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Conversazioni. Uomini, vini e territori

Romano Dal Forno, un'emozione chiamata Amarone

di Elisabetta Tosi

MappaArticolo georeferenziato

A volte si dice che la Valpolicella del vino possiede un mito e una leggenda. Il mito è Giuseppe Quintarelli. La leggenda è Romano Dal Forno. Non a caso la storia del secondo deve molto, ai suoi esordi, all'esperienza e agli insegnamenti del primo: ma il successo che le sue bottiglie incontrano in tutto il mondo da oltre dieci anni è solo merito suo, di Romano e della sua famiglia, del suo modo di concepire il vino e della sua ostinata, instancabile ricerca della qualità assoluta. Una ricerca che l'ha portato nel tempo a dotarsi in cantina di tecnologie sempre più estreme e personalizzate, e che si sta traducendo, con la costruzione delle nuove strutture aziendali, nella realizzazione di un vero tempio del vino: un luogo di cultura e di bellezza.


E' vero che Giuseppe Quintarelli è stato determinante per il tuo ingresso nel mondo del vino come produttore?


“Sì. Il mio incontro con quel grande uomo e vignaiolo mi fece capire quanto profondo e complesso fosse l'approccio al mestiere che mi ero messo in testa di fare. Mi ero sposato da poco, e con mia moglie avevo deciso di legare il nostro futuro al vino; avevo iniziato a produrlo, vendendolo sfuso agli amici e a qualche negoziante dei dintorni”.


Poi cosa successe?

“Al primo incontro con Quintarelli ne seguirono molti altri; ero rimasto affascinato, andavo da lui perché volevo imparare, raggiungere il suo livello, capire l'obiettivo qualitativo che aveva in testa...i suoi suggerimenti mi illuminarono il cammino, ma dopo qualche vendemmia ritenni che era venuto il momento di camminare con le mie gambe; capivo che dovevo scartare qualsiasi tentativo di emulazione e seguire una mia personale visione di ciò che volevo ottenere dal mio lavoro. Così iniziò il mio viaggio nel vino, approfondendo gli aspetti tecnologici che interagiscono con esso, e cercando l'innovazione anche nella tradizione, che è mutevole e mai statica”.


Qual'è il tuo concetto di “vino”?

“In campagna deve dominare la pratica contadina; in cantina invece dev'esserci una mentalità tecnologica. Per tecnologia io intendo rispetto, non manipolazione o stravolgimento della materia prima”.


Cos'è l'Amarone per te?

“Un vino che non si discute. Un vino da emozione”.


E' cambiato qualcosa nel tuo stile in questi ultimi anni?

“Stiamo rivedendo la nostra concezione di maturazione in cantina, perché ci siamo accorti che i nostri vini hanno una evoluzione lentissima; dopo 3 anni appaiono molto diversi, molto meno evoluti. Non migliori o peggiori, semplicemente diversi. In particolare, appaiono ancora freschissimi. Di conseguenza anche l’affinamento in bottiglia necessita di un tempo più lungo per permettere la completa fusione con il legno. Questo potrebbe indurci con il tempo a pensare di rivedere la percentuale di botti nuove presenti in cantina, che al momento è al 100% , ma potrebbe essere ridotta. Certo, di mezzo c'è sempre l'annata, che ogni volta è diversa; tutto quello che posso fare è gestirla al meglio e far in modo che nulla vada sciupato.


In definitiva, che cosa chiedi al tuo vino?

Ricchezza di aromi, opulenza, equilibrio,armonia e soprattutto maggior freschezza di frutto e con questo poter raggiungere maggior longevità. Il sogno è poter eguagliare i grandi Chateau, o Domaine francesi dei quali, come noto, talune annate si possono assaporare anche dopo 40 – 50 anni. Per questo in vigna e in cantina si lavora a 360 gradi per produrre l'uva migliore e per preservare il vino da un invecchiamento precoce. Naturalmente, per ora siamo solo all’inizio e solo il tempo ci darà una risposta”.


Qual' è il tuo rapporto con le guide e i comunicatori del vino in genere?

“Personalmente non le cerco: è da tempo che non capisco le loro valutazioni e con esse il loro messaggio . Riconosco i meriti che hanno avuto e che tuttora contribuiscono nella diffusione nel messaggio e nella cultura del vino tra la gente. Di sicuro non faccio il vino per loro, ma quello che sembra giusto a me. Il mio rapporto con i comunicatori del vino perciò è minimale; preferisco starmene un po’ in disparte , quasi in zona neutrale. Credo più in una bottiglia venduta per se' stessa, che 10 vendute a forza di pubblicità.”


Cosa rispondi a chi dice che le tue bottiglie sono troppo costose?

“E' una valutazione personale: non posso dargli torto. Ma se considero il mio processo di produzione posso giustificare il prezzo fino all'ultimo centesimo. Noi per esempio non abbiamo prodotto Amarone della Valpolicella nel 2005 e nel 2007, perché le annate nella nostra zona non lo consentivano. E' una scelta che comporta sempre una perdita di fatturato del 50 per cento circa. Per questo penso che quando l'annata è davvero buona e la qualità sia molto elevata, sia giusto farsi pagare un po’ anche per le sofferenze trascorse, altrimenti l'azienda non sta in piedi”.


Quale pensi che sia il segreto del tuo successo?

“La pazienza. Credo che la pazienza sia un elemento vincente; le mode vengono, vanno... Invece la serietà, la pacatezza, consolidano l'immagine di un produttore anche in profondità. La mia azienda è nata nel 1983, ci ho messo più di 25 anni per affermarmi. Può darsi che oggi ce ne vogliano molti di più, perché i tempi d'oro sono finiti, ma se un'azienda lavora bene, e ha pazienza, e soprattutto è convinta di quel che fa, può avere successo anche in questi tempi".

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Veronese, laureata in Filosofia, dopo anni di collaborazioni su testate nazionali, radio e televisioni, con il trasferimento in Valpolicella si dedica...

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