Da qualche mese ho deciso di mettere sullo schermo del mio computer in ufficio una pagina in cui escono tutte le notizie relative alle grandi aziende del settore degli “spirits” cioe’ delle bevande alcoliche. Leggo spesso alcuni lanci relativi al mondo del vino, e a che cosa le aziende fanno delle loro attivita’ nel mondo del vino. Bene, proprio l’altro giorno sono uscite due notizie, una da Diageo (uno dei colossi mondiali del settore spirits, lo chiamo cosi’ tanto ora sapete di cosa si tratta) e una di un operatore del vino spagnolo che si chiama Baron de Ley.
Questi due annunci, che ora vi andro’ a dettagliare sono state le classiche gocce che hanno fatto traboccare il vaso. Quale vaso? Questo: la sensazione che ci sia una sempre minore propensione all’investimento nel settore del vino. In che modo? Buttiamone li’ tre, ma potremmo allargare la lista. E badate, non sto parlando di investire per mantenere in vita l’attivita’, ci mancherebbe, sto parlando di investire con la consapevolezza di fare qualcosa che nel futuro migliorera gli utili dell’azienda e la sua posizione sul mercato.
Primo esempio
Chi fa del vino la propria attivita’ chiave ha smesso di investire e sta invece cercando di vendere alcune proprieta’. Ha smesso di comperare altre aziende per focalizzarsi unicamente sulla generazione di cassa (spremere il limone) e sul taglio del debito. Ora il debito e’ calato, ma la strategia non cambia (con applausi scroscianti degli azionisti). Come si chiama? Constellation Brands.
Secondo esempio
Chi ha il dubbio se continuare a fare grandi investimenti nel vino o fare altre cose, decide di fare altre cose. Primo e tutto sommato emblematico esempio e’ quello di Foster’s, che ha disperatamente cercato di vendere le sue attivita’ nel settore del vino in Australia e UK senza riuscirci. E il fatto che non ci sia riuscita e’ emblematico, ancora una volta, del fatto che i “grandi capitali” non vogliono investire nel settore. Che fa allora? Si accontenta di vendere proprieta’ per proprieta’. E’ come se il proprietario della Esselunga non riuscisse a vendere tutto e cercasse di vendere un supermercato alla volta: bisogna essere abbastanza disperati.
Ma su questo “dubbio” se fare vino o meno si possono fare altri esempi. Uno e’ quello del vaso, quello di Diageo, che il 12 maggio e’ uscita con un annuncio chiaro: si taglieranno posti di lavoro nelle tenute americane del 14% (90 posti di lavoro). Oppure basta tornare indietro un po’ per ricordarsi le voci di vendita della divisione vino di LVMH al partner di minoranza Diageo; visto quello che abbiamo detto sopra, figuriamoci se Diageo e’ disposta a comperare a dei prezzi da amatore i piu’ grandi marchi francesi del vino.
Oppure, sempre per stare nel punto 2 e per entrare nei confini nazionali, il fatto che Campari continui a comperare attivita’ nel segmento spirits e niente nel segmento vino. In questo caso, visti i risultati ottenuti con questa strategia, non c’e’ che da augurargli di continuare cosi’. Anzi no, Campari ha comperato qualcosa nel segmento vino: si chiama Odessa ed e’ un’azienda che produce vini spumanti prodotti in Ucraina. Giustamente hanno pensato che se l’Est Europa ha cosi’ sete di vino spumante forse un produttore locale forte poteva avere qualche chance.
Terzo esempio
Ma veniamo al punto tre che e’ anche divertente. E’ la seconda goccia del vaso. I nostri amici spagnoli di Baron de Ley, che operano nella regione del Rioja con un fatturato di 80-90 milioni di euro (per spiegarci, una cosa ben piu’ piccola di Antinori e un filino piu’ grande di Santa Margherita), senza debiti, continuano a investire la cassa che generano nel ricomprarsi le proprie azioni invece che nella crescita del gruppo, che francamente ha una dimensione piuttosto limitata.
Ce ne sono altri di questi esempi, ma credo che il punto sia piuttosto chiaro: non si investe piu’ nel mondo del vino. Il mondo degli spirits preferisce gli spirits, cioe’ bevande piu’ semplici da produrre, meno costose da maneggiare (magazzini di merce da fare affinare e via dicendo sono tutti immobilizzi finanziari), che piaccia ai giovani e che sia molto adatto a essere spinto come prodotto in pubblicita’. Chiudo gli occhi e mi viene in mente l’Aperol, che era di una azienda che produce vino, prima di essere venduto alla Campari 5-6 anni fa. Meditate gente, meditate (e chi vuole cogliere un doppio senso, lo colga pure).
Analista finanziario dal 1996 e sommelier dal 2001. A settembre 2006 lancia un blog di analisi numeriche relative al vino, I numeri del vino. Il blog...
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Inserito da Tomaso Armento
il 21 maggio 2010 alle 16:21Ma sicuramente, come sappiamo entrambi, credo che stiamo parlando di logiche difformi e che entrambi possiamo concedere all'altro il beneficio del dubbio.
Augurami in bocca al lupo, ho appena investito, non da solo, non in un territorio famoso e non su un vitigno famoso. Perchè? Credo ci sia ancora tanto da dimostrare, questa però per me è una promessa.
Spero di farti assaggiare presto dove siamo arrivati noi di Forti del Vento con l'Ottotori, e magari a voce (non vorrei si alzassero le grida dei "grandi") raccontarti dove vogliamo arrivare.
Non sarà un gioco, ma come ben sappiamo tutti le rivoluzioni sono figlie di idee e di sentimenti prima che di interessi...
A presto!
Tom