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Quanto è difficile trovare il prezzo sorgente, di Marco Baccaglio

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Angolo economico

Quanto è difficile trovare il prezzo sorgente

di Marco Baccaglio

Inizio la mia collaborazione con Filippo Ronco e TigullioVino con un argomento che suscita sempre grandi discussioni: il prezzo sorgente. Il vino e’ un prodotto con un ventaglio di prezzi veramente ampio. Si va dalla bottiglia a 1 euro fino alle grandi bottiglie di Bordeaux o di Borgogna che escono dalle cantine a prezzi folli. Ma il problema che suscita l’interesse per il prezzo sorgente non e’ soltanto questo. C’e’ anche la sensazione che la distribuzione del vino faccia lievitare in modo sostanziale i prezzi: si tratterebbe quindi di capire quanto ricaricano gli anelli della catena (e, soprattutto, se questo e' giusto). L'obiettivo dei fautori del prezzo sorgente mi sembra proprio su questo punto: non si discute il prezzo del vino in se’, si vuole discutere piu' di quanto “ricarico” e’ stato applicato al prodotto nella distribuzione. Per aggiungere qualcosa alla discussione, io credo che si potrebbe anche discutere sul ricarico applicato dal produttore.

Posto che non si vuole qui stabilire se sia giusto o meno rendere pubblico questo prezzo (e’ un’opinione!), penso che sia il caso di mettere sul tavolo alcune considerazioni che possono aiutare a comprendere come si formano i prezzi dei vini. Per partire, prendo subito spunto da quello che ha scritto Gianpaolo Paglia di Poggio Argentiera in merito. Gianpaolo ha pubblicato il suo listino prezzi, ma non solo: ha anche pubblicato quanto costa all'azienda produrre la bottiglia. Il suo vino di punta, Capatosta, viene venduto a 13 euro piu’ IVA all’ultimo anello della catena e costa, secondo il suo calcolo, poco piu’ di 7 euro. Questo significa che il margine di vendita e’ il 44% o, se volete, il ricarico e’ dell’80%. Possiamo “giudicare” questo ricarico? A guardarlo a prima vista sembra molto alto, certo. Pero’ a pensarci bene Gianpaolo e’ sottoposto ai seguenti rischi:

  • (1) rischio di insolvenza: vende il vino e non lo pagano o lo pagano dopo molto tempo;
     
  • (2) rischio "vendemmia": la sua produzione puo' variare da un anno all’altro e quindi certi costi fissi salirebbero nel suo calcolo per bottiglia;
     
  • (3) rischio magazzino: non riesce a vendere il suo vino e quindi sopporta un costo (implicito) di mantenerlo nel magazzino.

Ma soprattutto, secondo me, e’ necessario capire quanto Gianpaolo ha investito. Vedete, il margine percentuale sulla vendita e’ un aspetto del problema. Piu’ importante e’ capire come l’utile generato si confronta con l’investimento effettuato (per produrlo) e pesare questo “ritorno” rispetto ai rischi che si corrono. Se io domani comperassi il vigneto di Chateau Petrus, probabilmente lo pagherei talmente tanto che per ottenere un “ritorno” dignitoso nel mio investimento nella vigna (inventiamoci un numero: 10 milioni di euro per un ettaro, con un ritorno prima delle tasse del 5%) dovrei ricaricare su ogni bottiglia un costo molto elevato (nel nostro caso, dovremmo caricare 500,000 euro su una produzione diciamo di 5000 bottiglie, cioe’ 100 euro a bottiglia). Ecco, io credo che i calcoli da fare siano questi, piuttosto che quelli relativi al “ricarico” in se: che cosa c’e’ dietro, quanto si e’ investito? Quali sono i rischi?

Passando alla distribuzione, al dettaglio o al ristorante, le questioni sono circa le stesse. E’ uguale distribuire un vino con un marchio pubblicizzato e uno con un marchio sconosciuto? La distribuzione all’ingrosso acquista a fermo e potrebbe richiedere un margine piu’ alto su uno rispetto all’altro per far fronte al maggiore rischio di non riuscire a vendere il prodotto. La pubblicita’ andrebbe nel prezzo sorgente del vino pubblicizzato ma non in quello di quello sconosciuto. I costi sarebbero dunque diversi.

L’intento dei fautori del prezzo sorgente e’ molto chiaro: trovare rendite di posizione. E’ opinione di chi scrive che in Italia ci siano delle colossali rendite di posizione. Ce ne sono anche nel mondo del vino ma, credetemi, ve ne sono di ben piu’ significative in altri settori. Come risolvere il problema e' invece molto meno scontato. Le obiezioni partono da come considerare alcune voci di costo, passano attraverso la valutazione di alcuni aspetti non tangibili ma pur significativi come il marchio e si concludono con la necessita' di valutare i rischi insiti nell’attivita’ di produzione e di distribuzione.

Abbiamo un problema distributivo? Certamente. Pochi grandi distributori lavorerebbero meglio di tanti piccoli, come succede in Italia. Ma mettere il prezzo sorgente li aiuterebbe? Sicuramente no. Come non aiuterebbe un negoziante di vestiti se il prezzo sorgente del vestito che vende fosse stampato sul cartellino, o non aiuterebbe un farmacista se il prezzo sorgente dell’aspirina fosse stampato sul prodotto.

Il mercato non funziona cosi'. Se il mercato funziona, le rendite di posizione non esistono, perche' se ce ne fossero, qualcuno cercherebbe di sfruttarle, correggendo il problema. Secondo me, quindi, piu' che invocare la trasparenza dei prezzi, sarebbe importante spingere per un miglioramento delle regole del mercato. Consolidare la distribuzione all'ingrosso, far crescere la concorrenza nel mondo del dettaglio e, dopotutto, spingere anche a un consolidamento nell'ambito della produzione dei vini.


[Foto credit : www.agriturismo.com]

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13 Commenti

Inserito da Gianpaolo Paglia

il 28 gennaio 2009 alle 23:34
#1
Non ho mai creduto al prezzo sorgente come l'ho sentito spiegare in passato, ovvero come una forma di esposizione delle presunte cattive abitudini altrui, sopratutto quelle dei ricarichi. In piu' troverei poco pratico stamparle sulle etichette. La mia versione del prezzo sorgente e' invece quella che e' rivolta a spiegare alcuni fatti che regolano il funzionamento di una azienda che produce vino e della sua distribuzione. E mi pare che sia un esercizio interessante e per nulla sconvolgente da comprendere per il pubblico, che e' poi la scusa che la gente usa per nascondere certi fatti - il pubblico non capirebbe. Io dico che invece il pubblico capisce benissimo, e che forse questo lo aiuta a capire certe logiche e a preferire certe produzioni piuttosto che altre.

Inserito da Paolo Carlo Ghislandi

il 30 gennaio 2009 alle 16:02
#2
Ciao Marco, ben ritrovato on line !

A leggerti mi č scesa la goccia di sudore freddo lungo la schiena nel mentre mi tornavano alla mente tutti gli investimenti fatti per trasformare prati collinari in una azienda agricola vitivinicola...

Se facessi il consulente di me stesso non dico che mi suggerirei di aggiungere uno zero a tutti i prezzi, ma quasi.. :-))

Il fatto č che il vino artigianale di elevata qualitŕ č anche un fatto emozionale e non necessariamente solo un fatto economico e di sicuro non č un investimento speculativo per sognare patrimoni, semmai si puň ambire alla realizzazione personale di riuscire a emozionare in senso positivo il proprio pubblico.

Tuttavia da buon ( spero ) manager d'industria, non mi sono astenuto dal progettare un Business Plan ed oggi devo dire, una delle cose piů azzeccate che ho fatto, č stata quella di scindere ( solo economicamente ) l'attivitŕ puramente agricola ( vigna ) da quella enologica ( cantina ) e dal marketing in realtŕ separate ciascuna delle quali deve soddisfare i propri costi e margini.

Ho avuto modo di concordare con Giampaolo sul fatto che un'azienda seria debba avere un singolo listino corredato da scale sconti proporzionali a velocitŕ di pagamento e volumi acquistati, agiungo anche che, secondo me, la politica dei prezzi vincente č quella che ( e sono pochi a farlo ), č direttamente correlata al vero valore del prodotto.

Ciao
Paolo

Inserito da Marco Baccaglio

il 31 gennaio 2009 alle 08:36
#3
Beh, ricevere due commenti eccellenti da chi i propri soldi li ha investiti e' un buon risultato!
@ Gianpaolo. Io non sono cosi' sicuro che il pubblico capisca bene come funzionano le cose. E lo dico avendo alle spalle 3 anni di gestione della farmacia di mia moglie (e dei suoi soci). Se io dico a un cliente che per riuscire a ottenere un ritorno sul capitale pari a circa il 5% (quello che fino a qualche mese fa ciascuno poteva quasi ottenere acquistando un titolo di stato decennale) devo applicare un ricarico del 30-35%, probabilmente non mi crede. E nel mondo del vino il problema e' simile: come nel mio caso (che la farmacia l'ho acquistata) mi trovo con un colossale investimento iniziale che in qualche modo devo giustificare: il famoso problema del costo opportunita'... perche' comprare un ettaro di vigna se posso impiegare gli stessi soldi in modo piu' profittevole? (non e' cosi' semplice ma il concetto di base e' questo.

@ Paolo. Ti devo fare il complimenti sulla separazione in tre divisioni della tua azienda. Mi incuriosisce come leghi il tuo utile operativo divisionale al capitale investito. Nel mondo del vino "corporate", diciamo, questo esercizio ha portato la maggior parte degli operatori a disfarsi della vigna per concentrarsi su cantina e vendite, salvo ovviamente tenere gli appezzamenti che producono i vini con i maggiori margini.

Inserito da Gianpaolo Paglia

il 31 gennaio 2009 alle 19:21
#4
@Marco. Io sono piu' ottimista di te sul fatto che la gente capisca che le cose non sono cosi' semplici come fare l'equazione: ricarico 50% = guadagno 50%. Penso anche che parlandone apertamente e togliendosi di dosso i tabu' si venga a scoprire che il re e' nudo, e che in fin dei conti non c'e' nulla o poco da nascondere e tutti sanno tutto o quasi. Chi sa fare il proprio lavoro nel lungo periodo (e in media) va avanti perche' i suoi prezzi sono percepiti come giusti. Perche' alcuni vini siano stati, specialmente in passato, felicemente strapagati potrebbe aprire un capitolo interessante nella storia del costume del vino italiano e di come si sono creati certi valori.

Inserito da Luca Risso

il 01 febbraio 2009 alle 10:08
#5
@Gianpaolo
Secondo me non č cosě facile da capire. Nella filiera produttore-consumatore, fino ad ora, solo l'ultimo anello ha potuto applicare completamente la consequenzialitŕ maggiori costi=maggiori ricarichi. Alla produzione ad esempio (almeno nel mio triste caso)maggiori costi hanno comportato minori ricarichi, solo per riuscire a stare sul mercato, e neppure ci si riesce, come appare chiaro guardando la massa di cassaintegrati che aumenta ogni giorno.
Luk

Inserito da Gianpaolo Paglia

il 01 febbraio 2009 alle 22:01
#6
@Luca. Ma e' proprio per quello che dici tu che e' importante parlare e comunicare direttamente con il consumatore finale, per informarlo di come stanno le cose e consentirgli di farsi una idea piu' precisa. Poi stara' a lui scegliere, ma se le cose non le sa rimane ostaggio della parte finale della catena, che non necessariamente ne sa piu' di lui, tra l'altro. Io ho fiducia, che poi non sia facile, quello sono il primo a saperlo, ma ci sono strade per costuire un rapporto con i clienti che ci potra' favorire in un modo di bottiglie anonime.

Inserito da Francesco Serra

il 04 febbraio 2009 alle 10:55
#7
scusate l'intrusione.....io parto da un punto di vista piů elementare;
mi consigliano un vino di una nuova azienda, in enoteca il prezzo allo scaffale č 14 euro, girando nei negozietti della mia cittŕ un salumiere fornito di tutto punto di ottimi prodotti della mia regione, allo scaffale, lo stesso vino lo vende a 7,50;
MI CHEIDO!! il prezzo che la cantina offre al venditore attraverso la sua rete di distribuzione quale sarŕ??
sicuramente Ottimo, sperando, che i suoi prodotti vengano venduti č distribuiti il meglio possibile.
diciamo allora che l'enoteca ne approfitta un pochino in piů del salumiere.

Inserito da Tomaso Armento

il 04 febbraio 2009 alle 15:10
#8
Beh, secondo me trarre un’opinione assoluta sulla materia è dura, vi esprimo i miei pensieri (vi avviso, sono tanti):

Comunicazione listino

Come in tutti i mondi dove le varie parti godono di informazioni differenti (spesso per se incomplete) fare chiarezza è sicuramente un'opera ardua e richiede impegno e tempo. Certo che se nessuno ci prova (un plauso a Gianpaolo per averlo fatto) e si resta ciascuno sulle proprie posizioni è oltremodo difficile generare un qualsiasi cambiamento.
Può sembrare scontato quello che dico, ma secondo me lo sforzo di comunicazione, o se preferite di comunicazione, è giusto che ci sia perchè serve ad alimentare un dibattito e far capire magari quale comunicazione può aiutare chi compra quei prodotti, poi dove va a convergere lo decidono i partecipanti e si vedrà.
Il problema è che oggi a farlo sono persone che non “temono” perchè non hanno probabilmente nulla da nascondere, e in effetti è uno sforzo coerente: il fatto che nessuno di dimensioni altrettanto significative non provi a fare un percorso, non dico identico con pubblicazione dei margini, ma almeno di “orientamento” del consumatore, beh forse quello è un problema.
Il principio di cui si discute sta alla base di molti mercati, gli stessi mercati finanziari organizzati, sebbene fortemente normati, soffrono di problematiche analoghe, mi correggano gli esperti se dico fesserie: anche i bilanci delle aziende sono oggetto di ottimi capolavori da parte dei relativi direttori finanziari al momento giusto.

Inoltre nella realtà, non mi risulta ci siano tutte queste aziende così vogliose di divulgare il loro margine su prodotto, anche perchè con il livello di scrutinio a cui si è normalmente sottoposti significherebbe dare un bel vantaggio ai concorrenti.


Ricarico del distributore, ricarico del dettagliante

Vi cito un’esempio. Per motivi di riservatezza non ci saranno riferimenti diretti.

A me è capitato di analizzare un business agroalimentare con prezzo finito del prodotto al composto come segue (valori in %)

100% prezzo consumatore, di cui:

19% prezzo sorgente
12% margine alla fonte
13% ricarico del grossista
56% ricarico del dettagliante (che riceve pure vari optional dal grossista per vendere il marchio in esclusiva)

Aggiungo che il bene in questione:
(i) non è un bene essenziale, al pari del vino, ma di “destinazione”
(ii) viene venduto ad un prezzo unitario leggermente inferiore ad un Euro (e lo compra ovviamente parecchia gente)....

Eppure nessuno ne parla! Perchè?

Secondo me per ovvie ragioni di disinformazione generate da un’industria molto concentrata. Grazie alla concentrazione dell’industria, però, è possibile ottenere un prezzo finale al consumatore omogeneo per aree fiscali analoghe (e questa frase è il mio unico commento al listino unico al consumatore, perchè oltre a farlo il listino occorre ricordarsi che occorre anche avere il potere di monitorarne l’uso se veramente si vuole perseguire tale logica).

In questa stessa tipologia di merce operano anche artigiani, che ovviamente in virtù delle loro dimensioni non riescono a garantire quei margini alla filiera senza cadere in prezzi al consumatore sensibilmente più alti, quindi pur avendo un prezzo finito superiore a quello del prodotto citato precedentemente garantiscono al negoziante margini inferiori (riducendo il suo incentivo a sceglierli a parità di prezzo) e offrono marchi totalmente sconosciuti al grande pubblico, quindi richiedendo uno sforzo di vendita “maggiore” da parte del negoziante.

Questo è uno fra i tanti casi presenti nel settore agroalimentare, allora che mi dite?

Divisione della vigna / cantina / marketing (credo includa anche le vendite).

Qualunque persona che abbia esperienza in finanza (Paolo parla, ci dice, da alto manager d’industria) sa che il tempo è una variabile fondamentale del ritorno, tenere insieme vigna e cantina significa dimenticarsi questo particolare, perchè nel tempo che i macchinari della cantina sono “passati”, ovvero esistono tecnologie su piazza con costi marginali minori, la vigna inizia (6 anni dallo scasso? Qui da me si parla di 7-10 per stare su prodotti seri) a produrre vino degno...per non parlare poi del fatto che finanziare una vigna a debito richiede scadenze non disponibili sul mercato bancario. Inoltre il marketing ha criteri di calcolo investimenti/ ritorni che vanno monitorati da soli per capirne la bontà mentre la cantina per capire se “sta sul mercato” va paragonata costantemente al costo dei grossisti su piazza (al lordo di eventuali oneri per la scelta).

Quindi, ottimo esercizio, ma proviene, appunto, da un manager d’azienda che ha probabilmente fatto capitali in altri settori ed utilizzato in modo proficuo il suo sapere per realizzare un investimento studiandolo con mezzi probabilmente più vicini a realtà industriali: lode all’autore!

Peccato che la realtà italiana, specialmente quella che tutti i giorni si para innanzi al consumatore sia composta da un enorme mosaico di micro/piccole aziende (dim media azienda mi pare 2 ha?) che, soprattutto negli ultimi tempi, sta uscendo sempre di più dall’anonimato e un po investendo i soldi fatti in altri settori dalle nuove generazioni, un po rimettendosi in gioco tirando fuori i risparmi grazie all’avvento dei “giovani” e un pò, diciamolo, per moda, sta popolando la realtà italiana.

Bene, con loro come la mettiamo? Molti di loro non hanno gli strumenti per costruire una contabilitĂ  industriale, fanno i bilanci per cassa. E probabilmente hanno costi marginali piĂą alti: infatti se i macchinari acquistati li spalmi su bassi volumi di prodotto, beh....vi lascio fare i conti.

E qui per risolvere si cade in quanto ho letto da Gianpaolo in un suo post (forse in inglese dal suo blog?) da qualche parte, dove diceva giustamente che gli italiani e la cooperazione sono agli antipodi, ma rispetto a “Bacca” io preferirei di gran lunga la salvaguardia delle realtà locali al mega ufficio marketing che studia il mercato, fa il blend, cura la comunicazione e la promozione e piazza nei canali giusti il vino che “deve andare” che mi viene in mente quando si parla di “spingere un consolidamento nella produzione di vini”.....anche se guardando i numeri, vedrai che avverrà: il capitale dei vignaioli non è infinito...

Inserito da Jerry Ferreri

il 04 febbraio 2009 alle 19:43
#9
Copi e incollo il mio commento pubblicato su Vinix all'interno dell'analogo post di Ettore Galasso http://www.vinix.it/myDocDetail.php?ID=2441

----

La teoria economica ci dice che il prezzo lo dovrebbe stabilire il mercato (grazie all'incontro fra domanda e offerta). Personalmente credo nella sovranitŕ del consumatore. Ma, in assenza di trasparenza ed informazioni, č possibile che il prezzo che si determina non sia quello ottimale per il consumatore. Perché il produttore dovrebbe garantire questa trasparenza andando a discapito degli altri attori del canale? Credo che il punto centrale sia il controllo del canale che permette alla distribuzione di agire sul prezzo finale del bene. In fondo, anche i distributori dovrebbe avere l'interesse a stimolare quanto piů la domanda con dei prezzi equi.
Ma non tutti i consumatori si comportano allo stesso modo (esistono diversi segmenti di consumatori) e non tutta la domanda č similmente elastica al prezzo: se il prezzo sale non sempre la domanda crolla proporzionalmente; anzi, a volte, per esempio per determinati beni di lusso, non scende affatto...
Per cui capita che la tentazione da parte del canale di approfittarne sia una consuetudine redditizia.
Certo se i produttori facessero la loro parte accettando l'invito di Veronelli e promuovendo questa trasparenza del basso farebbero un gran bel servizio alla teoria economica ma farebbero incazzare non poco i loro partner lungo la filiera che porta al consumatore.

In tempi normali posso capire l'indecisione del produttore su quale scelta fare. Ma adesso c'č la crisi: quindi stimolare la domanda diventa imperativo. Produttori e canale dovrebbero giocare insieme per promuovere quest'obiettivo comune.

Se i conflitti lungo il canale non dovessero rendere possibile questo scopo comune, bene ecco allora la mia proposta (forse utopista nel breve periodo): abbiate il coraggio di mollare il canale e usate Internet per raggiungere il vostro mercato.
Parlate direttamente con i vostri consumatori, confrontatevi, applicate la trasparenza e il rispetto dovuto al consumatore cosě come cercate di trasmettere a quest'ultimo l'amore e la passione che mettete nel produrre il vostro vino.

Amazon (che non č un produttore) a breve venderŕ vino attraverso la sua piattaforma di e-commerce.
Non siate gli ultimi a muovervi, non state lě impalati a subire il cambiamento. Abbiate, invece, il coraggio di essere gli agenti del cambiamento accettando la sfida di Veronelli e portandola oltre i suoi stessi limiti: consumatori e produttori, domanda e offerta, per una volta i veri protagonisti del mercato.

Inserito da Tomaso Armento

il 05 febbraio 2009 alle 17:10
#10
Caro Jerry, sai cosa trovo buffo? Chi leggerŕ il tuo post lo legge perchč sta leggendo un blog e se un produttore sta leggendo un blog forse ha giŕ capito e non "subisce il cambiamento"....

Anazon vende il vino sulla piattaforma di e-commerce: scusa ma secondo te Amazon non applicherŕ i soliti ricarichi?

Mi sembra dura che Amazon voglia mettersi contro i colossi del Vino che ha proprio in casa.....mah.

Inserito da Jerry Ferreri

il 06 febbraio 2009 alle 11:01
#11
Chiedo scusa ma la conversazione č deragliata sul post di Ettore Galasso su Vinix http://www.vinix.it/myDocDetail.php?ID=2441

Inserito da Filippo Ronco

il 06 febbraio 2009 alle 11:02
#12
Ciao Jerry ma nulla vieta che vi siano in rete piů conversazioni su argomenti analoghi. Ciao, Fil.

Inserito da Jerry Ferreri

il 06 febbraio 2009 alle 11:12
#13
Assolutamente, ma volevo solo darvi una dritta per non perdervi la conversazione. Saluti

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Analista finanziario dal 1996 e sommelier dal 2001. A settembre 2006 lancia un blog di analisi numeriche relative al vino, I numeri del vino. Il blog...

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