuo patrimonio autoctono.
Se, però, questo è stato più facile nel Salento dove uve come il negroamaro e la malvasia, pur straziate da un confusionario sistema di microdenominazioni, sono conosciute dai consumatori anche meno smaliziati, idem per il Primitivo di Manduria che ha dovuto solo smettere i panni di vinone alcolico e sgraziato per ritrovare velocemente la sua giusta e meritata considerazione, non si può dire, invece, la stessa cosa per la zona di Castel del Monte e più in generale la parte più settentrionale della regione. Qui le contaminazioni subite dalle aree circostanti hanno portato l'impianto di varietà che autoctone lo sono diventate solo col tempo: montepulciano (dall'Abruzzo) e aglianico (dalla Campania e dalla Basilicata). L'unica uva bianca degna di nota, il bombino, non ha trovato particolari problemi ad affermarsi grazie anche alla collocazione sul mercato locale basato su una cucina di pesce ed i flussi turistici estivi del Gargano (a questo proposito vorrei consigliare, scusandomi per la parentesi, a tutti gli appassionati più attenti di assaggiare, se capita l'occasione, gli interessanti metodo classico prodotti con quest'uva dalle cantine D'Araprì).
Più complicata la strada da percorrere per i vini rossi a lungo in crisi d'identità. L'unico vitigno a bacca rossa veramente autoctono della zona, l'Uva di Troia, non veniva quasi mai vinificato in purezza confinato ad una serie di denominazioni deboli eccezion fatta per quella di Castel del Monte. Quando sposata al montepulciano e all'aglianico, l'Uva di Troia finiva inevitabilmente per subirne ora la polposità del frutto e le note animali del primo ora le asperità tanniche del secondo. Una sola azienda divenne precursore di quella che sarebbe, poi, diventata la moda di quest'ultimi anni, vinificando, per prima, l'uva di Troia in purezza. Parlo del Vigna Pedale di Torrevento un'etichetta che, anno dopo anno, ha dimostrato, innanzitutto, grande continuità qualitativa nell'offire un prodotto di notevole fattura andando oltre il semplice, pur fascinoso, richiamo dell'autoctono. Anche la versione 2002 assaggiata in più occasioni, di recente, non ha smentito la sua fama di prodotto molto curato e ben realizzato. Un vino di estrema piacevolezza: floreale, elegante e fresco.
Come dicevo, però, in quest'ultimi anni quella della vinificazione in purezza è stata la strada seguita anche da molte altre aziende dell'area con risultati sorprendenti sia in termini di corpo che di struttura. Alcuni di questi vini ho avuto occasione di rassaggiarli all'Anteprima di Vitigno Italia a Napoli il mese scorso. A partire dal Lui 2003 una novità delle Cantine Albea che pur giovanissimo ed ancora alla ricerca di migliori equlibri, da trovare, soprattutto, con il rovere, colpisce per l'esuberanza dell'impatto lasciando intravedere interessanti potenzialità.
Altri vini hanno, invece, subito trovato un immagine ed una personalità già definita. Parlo dell'ottimo Guado San Leo 2002 di D'Alfonso dal Sordo ottenuto dalla vinificazione di un "cru", da vigne di quindici anni, su terreni, esposti a Nord, di natura argilloso-calcarea. Il vino, affinato in barriques nuove per circa 9 mesi, si mostra, al naso, concentrato senza eccessi, elegante e complesso con i profumi di frutta rossa matura arricchiti da note balsamiche, ricordi di tabacco, spezie orientali e cuoio. Al palato pur essendo un vino già godibilissimo non rinuncia a tannini ben saldi ed una sostenuta acidità che ne lasciano presagire la longevità. Sullo stesso stile (stesso enologo:il Prof.Luigi Moio nda) il Vandalo 2003 di Tenuta Cocevola , un vino di notevole struttura che sembrerebbe mostrare un filino di rovere in più nel suo profilo olfattivo insieme al solito corredo di frutto , fiori e spezie.
Il Rosso Cocevola 2004 è il fratellino minore più intenso e meno complesso, più fruttato, roverizzato e meno incline alle sfumature. Buono anche la Riserva Le More 2001 di Santa Lucia un vino che pur non regalando una straordianaria complessità al naso si fa valere al palato grazie alla sua fitta trama tannica e alla fresca acidità distinguendosi per un prezzo particolarmente vantaggioso.
Voglio, infine, segnalare, visto che ho parlato di prezzi, un vino offertomi da un carissimo amico milanese che viente prodotto dalle Cantine Apuliae. Si chiama Astrale e viene praticamente quasi esclusivamente esportato negli Stati Uniti per una manciata dollari. Un vino correttissimo e piacevolissimo ma assolutamente non banale che potrebbe essere proposto con un pò di coraggio e di iniziativa anche dalla grande distribuzione qui in Italia invece di rifilarci la solita improbabile miscellanea di uve multi-regionali contenuta negli omnipreenti tetrabrick. Ma questa è un'altra storia... Puglia felix a tutti.
Fabio Cimmino, napoletano, classe 1970. Tutt'oggi residente a Napoli. Sono laureato in economia e da sempre collaboro nell'azienda tessile di...
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