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Consumi di vino, esportazioni e paesaggio. Cosa succederà nei prossimi 10 anni?, di Marco Baccaglio

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Angolo economico

Consumi di vino, esportazioni e paesaggio. Cosa succederà nei prossimi 10 anni?

di Marco Baccaglio

In questi giorni vengono pubblicate diverse statistiche relativamente all’andamento della produzione e dei consume di vino del 2008. Le macrotendenze sono molto chiare: i consumi di vino sono stabili, a fronte di una riduzione dei consumi nei grandi paesi produttori e di una moderata crescita nel mondo anglosassone. Il mercato mondiale del vino e’ sempre piu’ caratterizzato dai “nuovi produttori”, Cile, Argentina, USA, Australia e Nuova Zelanda, Sud Africa coprono ora il 30% delle esportazioni mondiali. Nel 1980 rappresentavano poco piu’ dell’1%.

Secondo una indagine curata da Viniflhor in Francia, stanno pesantemente cambiando le abitudini di consumo di vino. Non soltanto i francesi bevono vino meno spesso, ma sta crescendo in modo preoccupante la quota di coloro che non sono consumatori. Esiste addirittura una crescente convinzione che il vino sia un prodotto inquinante. Questi sono grandi cambi di cultura, le nostre citta’ sono sempre meno fatte da una popolazione uniforme e diventano sempre piu’ multietniche. Chi arriva in Italia non ha i soldi, ma non ha nemmeno la cultura del vino (e per questo anche quando i soldi li avra’ non sara’ un consumatore).

In Italia nel 1985 si consumavano 36 milioni di ettolitri di vino, oggi se ne consumano 26 milioni. Se proiettiamo un calo del 3% annuo per i prossimi 10 anni (non cosi’ drammatico) arriviamo a 20 milioni. Con un calo del 4% annuo, il consumo nel 2020 sarebbe di 15-16 milioni di ettolitri. Nel frattempo, il mercato mondiale del vino, che Italia e Francia dominavano si e’ popolato di nuovi attori.
L’Italia paradossalmente esporta sempre lo stesso volume, circa 17 milioni di ettolitri, pero’ nel frattempo il mercato (inteso come somma delle esportazioni di tutti i paesi) e’ passato da 50 milioni di ettolitri a 90 milioni, dal 20% dei consumi mondiali al 40%. Di questa fetta aggiuntiva , non abbiamo preso niente. A guardare le quote di mercato degli anni 80, ci sarebbe spettato un terzo di tutto questo, oltre 10 milioni di ettolitri aggiuntivi di esportazioni.

Di fronte a questo scenario, si continuano a spendere centinaia di milioni di euro all'anno in aiuti espliciti (distillazione, contributi all’espianto) o costi impliciti, cioe’ perdite sopportate da produttori che non riescono a piazzare il loro prodotto. Per entrambi, non si puo' immaginare possa continuare all’infinito. Ci sara’ un momento in cui il declino del vino italiano sara’ un problema serio.

E, badate bene, non stiamo parlando soltanto di che cosa fare di 10 o 20 milioni di ettolitri di vino. Stiamo parlando di un problema sociale (posti di lavoro) e di un problema paesaggistico: oggi 711mila ettari di vigneto “decorano” l’Italia, soprattutto in certe regioni. Mi viene in mente la Sicilia dove soltanto il 4-5% del vino prodotto e’ considerato di qualita’ dalla legge italiana: eppure, il vigneto e’ parte integrante del paesaggio. Facciamo un breve calcolo: oggi si producono 45 milioni di ettolitri in media, se ne esportano 17, ne beviamo 26, ne importiamo 1. Con un aiutino di 3-4 oggi stiamo in piedi. Se i consumi scendono di 7 milioni in 10 anni e le esportazioni restano stabili (ipotesi ottimistiche), ci troviamo con 14 milioni di surplus a questi livelli produttivi. Significa un eccesso del 30%. Il 30% di 711mila ettari sono 220mila ettari. Non sara’ una Italia diversa soltanto dal punto di vista del consumo di vino: lo sara’ anche guardando fuori dal finestrino della macchina…

Foto: pascolovagante.splinder.com/tag/zanzare


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14 Commenti

Inserito da Filippo Ronco

il 16 aprile 2009 alle 23:48
#1
Articolo di grande lucidità Marco, come sempre. Complimenti.
Puoi illustrarmi però, dal punto di vista di un analista, quali sono i fattori che secondo te determineranno la costante crescita dei consumi ? Abitudini alimentari, legislazione vigente, ecc ? Pensi sarebbe possibile un'inversione di tendenza (aumento dei consumi) e se si quali pensi potrebbero essere i fattori determinanti in questo. E una domanda lievemente retorica ma alla quale mi piacerebbe comunque avere risposta già che ci sono: credi che l'aumento quantitativo dei canali d'informazione di settore e e qualitativo del livello medio della cultura del vino da parte del consumatore abbia determinato un aumento o una diminuzione dei consumi ?

Ciao, Fil.

Inserito da Marco Baccaglio

il 17 aprile 2009 alle 07:44
#2
Il calo dei consumi e' dovuto secondo me ai seguenti fattori.
- la categoria del "senza un bicchiere di vino non mi siedo a tavola" si sta estinguendo. Tutti i vini di fascia medio-bassa sono destinati a calare, resteranno in vita soltanto come prodotto low-cost di chi non puo' permettersi di meglio.
- il vino e' un alimento calorico ed e' considerato (a ragione) dannoso per le persone sovrappeso. Le persone sovrappeso sono in costante crescita causa mix di abitudini di vita (vita sedentaria), di ricchezza (non si fa piu' la fame) e fattori esterni (pubblicita'/socializzazione);
- il vino non fa parte delle abitudini di una crescente porzione della popolazione, cioe' molti degli immigrati, i quali rappresentano il vero motore di crescita demografico dell'Italia.
- la riduzione dei limiti di consumo di alcol secondo me non ha avuto questo grande impatto sul vino, anche in relazione alla scarsita' di controlli in momenti "critici" per questo tipo di consumo. Forse non ha avuto nemmeno impatto sui superalcolici.

Credo che l'aumento dell'informazione sia servito soprattutto ai vini di qualita' e ai grandi marchi del mondo del vino. Non certo a modificare trend come quelli sopra che sono legati a dinamiche difficilmente modificabili. L'informazione ha contribuito a far crescere la cultura del vino, il che significa, per esempio, che io che nel 1999 non capivo nulla di vino oggi ho un diploma di sommelier e cantina ben fornita.


bacca


Inserito da Filippo Ronco

il 17 aprile 2009 alle 10:17
#3
Ovviamente all'inizio del mio precedente commento dove scrivo "la costante crescita" intendevo "il costante calo". Ok. Ma se la cultura del vino, l'informazione di settore sono servite soprattutto ai vini di qualità, questo conferma che mentre da un lato abbiamo un trend di crescita negativo (vini di fascia bassa e medio/bassa), dall'altro dovremmo avere un aumento dei consumi di vini di qualità. E' possibile quindi che a fronte di minori volumi i fatturati restino più o meno invariati ? In fondo comprare una bottiglia da 30 euro equivale ad acquistarne 30 da 1.

Ciao, Fil.

Inserito da Luca Risso

il 17 aprile 2009 alle 10:35
#4
@Marco
Come pensi che si inserisca in questo contesto la futura liberalizzazione degli impianti?
Luk

Inserito da Gianpaolo Paglia

il 17 aprile 2009 alle 23:22
#5
@Luk. Anche la coltivazione degli asparagi è liberalizzata, cosi' come gli allevamenti di lumache, e la produzione di bulloni, ma non mi sembra che siamo inondati da questi articoli. Probabilmente il produttore di lumache non è incoraggiato a produrle se non le può vendere perche' non sono previsti aiuti alla distillazione delle stesse.
Applicassimo lo stesso principio al vino saremmo a cavallo (sempre che si possano allevare cavalli liberamente!).

Inserito da Luigi Bellucci

il 18 aprile 2009 alle 01:15
#6
Io credo che quando si perdono fette di mercato in campo alimentare quasi sempre il motivo sia che qualcun altro fa meglio di te agli stessi prezzi oppure fa come te a prezzi più bassi. A testimonianza prendo in prestito da Filippo tre righe di un suo pezzo recente:
"La domanda era: "come posso acquisire la fiducia delle persone interessate al mio vino ?" (e bada, la risposta potrebbe essere la stessa per qualsiasi altro tipo di prodotto o servizio): meritandolo".
Marco ad esempio potrebbe dirci CHI ha acquisito quei 40 milioni di ettolitri che il mercato assorbe in più - e non è una bazzecola un aumento dell'80%, rispetto ai 50 di partenza.
Purtroppo spesso gli italiani "furbetti del quartiere" pensano che i clienti finali siano ancora con la sveglia al collo. Sono sempre meno le aziende italiane che si impegnano seriamente a fare prodotti di alta qualità a prezzi concorrenziali (e non vale solo per il vino, io credo!).
In realtà gli altri stanno crescendo, culturalmente ed economicamente, e noi stiamo diventando pian piano terzo mondo ...
Forse stasera sono un po' pessimista ma dopo i disastri d'Abruzzo con le case "antisismiche" costruite con la sabbia e controllate e approvate dagli organi competenti, c'è poco da stare allegri ... ci vorranno almeno un paio di generazioni ...

Inserito da Luca Risso

il 18 aprile 2009 alle 14:33
#7
@Gianpaolo
C'è una certa differenza invece. Nessuno pagherebbe 50-100 euro o più per un kg di asparagi o lumache. Nel vino spesso accade.
Luk

Inserito da Marco Baccaglio

il 18 aprile 2009 alle 18:46
#8
La liberalizzazione degli impianti deve per forza di cose inserirsi in un contesto di mercato liberalizzato, dove l'intervento governativo per eliminare gli eccessi produttivi non e' previsto. Se così non fosse, assisteremmo probabilmente al fiorire di produttori "liberalizzati" che operano solo per accedere ai pacchetti di aiuto.

Dall'altro lato, la liberalizzazione degli impianti farebbe crollare il valore dei diritti di impianto, quindi una serie di zone non vocate (ma dotate di diritto di impianto) si troverebbero automaticamente a fare i conti con un calo del valore dei diritti di proprietà.

Tutto sommato io credo che quando sarà implementata verrà facilitato il consolidamento del mercato e gli operatori italiani si rafforzerebbero. E tutto questo se accadesse sarebbe positivo...

bacca


Inserito da Gianpaolo Paglia

il 18 aprile 2009 alle 23:42
#9
@Luk. E lasciamolo accadere, in fin dei conti nessuno obbliga a produrre, nessuno obbliga ad aquistare.

Inserito da Luigi Bellucci

il 19 aprile 2009 alle 00:53
#10
Mi sembra che si stia già scivolando verso un mercato liberalizzato. Sono d'accordo con Gianpaolo "nessuno obbliga a produrre, nessuno obbliga ad aquistare". Ultimamente i diritti di reimpianto, che erano partiti da decine di milioni di lire per ettaro, oggi viaggiano sui 3.000 - 5.000 Euro per ettaro e continuano a scendere. Piantare poi il vigneto e attrezzarsi per lavorare l'uva costa almeno 100 volte tanto, quindi il diritto è una fesseria o comunque un falso problema.
Considerata infine la crisi in cui siamo appena entrati ha poco senso fare pianificazione a cinque anni (giusto per individuare delle strategie). A dieci anni è pura fantascienza.

Inserito da Alessandra Rossi

il 20 aprile 2009 alle 09:34
#11
Un commento da "mamma che fa la spesa e che ogni tanto accende la tivvù": Nei mass media si fa pubblicità alla birra. E' pubblicità fatta bene, che sa colpire e contribuisce non poco (insieme al minore apporto calorico di questa bevanda rispetto al vino) all'aumento del suo consumo in Italia.
Si fa anche pubblicità al vino, si.. prevalentemente a quello in brik. La crescita di questo non può trainare anche la produzione di qualità, anzi, contribuisce ad oscurarla.
D'altra parte la suddetta produzione è in mano ad una miriade di piccoli viticoltori che difficilmente sapranno unire le forze per arrivare a concertare grandi campagne di comunicazione.
Ok, mettiamoci anche i costi di un buon vino in bottiglia, non sostenibili quotidianamente per la fascia medio-bassa degli italiani (fascia in aumento dati i tempi). Però è anche vero che gli stessi italiani in crisi hanno telefoni cellulari da centinaia di euro, auto spesso superiori alle proprie necessità e 3 televisori per famiglia.
Quindi le VERE cause della diminuzione, più che in motivazioni oggettive, credo siano in gran parte riconducibili proprio alla mancanza di efficace comunicazione. Solo su Internet trovi - e anche li' devi saperla cercare - informazione approfondita. Ma nonostante in 10 anni il web abbia avuto enorme diffusione, non altrettanto si può dire dell'intelligenza con la quale i paesani nostri ci si approcciano.
Non concordo totalmente con Luigi Bellucci: pianificare si può, almeno in comunicazione. Ed è la comunicazione a spronare i consumi. Ma senza una coesione dei produttori non si arriverà ad avere le risorse per farlo. Laddove risorse non vuol dire soltanto frugarsi in tasca, ma anche avere una posizione sociale e politica che, come in Francia, costringa il Governo a supportare adeguatamente il settore.

Inserito da Luigi Bellucci

il 20 aprile 2009 alle 15:46
#12
Carissima Alessandra, per cortesia non farmi dire quello che non ho mai detto. Io parlo di pianificazione aziendale. Sono più convinto di te che un'Azienda sana e gestita in maniera intelligente DEVE fare comunicazione. Quello che dicevo io è che mentre ha senso una pianificazione a un anno e a tre anni, già quella a cinque ha senso per grandi aziende che delineano strategie mentre per i dieci anni lasciamola fare agli Stati e ai maghi.
Per la birra, che considero una bevanda, come l'acqua, l'aranciata, i succhi di frutta, ecc., io non la metterei sul piano del vino, che è un alimento, esattamente come l'olio. Per cose diverse, strategie diverse e approcci diversi.

Inserito da Alessandra Rossi

il 23 aprile 2009 alle 19:17
#13
Vero Luigi, vero.
Non siamo noi però a metterla sullo stesso piano, ma molti consumatori purtroppo.

Inserito da Donata Vieri

il 26 aprile 2009 alle 12:07
#14
L'Australia elabora studi di espansione, crescita (in termini di vendita, visibilità e reputazione) su archi temporali di 10 e 25 anni. Dobbiamo comunque confrontarci con queste realtà. Sarebbe molto utile per le nostre aziende avere la possibilità di pianificare la propria attività promozionale e commerciale nel breve periodo (2-3 anni) tenendo conto di strategie di lungo periodo (10 anni).

L'esempio che ha fatto Alessandra è lampante: la comunicazione aziendale è stata stravolta da internet negli ultimi 5 anni e chi non si attrezza ora sarà fuori dai giochi nei prossimi 5, perché sarà sempre più costoso correre ai ripari.

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Analista finanziario dal 1996 e sommelier dal 2001. A settembre 2006 lancia un blog di analisi numeriche relative al vino, I numeri del vino. Il blog...

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