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Vivere country al tempo dei cellulari, di Stefano Caffarri

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L'astice è stopposo

Vivere country al tempo dei cellulari

di Stefano Caffarri

Pare che si sia scatenata la faida tra i tradizionalisti e i rivoluzionari: come al tempo degli antichi romani, subito ci siamo divisi in due schieramenti. Patrizi e plebei, guelfi e ghibellini, interisti e resto del mondo, per dire. Con tanto di striscioni, pullman in trasferta e cori razzisti. Lo spettacolo non è edificante, da qual parte la si vuol guardare.
La seconda grande tendenza messa in campo in questi giorni è l'irredimibile Sindrome di Tafazzi: la disperata ricerca dell'italico popolo a mostrarsi più brutto di quello che non sia, godendo nel ridurre a cavatina d'osteria le proprie sinfonie di talenti.

Ecco allora che d'istinto verrebbe voglia di prendere una posizione terza, così i filosofi del giorno dopo potranno consumare le meningi per capire se stiamo giocando la carta del terzismo o quella della terzietà. Ah, la differenza c'è, la soluzione è a pagina 46... Dunque la posizione terza rispetto alla due enunciate in premessa: tradizione e  innovazione, è quella ingiustamente trascurata della cucina pittoresca.

La cucina pittoresca è la cucina di casa di chi a casa non cucina mai, nè ha modo di pranzarvi frequentemente. La cucina pittoresca è soprattutto la cucina di campagna come si immaginano dovrebbe essere la cucina di campagna quelli che abitano in centro, nelle downtown più cristalline. E' uno spettacolo vederli parcheggiare le loro Porsche sul ghiaino degli agriturismi, tra montagnole di sterco di cavallo, mentre aiutano le loro fidanzate stivalate farsi largo nell'ambiente rurale: con le spighe secche sui tavoli, il camino finto e i reperti della civiltà contadina appesi alle pareti.

Mi viene in mente un intervento di Cofferati ad uno spettacolo di Ascanio Celestini, al tempo in cui frequentavo i festival di teatro alternativo per darmi delle arie intellettualistiche: diceva, Adesso c'è la faccenda del mulino bianco, la natura, la campagna. Ma avete idea di quanto sia malsano e insalùbre vivere in un mulino, con l'umidità nelle ossa e la polvere di farina nei polmoni?

Ecco, la cucina pittoresca si rispecchia in questo: l'immagine proiettata nella nostra memoria teledevastata di un bel tempo andato che non è mai esistito: perchè chi ha visto la campagna, fosse solo di sponda per i racconti dei vecchi, sa che era una tavola di sussistenza, carente di gran parte dei principi nutritivi. Che più che genuina era rustica, con prodotti spesso adattati alla bell'e meglio. Di mangiatone pantagrueliche la volta all'anno che c'era un matrimonio, con i sette piatti di cappelletti e la conseguente, drammatica indigestione.

Attenzione allora al vino del contadino, quando è poi quello economico imbottigliato dalla cantina sociale con l'etichetta disegnata dal figlio settenne, che è tanto bravo, signora. E guardiamo con circospezione i menù scritti con troppi corsivi, e i piatti che sono più approssimativi che ruspanti, con prodotti che sono spesso più di risulta che di trama grezza e sincera.

La terra è più dura di così, babe.

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