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Conversazioni. Uomini, vini e territori

Sandro Gini, il tranquillo estremista

di Elisabetta Tosi

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Sulle etichette dei suoi vini non c'è scritto niente. Non c'è scritto, per esempio, che nei suoi vigneti (vecchi anche di un secolo) non usa prodotti chimici. O che da oltre 20 anni tratta le uve a bassa temperatura per non metterci l'anidride solforosa, e nemmeno che usa solo (o quasi) lieviti autoctoni. Tutte cose che racconta con tranquilla semplicità, sorprendendosi della tua meraviglia: che c'è di strano? il vino si fa così. Insomma, Sandro Gini di Monteforte d'Alpone (VR) è un tranquillo estremista e non lo sa. Anzi, probabilmente non gli piace essere considerato tale, e sicuramente non gli importa. Perchè il vino per lui, e per la sua famiglia, è una cosa naturale come l'aria che respira.

Sandro, hai sempre saputo di voler fare “il mestiere del vino”?
No, io volevo fare l'artista! Il pittore, per la precisione. Dopo la 3a media avrei voluto frequentare un istituto d'arte. Ma i miei non erano d'accordo, e d'altra parte a me interessava molto la natura. Non riuscivo a immaginarmi chiuso tutto il giorno dentro un ufficio. A 15 anni perciò scelsi la scuola agraria, e poi l'istituto di enologia, a Conegliano Veneto.

Rimpianti?
Qualcuno. L'arte è un'ambizione che sta lì. Ma quando ti dedichi alla campagna, l'impegno è totalizzante.

I tuoi inizi in azienda?
Nel 1980, con le prime bottiglie di Soave Classico con la nostra etichetta. Erano solo 3000, per la prima volta uscivamo sul mercato, e subito vincemmo il concorso enologico veronese S.Zeno d'Oro. Ma erano anni durissimi, quelli, fino al 1990... Non c'era la cultura del vino di qualità che c'è oggi, la gente beveva di tutto, e molti vini erano difettosi.

Un episodio significativo?
Nel 1985 imbottigliammo il nostro primo cru, il Soave Classico “La Froscà”. Andai a presentarlo a Milano. Allora la ristorazione milanese non aveva neanche un Soave nelle carte vini, anzi non voleva nemmeno sentirlo nominare: il successo di mercato di questo vino era stato anche la sua rovina, perché ormai lo imbottigliavano ovunque, in giro trovavi molta robaccia. Quando assaggiarono il mio Soave lo trovarono straordinario: non lo sapevano, ma era in assoluto il primo vino bianco senza solforosa...

Nel 1985?!
Sì. Nel 1985.

Cosa successe poi, lo comprarono?
Mi dissero che l'avrebbero messo in carta a due condizioni: dovevo togliere dall'etichetta il nome Soave e dovevo raddoppiare il prezzo della bottiglia.

E tu?
Rifiutai. Il mio obiettivo era ridare dignità al Soave, farlo conoscere, capire. Non rinnegarlo.

Qual'è il vino in cui ti riconosci di più?
Il Soave Classico “La Froscà”. E' un giusto equilibrio tra finezza, armonia e spessore. Un vino che da' soddisfazione nel tempo.

Qual'è il modello a cui ti ispiri, se ne hai uno?
Quando iniziai, nel territorio non c'era nessuno con cui confrontarmi o dal quale potevo imparare. Eravamo noi Gini, i pionieri. Quindi per me il riferimento principale era la Borgogna. Lì trovai conferma che il vigneto va sempre messo al primo posto, e che la cantina è un affare più semplice. Il vino non è tecnica. In Francia poi tornai molte altre volte.

In che cosa si distinguono i tuoi Soave?
Sono vini eleganti.

Qual'è la forza dell'uva garganega, secondo te?
L'eleganza e la finezza. Non la corposità. Due caratteristiche che sono anche scelte di cantina; il vino deve farsi da solo. Ogni volta che intervieni, vai a modificare l'originalità di partenza. Non è facile. La tentazione è quella di scegliere sempre la strada più facile: seguire le mode, il mercato. La garganega è un'uva generosa per natura; il pinot nero invece... è il principe degli snob!

Parliamo di lieviti: quali usi, gli autoctoni o i selezionati?
Uso i lieviti della mia cantina, se per autoctoni intendi questi. Ho provato anche quelli selezionati, niente in contrario: ma non mi piace portare “estranei” in cantina.

Il momento migliore della tua giornata?
Il mattino. Mi alzo presto, e alle 7 sono già fuori. Per quasi dieci anni prima di dedicarmi all'azienda di famiglia ho fatto l'enologo da laboratorio; ora mi chiudo in cantina solo i mesi della vendemmia. Il resto dell'anno lo passo fuori.
Nel vigneto.

Letto 8810 voltePermalink[1] commenti

1 Commenti

Inserito da Enzo Zappalà

il 24 marzo 2009 alle 07:41
#1
solforosa o no, artista mancato o grande vignaiolo, in ogni modo i vini di Gini mi emozionano sempre, soprattutto quando gli anni cominciano a passare. Mi ricordo un 2002 assaggiato a Pisa: stratosferico!!

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Elisabetta Tosi

Elisabetta Tosi

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Veronese, laureata in Filosofia, dopo anni di collaborazioni su testate nazionali, radio e televisioni, con il trasferimento in Valpolicella si dedica...

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