Dicono la crisi, ma per trovare posto per sei il sabato sera devo spazzolare la rubrica delle mie Tavole preferite, almeno tra quelle non troppo lontane. Poi un Oste particolarmente affabile mi dice "Glielo arrangio". Concordiamo l'orario, e andiamo.
Posto sconosciuto dunque: ma l'Oste è bravo, ci sa fare. I salumi non sono le solite controfigure di salume a cui siamo tristemente adusi, e la cantina riserva qualche sorpresina. Mi è appena arrivato il manzo Kobe, dice. All'interno della Minuta delle Vivande c'è anche un fogliazzo che spiega l'epopea del Manzo Supremo e segnala il prezzo: 20€ per il filetto e 18 per l'entrecote. Va bene a tutti, ordiniamo.
La carne è buonissima. Scottata sulla griglia ma al punto giusto di cottura, è morbida e burrosa, di una consistenza unica. Davvero un'esperienza. Chiamiamo il conto, e la cifra ci fa sprofondare in una sorpresa agghiacciante: 3 filetti 180€ e tre entrecote 140€. Chiamo l'oste e dico, deve esserci un errore, c'è uno zero in più. Lui controlla e dice Nonò, è tutto ok.
Lamento il prezzo e lui mi dice c'era scritto.
Mi mostra il fogliazzo: erano 20€ è vero, ma all'etto. Mi guardo con gli amici, nessuno aveva fatto caso alla pur visibile scritta "all'etto". Paghiamo, un po' scossi. Non ho cuore di piantare una grana: in effetti le informazioni c'erano e non ho di che lagnarmi. Poi ci ripenso e dico che forse sì. In effetti l'oste mi aveva detto che non si era attentato a sottolineare il prezzo delle pietanze, aveva paura di offenderci. Lo capisco: questa pruderie tutta italica nei confronti dei soldi è davvero curiosa.
Però di fronte alla richiesta di materie prime di particolare pregio ci sono almeno due indicazioni che vorrei condividere per eliminare le discussioni sul nascere, ed aiuterebbero un consumo consapevole:
1) dichiarare il prezzo, sottolineandolo. Se qualcuno ci avesse detto, avete visto che costa 20 euri l'etto? un filetto sono circa 3 etti, quindi aspettatevi 60 euri a porzione avremmo potuto a) cambiare idea (ed ecco il commerciante levantino che teme di perdere un affare b) acquistare lo stesso, ma in piena coscienza. E magari incoscienza...
2) pesare al tavolo. per un ingrediente che costa a peso 20 cents il grammo, 10 grammi fanno differenza. Vedere il prezzo schiaffato lì a occhio è un approccio peloso all'argomento. La pesata al tavolo, condivisa e approvata, è una scelta matura e serena. Di certo se ci fossimo resi conto che sei fette di carne costavano "320 €" avremmo pensato che va bene l'esperienza mistica del Manzo Supremo, però va bene anche una bella Brunalpina.... almeno noi che i soldi costano il giusto.
Quindi: non temo di spendere se voglio spendere. Quando invece mi sento depauperato in forza di scarsa trasparenza, mi impermalosisco, pur con tutte le attenuanti generiche. Diteci cosa spenderemo, e spenderemo volontieri. Piazzateci la sòla, e non torneremo mai più. Semplice, no?
"animula vagula blandula hospes comesque corporis"
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Inserito da Filippo Ronco
il 23 luglio 2010 alle 13:00La pesata, oltre che scenograficamente apprezzabile, sarebbe senz'altro il metodo più efficace per unire correttezza d'informazione al cliente a cura del servizio. Però se concretamente c'era scritto che il prezzo era all'etto può essere fuorviante parlare di sòla. Fossi stato l'oste, avrei precisato il prezzo, all'etto, a voce, al momento dell'ordine. Anche a costo di risultare "provinciale" o di mostrare qualsiasi altra debolezza reale o presunta.
Facile a dire, meno a farsi.
Ho fatto il cameriere un po' di anni durante l'università. Quando mi chiedevano una bottiglia di vino molto costosa ho sempre avuto la tentazione di avvisare ma essendo il prezzo ben riportato a fianco al vino nella carta, mi sembrava tautologico e alla fine desistevo temendo, anch'io, di offendere in qualche modo la scelta fatta dall'avventore.
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